Le foreste che respiriamo

Le foreste che respiriamo Il WWF denuncia un attentato ai polmoni del mondo Le foreste che respiriamo NESSUN caso di distruzione ecologica oggi in corso sulla faccia della Terra — neppure l'avvelenamento del mare e il saccheggio delle sue risorse biologiche — è più grave, più intricato, apparentemente più insolubile della distruzione delle foreste tropicali. A dire 11 vero non si tratta di .un» caso, perché ha tutti i caratteri dell'assalto finale della cosiddetta civiltà industriale all'ultima vera frontiera della natura selvaggia su questo pianeta — a parte gli oceani —, una frontiera che racchiude, su meno di un decimo della superficie globale, circa metà del patrimonio genetico terrestre: letteralmente milioni di specie di piante e di animali. Le foreste tropicali umide (o piovose) sono la più ricca espressione della vita che sia apparsa sulla Terra. Fra gli ambienti terrestri più antichi e più stabili, dotati di una continuità storica che in qualche luogo arriva a 50 milioni di anni, esse costituiscono degli ecosistemi di straordinaria varietà e complessità, composti di .specie di flora e di fauna completamente diverse in ognuno dei tre continenti che le possiedono: l'America Centrale e del Sud (57 per cento del totale). l'Asia sud-orientale (25 per cento) e l'Africa (18 per cento). Anche all'interno di una suddivisione biologica regionale, si possono trovare più tipi differenti di foresta tropicale che tipi di foresta in tutte le zone temperate del mondo. Ciò non deve meravigliare se si tiene conto che, per esempio, nella sola Malacca (che è più piccola dell'Italia) esistono ben 2500 specie di alberi. Simile ' è la ricchezza della fauna che la abita. A parte 1 milioni di specie di insetti e di altri invertebrati, per lo più non ancora descritte né classificate, non è forse un caso che il continente più ricco di foreste tropicali, il Sud America, sia anche il più ricco di avifauna: più di un terzo delle quasi 9000 specie di uccelli del mondo vivono là. In particolare, un'indagine su 140 ettari di foresta umida in Panama e Costa Rica ha accertato la presenza di oltre 500 specie residenti di uccelli, più di quelle dell'intera Europa. Non occorre essere scienziati naturali per rendersi conto dell'eccezionale ricchezza di queste foreste, che sono state giustamente considerate il laboratorio e il magazzino della vita sulla Terra, nelle quali l'evoluzione ha forgiato, forgia e conserva innumerevoli forme viventi, in parte migrate e adattatesi a popolare le zone più fredde del pianeta, come d'altronde durante le ere glaciali furono il rifugio della vita, che poi di qui si irradiò di nuovo. Chiunque abbia visitato un piccolo tratto di foresta tropicale, ha certamente notato il lussureggiante sviluppo delle cosiddette epifite, cioè le piante che crescono sopra le altre piante, per cui gli alberi maggiori sostengono una massa traboccante di felci, licopòdi, muschi e di splendide orchidee, valutabile non in chili ma in tonnellate, che anche esteticamente ridicolizzano le più elaborate composizioni dei giardinieri nostrani. L'Impressione generale è maestosa, per le dimensioni imponenti dei tronchi, per i festoni e i tralci dei ficus e delle liane che pendono nel¬ la verde penombra della fitta cupola, per i rari sprazzi di color rosso e arancio che appaiono attraverso qualche squarcio: si tratta di foglie, qualche volta di vere fioriture, tanto più splendide quanto più alte ed estese sono le chiome degli alberi che le esibiscono. Molte risorse nelle fore¬ ste tropicali umide sono già utilizzate e più ancora, fra le poco o affatto conosciute, sono certamente utilizzabili — se conservate e sfruttate con intelligeznza. Ma forse 1 maggiori servizi all'umanità (e alla biosfera) le foreste tropicali 11 forniscono già ora, semplicemente esistendo nel loro stato naturale. In primo luogo contribuiscono alla stabilità del fondamentali cicli globali del carbonio, dell'ossigeno e dell'azoto, che sono gli elementi costitutivi di tutti gli organismi viventi. In secondo luogo regolano 11 clima, non solo locale, e svolgono un ruolo probabilmente importante nel bilancio dell'a¬ nidride carbonica dell'atmosfera. Se, a causa dello sviluppo industriale mondiale, l'anidride carbonica crescesse oltre un certo limite, potrebbe derivarne un riscaldamento complessivo dell'atmosfera, con imprevedibili mutamenti del clima e della distribuzione delle piogge, probabilmente dannosi per le coltivazioni delle attuali zone agricole, anche temperate. Ciò non è scientificamente sicuro, ma se, per la distruzione delle foreste, dovesse rivelarsi vero, sarebbe troppo tardi per porvi rimedio. Localmente le foreste tropicali umide sono ancora più preziose. A parte la risorsa commerciale più Importante —11 legname—su cui torneremo parlando della loro distruzione, esse costituiscono anzitutto la «casa» di alcuni milioni di indigeni, del quali gli lndlos amazzonici e gli aborigeni della Nuova Guinea sono solo 1 più noti. Quali che siano le opinioni sull'opportunità e sul modi di civilizzare quelle popolazioni, è Incontestabile che la distruzione delle «loro» foreste significa la fine delle loro Identità etniche e culturali, come pure di molti loro individui, e tutto sommato rappresenta un atto di violenza che si discosta poco da quelli avidi ed efferati degli antichi conquistadores. Per le popolazioni agricole più o meno civilizzate che vivono al margini delle foreste tropicali umide e che da esse traggono soprattut¬ to legna da ardere oltre a ri-, sorse alimentari e d'altro' genere, la principale utilità della foresta è senza dubbio la protezione del suolo. Sorprendentemente, 1 suoli che alimentano le più rigogliose foreste tropicali sono In generale di bassa qualità e poco adatti all'agricoltura, tanto che molte di esse sono state definite «deserti coperti d'alberi». Infatti — a differenza delle zone temperate — quasi tutte le sostanze organiche si trovano nella vegetazione viva, non nel suolo, e quando la vegetazione è tagliata, 11 sottile strato superficiale del terreno viene presto dilavato, lasciando argilla che indurisce o sabbia, buone per pochi raccolti. Cosi l'ambiente più rigoglioso c vitale della Terra si trasforma in un virtuale deserto. Per tutti questi motivi il Fondo mondiale per la natura (Wwf) e la sua controparte scientifica, l'Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), hanno lanciato il mese scorso una campagna internazionale volta ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica e dei responsabili politici su questo che, lungi dall'essere un problema marginale di conservazione della natura, lontano dalle residenze e dagli interessi della maggior parte dei popoli «sviluppati», in realtà riguarda concretamente ciascuno di noi. Francesco Framarln 1) Una strada può uccidere la foresta tropicale, la maggiore, luce che entra favorisce la crescita di una vegetazione densa 2) Con l'arrivo dei coloni inizia la distruzione del sottobosco' per piantare altri vegetali che diano raccolti utili alla gente 3) Per esempio le coltivazioni di banane non proteggono il suolo dal sole bruciante e l'humus viene lavato via dalle piogge 4) La mancanza di umidità fa morire anche gli alberi di banana e l'erosione ha inizio. I piantatori partono. Resta il deserto

Luoghi citati: America Centrale, Asia, Costa Rica, Europa, Italia, Nuova Guinea, Panama, Sud America