«Una risposta a Trani» di Paolo Garimberti

«Una risposta a Trani» «Una risposta a Trani» (Segue dalia 1* pagina) con la magistratura perché si tratta di un problema vitale per la democrazia italiana. Quando avvengono fatti del genere evidentemente rimaniamo sconcertati. E' un problema di etica, è un problema di morale più che un problema di rapporti tra noi e la stampa. I cittadini, tutti i cittadini che vogliono il bene della democrazia devono sentire il preciso dovere di collaborare ad estirpare un male che mina la nostra democrazia». — Come definisce oggi i vostri rapporti con la magistratura? Si può ancora parlare di «un'ingiustizia che assolve», come denunciò proprio un alto ufficiale dei carabinieri? Fu un'accusa grave, ma le recenti polemiche sulla procura di Genova sembrano rilanciarla. «Quella frase voleva manifestare il disappunto dell'Arma per certe soluzioni. Non voleva essere una critica, o peggio ancora un'accusa contro la magistratura. I rapporti con la magistratura, posso assicurarlo, sono veramente eccellenti. Da quando sono comandante io non ho avuto alcuna sensazione che vi fossero rapporti men che corretti, addirittura cordiali, di stretta collaborazione, con la magi-stratura in tutte le procure della nostra Repubblica». — Però spesso negli ultimi tempi abbiamo sentito di persone arrestate come terroriste quando erano state scarcerate in istruttoria o mandate assolte in processi pochi mesi prima. «Certo, questo può essere un fatto sconcertante. Ma noi abbiamo un compito, la magistratura ne ha un altro. A noi spetta di dare alla magistratura i riscontri obiettivi per poter perseguire queste persone. Io non ho altro scopo nella mia azione che di consigliare ai collaboratori di fornire sempre prove tali per cui gli elementi che vengono arrestati non siano poi tirati fuori». — Lei ha detto, nel recente discorso alla scuola ufficiali, che il terrorismo non si estirpa solo militarmente: è anche un problema politico. Che cosa intendeva dire? «Ho inteso dire che non basta sviluppare un'azione repressiva, ma si tratta anche e soprattutto di recuperare quella grande frangia di simpatizzanti da cui il terrorismo attinge continuamente nuovi adepti. E' il famoso discorso dei pesci e dell'acqua: da una parte dobbiamo prendere i pesci, ma dobbiamo togliere anche l'acqua perché non ci siano altri pesci che diano poi ulteriore sviluppo a questa lotta contro le istituzioni». La rubrica «Fantacronache», di Stelano Reggiani, è a pagina 7. . ] mento — Come si fa a togliere l'acqua? «Si tratta di rioccupare culturalmente degli spazi che sono stati abbandonati c ceduti ad altri. E' proprio un fatto di impostazione filosofica, se cosi si può dire. Cioè bisogna convincere molti giovani che i problemi che affliggono la società italiana possono essere risolti soltanto in maniera diversa da come loro pensano di risolverli: non con la distruzione, con l'annientamento in vista di un'ipotetica società che neppure loro sanno quale sia, ma facendo vedere che all'interno del sistema si può operare per riformare, modificare e cosi pervenire a quei risultati cui loro vogliono pervenire in maniera democratica». — A proposito di «recuperi», parliamo dei terroristi pentiti. Come si spiegano tanti pentimenti? Metodi diversi di trattamento degli arrestati? Allettamenti? «Ci sono molte cause concorrenti. Da una parte le possibilità offerte dalla legislazione, cioè l'attenuazione delle pene. Dall'altra parte, ed è un fatto molto importante, c'è una crisi che chiamerei proprio di tipo culturale. Molti giovani si sono resi conto che questa lotta armata non ha sbocchi concreti. E questo fatto ha agito con un procedidirei, di contagio sociale: quando si determinano queste crisi, l'iniziatore ha immediatamente molti seguaci perché anche alcuni che serbavano in sé il sospetto di un fallimento hanno avuto un esponente che l'ha manifestato. Non ci si deve stupire, perciò, che dal caso singolo si sia passati ad una pluralità di casi di pentiti. In realtà era un insieme di giovani pensanti che hanno compreso che il meccanismo di sovvertimento con la violenza non ha funzionato perché mancava il fatto fondamentale: la conquista del consenso e dell'appoggio delle masse». — Lei sembra credere che il terrorismo sia un fenomeno essenzialmente nazionale. E i collegamenti internazionali? «Ci sono tanti terrorismi e ricondurli sotto un'unica etichetta è molto difficile. L'elemento unificante dei vari terrorismi potrebbe essere, per chi volesse sfruttarlo, il fine destabilizzante di un certo modo di vivere. Per una parte potrebbe essere interessante destabilizzare l'Occidente e per un'altra parte destabilizzare l'Oriente. Quindi, nella grande strategia internazionale, delle superpotenze o dei blocchi di potenze, la destabilizzazione è un obiettivo strategico, che si può perseguire utilizzando dei terrorismi particolari, che di volta in volta si determinano». — Generale, lei ha usato spesso in questa conversazione la parola avversario. Si sente in guerra? «Io ho usato due espressioni: minaccia ed avversario. Derivano certo dalla mia origine. Mi sono sempre occupato di questioni di tattica e di problemi di strategia, dove la controparte è sempre l'avversario e l'azione della controparte è sempre la minaccia. Ma io non voglio certo generalizzare queste espressioni facendo sembrare che siamo in guerra. Siamo in lotta contro una forma di criminalità, che è molto pericolosa, ma non è neppure l'unica. Ed io, comunque, anche in un giorno doloroso come questo, resto ottimista. Ottimista nella saldezza delle istituzioni e nella tenuta della democrazia di questo nostro Paese». Paolo Garimberti

Persone citate: Reggiani

Luoghi citati: Trani