«I giapponesi potremmo essere noi» di Marco Borsa

«I giapponesi potremmo essere noi» Prosegue l'inchiesta sul sistema delle medie imprese in Italia «I giapponesi potremmo essere noi» Decine di piccole aziende, soffocate dal credito, rischiano di saltare in tutti i settori - Persino nelle piastrelle e nell'abbigliamento sportivo il «macie in Italy» perde colpi - I produttori di macchine utensili chiedono tassi agevolati MILANO — «Decine di imprese, se non interi settori, anche piccoli, stanno saltandor>. Marco Vitale, partner della «Bersani and Vitale», società di consulenza che opera soprattutto per le medie imprese, è convinto che i prossimi mesi potrebbero rivelarsi difficilissimi per le aziende esportatrici cresciute all'ombra dell'intraprendenza di piccoli e medi imprenditori privi di adeguate strutture e di un efficace sostegno finanziario da parte del sistema bancario italiano. « Quello che manca, in momenti come questi, è la possibilità di trovare capitali da investire permanentemente nell'azienda con cui garantire lo sviluppo o difendere sul medio-lungo termine le posizioni acquisite sul mercato interno e internazionale». Il calo delle esportazioni sta preoccupando interi settori che temono sia una perdita durevole della propria competitività, sia di vedersi insidiare il mercato interno dai concorrenti europei che parevano battuti. «I produttori tedeschi — dice un portavoce dell'Assopiastrelle, 300 aziende, 7-8 miliardi di fatturato in media, 800 miliardi di esportazioni — praticano pressi più bassi di noi e riescono quindi a coprire la domanda aggiuntiva sul loro mercato mentre fuori dall'Europa cominciamo a sentire la concorrenza degli spagnoli che fanno prodotti di qualità più bassa a prezzi molto inferiori». Il risultato è che quest'anno le nostre esportazioni di piastrelle sono stazionarie mentre sono raddoppiate, per la prima volta, le importazioni dalla Francia e dalla Germania. In un altro ramo, quello dell'abbigliamento sportivo, la concorrenza francese si fa sentire in maniera ancora più marcata. «L'inflazione — dice Alfredo Maspes, consigliere delegato della Samas, 12 miliardi di fatturato negli sci e nelle giacche a vento, fornitore della squadra nazionale italiana — ci sta spiazzando». «Se stiamo bassi con i listini 1981 ci saltano i costi; se stiamo alti ci saltano i mercati». Di queste difficoltà approfittano i francesi che stanno recuperando il terreno perduto con una discreta penetrazione in Germania, Austria e persino in Italia. «Hanno l'assicurazione sui crediti all'export, incentivi, sovvenzioni di parecchi miliardi dì franchi» spiega Maspes. Nel settore degli scarponi da sci dove gli italiani erano leaders indiscussi, con grosse aziende come la Nordica, ora ci sono gli austriaci che stanno rialzando la testa a spese di alcuni piccoli produttori italiani che non hanno i muscoli per reggere al primo vento di crisi finanziaria. Un costo del denaro che per chi non ha solide garanzie o grandi dimensioni può arrivare anche al 27 per cento è un potente deterrente per chiunque pensi di poter produrre almeno per un po' per il magazzino o per chi intende riassumere l'offensiva con nuove iniziative tecniche o commerciali. «Se vado a vendere all'estero — spiega un medio imprenditore tessile — le banche mi dicono: Non si allarghi, vada piano» Il vincolo finanziario non solo non sostiene le imprese nei momenti difficili ma tende anche a smorzare lo sviluppo. I produttori di macchine utensili, 1400 miliardi di fatturato, 440 miliardi di saldo commerciale positivo (+ 22 per cento rispetto all'anno passato) dopo aver sottolineato con preoccupazione all'ultima assemblea di categoria le difficoltà che stanno emergendo sui mercati internazionali, hanno chiesto «strumenti a sostegno delle imprese piccole e medie che favoriscano gli investimenti» per mantenere e consolidare le posizioni di forza raggiunte sul mercato interno e su quelli esteri. Maurizio Vitale, amministratore del Maglificio Calzaturificio Torinese, 46 miliardi di fatturato, blue jeans marca Jesus che dopo essere approdati nell'Unione Sovietica stanno ora invadendo la Libia, è convinto che con un aiuto intelligente e oculato l'industria italiana della maglieria e delle confezioni può «prendersi tutta l'Europa». «I giapponesi in questo caso siamo noia. L'appoggio finanziario po¬ trebbe risultare decisivo anche in settori meno «poveri» di quelli della maglieria. «Come fornitori di impianti — dice Cecilia Danieli amministratrice della Danieli, specializzata nella costruzione di miniacciaierie che vende in tutto il mondo dopo averle fatte a Brescia — siamo costretti a chiedere a tassi correnti pre-finanziamenti agli istituti di credito sui contratti di esportazione e non sempre possiamo ribaltare sui clienti questi oneri». La Danieli sta trattando con la Cina la possibilità di ammodernare decine di vecchie piccole acciaierie ma prima di assumere grossi impegni deve valutare attentamente i vincoli finanziari che questi comportano. Le difficoltà delle piccole e medie imprese, tuttavia, potrebbero essere temperate da due circostanze favorevoli: gli ampi profitti del biennio 1978-79 che, secondo l'Ocse, dovrebbero attenuare la diminuita competitività dei nostri prodotti perché offrono il destro di abbassare i prezzi senza soffrire troppo e la maggior propensione del sistema bancario a finanziare la piccola e media impresa dopo le scottature prese con l'Egam o con la chimica. «Il mercato finora — dice Sergio Cumani. vicedirettore del San Paolo di Torino, una delle banche più attive e sensibili ai problemi dell'industria minore — è stato molto ricettivo». Il credito a breve, quindi, si trova anche se costa caro. Quello che manca, riconosce lo stesso Cumani. è il credito a medio e lungo termine con cui le aziende possono finanziare i propri programmi di maggior respiro. «Per le medie aziende — dice Giancarlo Gloder. amministratore della Compagnia privata di finanza e investimenti, la società leader nel settore dei pool bancari a medio termine, un nuovo canale creditizio che ha fatto affluire alle imprese negli ultimi anni non meno di 500-600 miliardi all'anno — non c'è una lira». «Il mercato si è fermato a causa del plafond — spiega Gloder —proprio quando si stava sviluppando dai grossi ai medi prenditori di denaro». «La richiesta di fondi, invece — conclude Gloder — è ancora fortissima soprattutto da parte di quelle società medie e medio-grosse che hanno bisogno dai 2 ai 10 miliardi per finanziare lo sviluppo dei propri programmi». Marco Borsa (2- Continua) MACCHINE UTENSILI IN DISCESA I indice congiunturale Ucimu dei nuovi ordini in termini reali base 1° trimestre 1972 = 100 > 1977 1978 i Fonte: Mondo Economico ) 1979 1980