Ecco i migliori dischi del 1982

Ecco i migliori dischi del 1982 Le classifiche, i dischi, i personaggi e le fantasie di Mister Fantasy Ecco i migliori dischi del 1982 Non si sa bene perché, ma arriva la line dell'anno, e tutti concordi a dire che non è successo praticamente nulla, «tranne le solite cose». Forse è solo un'altra maniera per tarsi piacere in ritardo le cose dell'anno precedente. O torse il mondo degli addetti ai lavori va davvero poco in giro la notte, ma neanche guarda il televisore. Forse non è stato un anno con molti capolavori, ma è stato l'anno del definitivo boom dell'elettronica: Syndrums, Fairlighe, Prophet, Linn Drum. Roland Microcomposer, sono alcuni dei nomi dei moltissimi aggeggi elettronici che — sia nell'uso ritmico (batteria e basso) che in quello melodico (tastiere) — hanno trasformato il suono del pop degli Anni 80. Nel 90 per cento dei casi, la possiamo considerare tecnologia applicata alla danza. E in funzione della danza elettronica è stato riciclato o reinventato tutto: il tribale, il beat, il rockabilly, il rylhm'n'blues, il melodico, il rap, il lunk e anche, mi sembra pure giusto, la disco music in persona. Vediamo di districarci attraverso tutto quello che ha offerto la produzione '82: quella straniera questa settimana, e l'italiana la prossima. Allora: visto tutto quel che si è detto sulla tecno-dance, il mio gruppo dell'anno è il duo dei «Soft Celi». Inglesi, gay. minimalisti coi dono .della sensibilità soul nera, in due album («Non Stop Erotic Cabaret» e «Non Stop Ecstatic Dancing») hanno messo tutto il calore possibile nelle loro macchine. Mostrando davvero che chiunque può avvicinarsi a una tastiera o una batteria elettronica e creare il suo disco. Dopo l'album-guida del genere, «Dare» degli «Human League», infatti, sono fioriti mille gruppetti con I loro disco-mix incisi in casa. Fra i gruppi già più sofisticati, grandi gli «Yazoo. («Upstairs At Eric'e»); un altro duo in cui la voce è però quella della strepitosa Alison Moyet, che ha creato con le tastiere di Vince Clark un contrasto affascinante e incredibilmente dinamico. Il primo gruppo di Clark, I «Depeche Modo», hanno anche essi prodotto un album («A Broken Freme») avvolgente per ritmi e sonorità. Sulla stessa falsariga. «Tin Drum» dei Japan Rio dei Duran Duran, e Quarte) degli Ultravox (il cui suono è stato uno dei più copiati degli ultimi anni) sono altri esempi di come l'elettronica ha mutato il pop Anni 80. E In questo filone, accanto a ragazzini terribili come gli «Haircut 100» (Il lo'o debutto, gioioso e fresco di funk, si chiama «Pelican West»), troviamo vecchietti altrettanto dinamici: capintesta naturale Phil Collins, che da sosia di Peter Gabriel è maturato in grande strumentista, cantante e mente creativa: più che discreti sia il suo «Hello I Must Be Going» che l'album pro¬ dotto per Frida (la bionda svedese del gruppo di pop tradizionale più venduto nel mondo, gli Abba), «Something's Going On». Sul lato più intellettuale della medaglia, lo stesso Peter Gabriel: il camaleonte per eccellenza continua a crescere, e il suo «4,», una rivisitazione africana in chiave di synt, è splendido; misterioso, arcano e mistico come solo Gabriel sa essere. O l'americana Lauri© Anderson, con la sua tecno-sagat «O Superman», e il cerebrale — ma a tratti geniale — album che la contiene, «Big Science». O i redivivi per antonomasia, i King Crimson, con il loro Beat, uscito al fianco del primo album solo («Lone Rhino») del loro chitarrista-volante, Adrian Belew. Ancora grande pop music — non più elettronica, ma vivace e ballabilissima — quella degli americani Oing Boingo («Nothing To Fear»), degli australiani Men At Work con il loro «Business As Usuai» (che contiene un prossimo hit anche italiano, c'è da giurarlo. «Who Can It Be Now»), degli Inglesi Allered Images con «Pinky Blue», e delle americane Josie Cotton («Convertible Music») e Go-Go's: tutto sommato, sono proprio loro, le ragazzine terribili californiane, a meritare la palma di nuovi personaggi dell'anno, e «Vacation» mantiene tutto quello che promette. Tre album che suona strano definire pop, ma che nient'altro sono, anche se con swing e classe da vendere, sono «Nightfly» di Donald Fagen (la metà degli Steely Dan), «Night and Day» di Joe Jackson (finalmente un top 5 in Usa per lui), e «Wild Things Run Fast» della Signora-Regina