Il fascino di una città che rimane Berlino nonostante tutto

Il fascino di una città che rimane Berlino nonostante tutto Il fascino di una città che rimane Berlino nonostante tutto COME l'Odissea spaziale di Kubrik non è alla fine che un'immersione biologica dentro l'uomo, cosi un viaggio a Berlino si tramuta sempre in una discesa dentro la propria anima. Il «muro» separa due città ma. al di là d'ogni retorica, è inciso dentro ogni europeo. Divide strade, tronca linee ferroviarie coperte di muschio in inverno e fiorite di ginestre a primavera, ha tramutato stazioni della metropolitana ormai inutili in fantascientifiche conigliere o protettrici voliere per uccelli migratori, ha «accecato» le finestre delle case prospicienti o fatto sorgere scintillanti grattacieli propagandistici e a oltre vent'anni dalla sua costruzione (agosto '61), è diventato una cicatrice in ognuno di noi. Quando lo si vede per la prima volta, scopriamo a un tratto di averlo sempre sar puto. E' il muro tra due Eden pretesi e presunti, ma la sua esistenza dimostra brutalmente che il paradiso non esiste. Né da una parte, né dall'altra, qualunque sia la nostra opinione politica. Il suo passaggio diventa un rito: i «vopos». i poliziotti di frontiera orientali che, come burocrati xoyeurs scrutano con specchi contorti sotto la vostra vettura, o vi prelevano il passaporto al Check Point Charlie e poi scompaiono per attese senza fine, immotivate, che definirete ovviamente «kafkiane», la vista dei cavalli di frisia nella terra di nessuno, a volte arruginiti, a vol¬ te appena lustri, quasi scintillanti d'olio, all'inizio vi sembreranno 11 prezzo del viaggio. Dopo capirete che erano «il viaggio». . Siete venuti masochisticamente per sentire il salto da un mondo all'altro. Se tutto si dovesse svolgere ra-pidamente, senza teatralità, c spesso capita, ne rimarreste delusi. Vi hanno defraudato di qualcosa, come un penitente che da un confessore severo si vede impartire appena un «Pater Noster» d'espiazione invece di frusta e cilicio. In fondo, a E-rlino ci si va come alla corrida. Si attende il sangue del torero e non del toro. Gli spari sul muro, nella notte e non il silenzio. Alle vostre spalle avete lasciato le luci della KurfUrstendamm. questo sentiero luminoso che percorre diritto e in discesa la grande fiera del sistema occidentale che è diventata Berlino Ovest. I tre settori (il francese, l'inglese, l'americano) non sono un'autentica città, ma un accampamento di gigantesche tende di vetrocemento, erette per durare qualche anno, non di più. Al centro, gli architetti ricoprono magari le pareti di viscide pellicce di plastica, per ragioni estetiche o per annoiata fantasia. In periferia, colorano i palazzi come costruzioni «Lego», già pronte a essere smembrate e rimontate. Ai tempi di Weimar, la Kurfùrstendamm veniva considerata la passeggiala più elegante d'Europa, ben più degli Champs-Elysées. I suoi chilometri erano la passerella vitale per le donne più belle del tempo e per i geni dell'arte. Oggi, senza una logica, pellicciai esosi si alternano ai sex-shops, antiquari raffinati alle banche, alle pizzerie e ai dancing immensi arredati alla Warhol. Ieri vi cantava la Liza Minnelli di «Cabaret», stasera Nina Hagen. Dietro i cristalli dei caffè, clienti anziani (l'età media dei residenti è oltre i 60) mangiano con lentezza fette vaste di torte di mirtilli coperte di «Schlagsahne», vaporosa panna montata, e osservano fuori i passanti chs a loro volta osservano loro o i dolciumi. Tutti si muovono con frenesia, tranne le prostitute, immobili al limite del marciapiede, nude sotto le pellicce. Davanti alla Gedachtniskirche. unico spezzone nero e frastagliato lasciato in ricordo della guerra, scintilla la scritta al neon -Berlin bleit dodi Berlin». Berlino rimane nonostante tutto Berlino. Qui, un anno prima che a Parigi, è nata la rivolta studentesca, qui hanno sparato a Dutschke e qui. aveva immaginato Gunter Grass nel suo romanzo «Anestesia locale». un ragazzo avrebbe bruciato vivo un bassotto davanti agli occhi delle signore sedute a divorare dolci nel bar dell'Hotel Kempinski «per far vedere loro che cosa succede nel Vietnam». Il giovane di Grass esisteva per davvero. Si chiamava Andreas Baader e la storia nella realtà fini in modo di- verso. Anzi, forse non è ancora finita. L'editore Springer ha eretto il suo grattacielo ricoperto d'ottone che scintilla come oro proprio sul muro, per sfida, simbolo dell'opulenta società dei consumi. Dall'altra parte hanno eretto palazzi più alti e luminosi. Di notte, dal caffè ruotante in cima alla torre della tv a Berlino Est. è difficile orientarsi. L'Alexanderplatz non è più quella di Dbblin. ma uno sconfinato parcheggio per i pullman di turisti, che vengono da Budapest o da Praga ,a caccia di ciò che non potranno mai trovare nei negozi in patria. L'Alexanderplatz è la Manhattan dell'Europa Orientale. Le vetrine sono meno scintillanti, ma nel ristornati i camerieri indossano il frac. Una differenza c'è. Al' l'Est il muro è grigio. Ad Ovest è coperto di graffiti, inni alla libertà o parole oscene. L'eroe della «Spia che venne dal freddo.', il romanzo di Le Carré, vi mori proprijp in cima, simbolicamente a metà fra due mondi. O due supermercati? Roberto Giardina Piazza dello zoo con l'uscita dalla sotterranea e, sullo sfondo a destra, il campanile della Kaiser-Wilhelm-GedUchlnis-Kirche, unico rudere