Con il terrore «in diretta» sul video

Con il terrore «in diretta» sul video MCLUHAN, LA TV E' UN'INTUIZIONE CHE IL MONDO HA MALINTESO Con il terrore «in diretta» sul video Si è dimenticato l'avvertimento del geniale ricercatore scomparso: stare attenti alle insidie del mezzo televisivo, diffidare del contenuto - I reciproci «reportages» filmati hanno acuito la tensione fra Usa e Iran - In Cina va in onda il furore dell'odiata Jiang Qing, ma per i «nuovi timonieri» di Pechino potrebbe essere un fatale errore NEW YORK — Coloro che si occupano di comunicazioni di massa, in queste ore si buttano sulla macchina da scrivere. Sanno di avere un debito con Marshall McLuhan e. ora che è scomparso, desiderano pagarlo. Gli infastiditi del luogo comune sul ..villaggio globale», e quelli che per anni hanno regolarmente parafrasato le famose parole magiche The medium is the message, in ogni discorso sulla televisione. Viene in mente (ed è un giusto omaggio a un uomo spiritoso come McLuhan) la scena del film di Woody Alien Annie e io, quando lui e Diane Keaton sono costretti, aspettando di entrare in un cinema, ad ascoltare il monologo sulle comunicazioni di massa di uno che dice di insegnare alla Columbia University. E Woody Alien va a prendere in un angolo Marshall McLuhan in persotia. E McLuhan affabilmente garantisce al docente che ilei di me non ha capito niente'. «Se solo queste cose si potessero fare davvero nella vita^, esclama Woody Alien Ora non è più il caso di dibattere fra esperti chi ha capito e chi no il discorso del ricercatore canadese. McLuhan ha avuto intuizioni cosi geniali che ha permesso a un'intera generazione di passare avanti e discutere altre cose, di là dall'idea che «il messo è il messaggio», di là dall'intuizione del «villaggio globale». Più interessante è cercare di capire chi ha raccolto e chi no le esuberanti e festose idee sulla televisione di Marshall McLuhan nei centri di potere che hanno e che usano le comunicazioni di massa. Credo che si possano affermare due cose. Nessuno ha notato il primo segnale di McLuhan, «il messo è il messaggio». Tutti invece sono stati estremamente sensibili al secondo, quello del «villaggio globale». Mancando luce sul primo punto e connessione con il secondo, il gioco del puro e semplice controllo politico sul mezzo è stato e continua a essere più forte della compren- sione di esso. Avere in mano il management (una stazione tv) appare a tutti, televisioni di Stato e televisioni private, come la sola cosa desiderabile. Prendiamo l'America. In un'intervista con William Paley (apparsa un anno fa su La Stampa), fondatore e padrone della CBS, la rete televisiva più importante d'America, mi sono trovato di fronte a un uomo di estrema intelligenza e sensibilità che continuava con passione a farmi notare questi due punti: che conta molto la qualità dei programmi. E conta ancora di più l'accettazione di essi da parte del pubblico cosi come risulta dai famosi sondaggi «Nielsen». Paley voleva solo discutere di contenuti (il personaggio, la storia, il come va a finire). Per la parte politica, per le notizie (a detta di molti il suo è 11 miglior giornalismo d'America) Paley, con accanimento, negava che «la televisione sia una fonte di potere». «Noi, diceva, stiamo di lato, siamo dei narratori imparsiali e sensa potere». Purtroppo la sua buona fede faceva torto al suo istinto. William Paley era ed è uno degli uomini più potenti dell'America, come lo è la CBS, che decide stasera che cosa so o ascolto di Carter, che cosa so o ascolto dì Reagan. Prendiamo l'Italia. Da mia madre a PerUni sono tutti convinti che «il messaggio è il messaggio» e non gli sfiora il dubbio che il «messo» se ne vada per conto suo e, giocando con le Immagini e le suggestioni delle immagini cui neppure il regista del programma, neppure il cameraman, neppure il montatore può imporre un totale controllo, provoca sentimenti e reazioni che con quel messaggio hanno un rapporto misterioso, impreciso, a volte (come ha dimostrato l'enormità dell'emozione italiana, personale e pubblica, privata, politica e anche partitica, dopo le sequenze visive del terremoto) neppure ben controllabile. Uomo