incontrastata, Joni Mitchell. Elvis Costello con «Imperiai Bedroom» si è confermato l'autore più dettagliato, lucido, e pungente di quella che si chiamava new wave: ora, proprio la varietà d'ispirazione di gente come Costello ha sbriciolato II senso della parola. Mentre si sprecano i paragoni con Sgt Pepper's, qualcuno che a quei tempi c'era di sicuro, Paul McCartney, con «Tug Of War» realizza — lui cosi distratto, perfezionista e casuale insieme — forse II suo album solo migliore. Ma a dire il vero non è l'unico •storico» a invecchiare bene: «Talking Back To The Night» di Steve Winwood — critiche cosi cosi o no — sul mio piatto è girato molto spesso; Gary Brooker, dopo diversi anni dallo scioglimento dei suoi Procol Harum ha debuttato alla grande con un disco dal grandeur d'altri tempi (e infatti è passalo inosservato), «Lead Me To The Water». Lou Reed in «Blue Mask» ha, come al solito, centellinato i pochi momenti di memorabililà; Brian Ferry ha dimostrato di essere ancora quello che danza via in smoking meglio di tutti: «Avalon» è il miglior disco del «Roxy Music» dai tempi di Siren (1975). Molli dei reduci dei '60 e 70 hanno inciso nell'82 un album dal vivo. Fra tutti, solo «In Central Park» di Simon and Garfunkel e «Live It Up» di David Johansen trionfano. «Absolutely Live» di Rod Stewart, «Stili Life» degli Stones, e «In Concert» di Jiml Hendrlx, sono solo buoni dischi. Robert Plant è stato il primo dei tre rimanenti Led Zeppelin dopo la morte di John Bonham e relativo scioglimento a uscire in proprio: «Pictures At Eleven», e tutto è come prima. Alfro rock duro di classe è «Get Ner< vous» di Pat Benatar, tipetta grintosa assai, e r'n'roll nella tradizione dei poeti maledetti è arrivato da Jim Carrai («Dry Dreams») e Tom Verlaine («Words From The Front»). Sempre nell'ambito del rock americano più classico, c'è il nuovo capolavoro di Tom Petty, «Long After Dark», un ottimo Warren Zevon («The Envoy», in quest'anno di spie), il primo solo della voce degli Éagles, Don Henley («I Can't Stand Stili»), e il secondo dell'ex spalla di Jackson Browne, il magico chitarrista David Lindley («Win Thls Record»). E, naturalmente, «Nebraska» del più grande in assoluto, Bruce ! Springsteen: ma una volta apprez • I zata la onestà e il coraggio di fare un disco acustico, tetro, certo poco invogliante all'ascolto, la mia sensazione è che non c'è nulla di nuovo all'orizzonte del suo parabrezza. Ripetitività — anche se anch'essa onesta e piena dell'abituale grinta — in «Combat Rock» dei Clash, e in «Beautiful Vision» di Van Morrison. Ma forse quest'ultimo in Kevin Rowland e I suoi Dexy's Midnight Runners ha trovato il suo erede: «Too-Rye-Ay», ovvero rylhm'n'blues celtico, è tanto bizzarro qui o elficace. Buon punk Usa con gli «X» («Under The Big Black Sun»), e buon ritorno di Tom Waits nella colonna sonora di «One From The Heart». In tema di ritmo, come dimenticare il vecchio caro reggae? La produzione |amaicana (o inglese) non arriva in Italia se non in rari casi. Il reggae migliore quest'anno è arrivato dagli inglesi Steel Pulse («True Democracy»). dal trio jamaicano dei Black Uhuru («Chili Out»), e dal primissimo compagno di Marloy nei Wailers. Bunny «Wailer» Livingstone («Sings The wWIters»), «Raiders Ol The Losl Dub. è il disco-dub (strumentale rimissato) dell'anno. La sezione ritmica Shakespeare/Dunbar è anche dietro al reggae-funk bianco del redivivo Joe Cocker («Sh.?"ield Steel»), e al post-reggae. metallico e futuribile, di Grace Jones («Living My Lite»). Mono fascino, ma tanta grinta, in «Nunsexmonkrock» di Nina Hagen. Inline. tre fusioni che partono dal rythm'n'blues: con il pop da gigolò («Abc», «The Lexicon ot Love»), con il tecno-funk («Pnnce». il doppio «1999»), e con il pop-rock classico («Hall and Oates, H2 o»). Quello che rimane è il rap: «Grand Master Flash» («The Mesage») è forse il disco dell'anno di black music, cosi come le vendite segnalano obbligatoriamente «Emzelhatt» dell'austriaco Falco Se vi piace Falco prestate un orecchio anche a Joachim Witt («Edelweiss»). E se vi piace tutto, o non vi piace nulla, l'ultima spiaggia è un viaggio tropicale con tri deliziose noci di cocco: «Tropical Gangsters», di Kid Creole and the Coconuts, è stato eletto dalla critica «disco dell'anno», anche col mio voto. Carlo Massarini Mi*icr Fantasy!

Luoghi citati: Front, Italia, Nebraska, Usa