Leonardo dipinse la Cena e Ludovico gli regalò una vigna di Alfredo VenturiGuido Lopez

Leonardo dipinse la Cena e Ludovico gli regalò una vigna I rapporti tra l'artista e il Moro nella Milano del '400 Leonardo dipinse la Cena e Ludovico gli regalò una vigna . E vostra signoria si credessi ch'io avessi dinaro, quella s'ingannerebbe...». Con questo bel giro di parole, Leonardo bussa alle ben fornite casse di Ludovico. Sono i primi anni della coesistenza fra i due personaggi a Milano. Che cosa risponde il Moro alla garbata sollecitazione del suo ingegnere ducale? Non lo sappiamo: quel che è certo è che negli anni successivi, gli Anni Novanta, la condizione economica di Leonardo migliora vistosamente. Tanto che potrà contare su un confortevolissimo stipendio, duemila ducati l'anno (sono sette chili d'oro), e sui doni del Moro: come la celebre vigna di sedici pertiche con cui il duca dirà grazie per l'Ultima Cena. Sui rapporti fra Leonardo e Ludovico, nella Milano di fine Quattrocento, è uscito un bel libro di Guido Lopez pubblicato da Mur¬ sia. Il titolo, La roba e la libertà, riprende la concisa annotazione, di una freddezza glaciale, con cui Leonardo commenta la caduta di Ludovico: «il duca perso lo stato la roba e la libertà, e nessuìia sua opera si fini per lui». Più ancora che i rapporti fra i due, in fondo non proprio intensi, conta e ha significato il singolo rapporto di Leonardo e del Moro con Milano. Lo Stato di Ludovico è fra i più floridi d'Europa, e non tarderà a stuzzicare robusti appetiti francesi. Un milione di abitanti, un'agricoltura d'avanguardia, una capitale che è già un centro d'indu-« strie, strade e canali che solcano le campagne di Padania. E tanto oro: Lopez descrive una scena paperonesca che a quanto pare si ripeteva nella sala del tesoro al Castello. Il duca invita il corpo diplomatico per abbagliarlo con argenti e gioielli, e un tappeto di sedici braccia per tre pieno di ducati d'oro. L'ambasciatore fiorentino, Pandolfinl, che deve riferire a Lorenzo, ficca un dito fra le monete per apprezzare il valore dell'esibizione: saranno state cinquecentomila, manda a dire al Magnifico suo signore. Dunque oro, e grandi feste, cacce, fanciulle che vengono spose a Milano con fastosissimi cortei: secondo una politica matrimoniale del Moro che vuole confermare l'ancora fresca nobiltà degli Sforza, consacrata dalle nozze del padre Francesco e di Bianca Maria Visconti, e Insieme riscattare la propria Incerta posizione politica di reggente transitorio. Ecco perché quelle fanciulle vengono dalla corte estense o dalla illustre casa d'Aragona. In questa stessa Milano, festaiola e sensuale, ci sono spaventose pestilenze, favorite da una condizione urbanistica disgraziata che Leonardo vorrebbe risolvere a modo suo, separando la gente ben nata dalla plebaglia: non è proprio un gran democratico, il nostro anticipatore della tecnologia moderna. Su tutto questo, l'incombere della guerra. Ecco, di fronte al bene e al male del secolo, la straordinaria impassibilità leonardesca. Alle feste fornisce complicati meccanismi, per la guerra progetta macchine micidiali: ma non va alle feste e non fa la guerra. Se partecipa a una caccia ducale, lo fa solo per schizzare cavalli. Anche perché sta preparando il suo. di cavallo, 11 grande monumento equestre di Francesco che celebrerà la gloria degli Sforza. L'impresa -non si fini per lui»: il metallo necessario alla fusione viene infatti dirottato a usi bellici. E sul gigantesco modello di creta i balestrieri guasconi che occupano Milano, ottima gente di guerra ma certo impermeabile a ogni sospetto di cultura, si eserciteranno nel tiro al bersaglio. Perché sul fertile ducato milanese, ormai la chiave politico-militare della supremazia in Europa, si sono abbattute le cavallette della guerra. I balestrieri guasconi e gli alabardieri svizzeri, gli arcieri di Scozia e i cavalieri di Francia, i cannoni degli artiglieri borgognoni e le scimitarre degli stradioti dalmati. Un'ondata che travolge il Moro, la sua passione, la sua ambizione, le sue alleanze sbagliate, o inutili, la sua prorompente umanità: mentre Leonardo osserva imperturbabile come da un altro pianeta. «Il duca perso lo stato la roba e la libertà A proposito di roba: presto chiederà ai francesi che gli si riconosca la proprietà della vigna acquisita a colpi di pennello. E dopo aver progettato fortezze per Cesare Borgia individuerà nel potere, francese, nella monarchia che va facendosi largo in Europa, il nuovo luogo d'eccellenza per la propria Ubera creatività. Alfredo Venturi Guido Lopez: «La roba e la libertà - Leonardo nella Milano di Ludovico II Moro», Mursia, 286 pagine, 24.000 lire. gna Schizzi di Leonardo per .'«Ultima cenai)

Persone citate: Cena, Cesare Borgia, Guido Lopez, Lopez, Maria Visconti, Moro, Sforza

Luoghi citati: Europa, Francia, Milano, Scozia