effervescente nelle sue trovate di comunicazione, amante del divertimento e della sorpresa per affinità naturale con lo strumento al cui studio si era dedicato, Marshall McLuhan forse per questo non è stato preso sul serio. S'intende che la sua intuizione iniziale era solo uno spunto, solo un inizio di una riflessione sulla televisione. Ma il significato è: «Badate che al momento in cui un'immagine compare sul televisore tutto quello che sappiamo è solo che il televisore è acceso e tutto quello che si vede dipende dal fatto che il televisore c'è ed è acceso, non da quel che si vede o si dice in quel particolare momento». Se quel significato è andato perduto se ne va in niente anche la vita di un ricercatore geniale. Da Forlani a Berlinguer sono tutti 11 a cercare «il contenuto del messaggio». Il problema sembra simile, dunque, da una parte e dall'altra dell'Oceano. Ma una volta perso il contatto con l'intuizione originale di McLuhan le conseguenze si possono verificare in due sensi opposti. Paley crede di non avere potere benché il suo strumento, per interi periodi, abbia governato il Paese. Forlani e Berlinguer credono di avere un potere immenso se solo possono controllare la televisione. A tutti McLuhan vorrebbe ricordare che la pura e semplice esistenza della televisione accesa cambia le cose. Ma non nel modo che si aspetta chi controlla la televisione. E le cose non cambiano nel senso progettato o voluto da chi conduce i programmi, benché questa sia ancora la persuasione dei controllori del video. L'illusione è tenace. Davanti alla sua piccola Repubblica sbigottita Pidel Castro, nei giorni scorsi, ha fatto un discorso, video e audio, di 12 ore e mezzo consecutive. E' incredibile quanto sia radicata la persuasione che più resti sul video e più comunichi esattamente quel che desideri. Ma se l'avvertimento di diffidare del contenuto, di prestare più attenzione alle stranezze del mezzo è andato perduto, l'entusiasmo per la tesi del «villaggio globale» è invece radicato come i luoghi comuni sulla fraternità universale che circolano alle Nazioni Unite nonostante le guerre locali e i colpi di Stato. Che il video abbia ristretto il mondo è chiaro, che l'intuizione di McLuhan ne abbia preceduto la constatazione effettiva (che diventerà ancora più vistosa con i satelliti) sono tutte cose che si aggiungono ai meriti del geniale docente canadese. Il problema terribile è che il «villaggio globale» si divide aspramente appena si guarda in faccia. Basta pensare alla crescita di tensione tra Iran e Stati Uniti in proporzione diretta con la crescita dei reciproci servizi televisivi. Il livello delle incomprensioni create dal video, incomprensioni un tempo sfumate dal cauto linguaggio dei diplomatici, diventa violento. Il fatto che esista un grado cosi alto di terrore nel mondo non avrà uno dei suoi tanti semi misteriosi anche nel fatto che viviamo tutti nel «villaggio globale» e lo vediamo «in diretta»'' La risposta è s*. se uno considera questo fatto: siamo in preda al messaggio selvag.gio, una corsa bassa di immagini attraverso il mondo, Paesi del benessere e Paesi della fame. Paesi con una storia e Paesi con una storia profondamente diversa. Il messaggio selvaggio, controllato assai meglio dagli ingegneri dei ripetitori (che almeno li fanno arrivare sempre più nitidi) che dai responsabili dei programmi, si porta addosso di tutto, significati noti e significati ignoti, sogni e provocazioni, appelli ideali e dichiarazioni ostili, secondo un codice che non conosciamo. Certo non hanno letto McLuhan i cinesi che mettono in onda l'odiata Jiang Qing mentre grida le sue invettive e il suo furore. Credono di poter controllare l'effetto di quella immagine e di quelle grida, moltiplicati per 800 milioni. Non vorrei che buttasse male per «t nuovi timonieri». Se McLuhan ha ragione è possibile che i leaders del «dopo Mao» si sbaglino. E, date le proporzioni del loro messaggio, potrebbe essere un errore esemplare, grandissimo. Ma per ora anche il resto del mondo non scherza. Furio Colombo Marshall Mei.illuni in una caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Revlew of Books. Opera Mundi e per l'Italia -La Stampa»)