Rossini profeta con Maometto alla corte di Francia di Massimo Mila

Rossini profeta con Maometto alla corte di Francia «L'assedio di Corinto» inaugura a Firenze la stagione lirica del teatro Comunale Rossini profeta con Maometto alla corte di Francia Katia Ricciarelli e Nicola Ghiulelev tra i protagonisti DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FIRENZE — Ola il Maometto li, scritto per Napoli nel 1820, apparteneva a quel periodo In cui Rossini, abbandonati 1 trionfi dell'opera buffa, si applicava ad approfondire uno stile aggiornato di melodramma serio. Il rifacimento francese, sei anni dopo (Le siège de Cortnthe), non è una mera traduzione linguistica, e nello stesso tempo non contraddice la precedente opera napoletana; non la prende a contropelo, ma semplicemente ne sviluppa le direttive verso l'acquisizione di un dramma serio, dove le seduzioni belcantlstlche stano subordinate a necessità espressive e drammatiche, secondo le consuetudini teatrali d'Oltralpe. Rossini, in altri termini, si arruola nelle file dei post-gluckiani, prendendo atto di quella cosiddetta riforma, che da Vienna era trasmigrata a Parigi, sorvolando gli ignari campi elisi dell'opera italiana. I mezzi per questa, acquisizione sono: l'intensificazione, quantitativa e qualitativa, del recitativo; l'irrobustì- ■ mento dell'orchestra; la riduzione del numero di arie solistiche a favore di insiemi e concertati (L'assedio di Corinto è l'opera dei terzetti: tutti quelli che è possibile ottenere con le diverse combinazioni di quattro personaggi principali). Siccome, però, la vivacità d'invenzione musicale, l'icastica definizione della melodia c del ritmo, restano quelle del Rossini di sempre, il risultato si potrebbe descrivere come la produzione d'un Cherubini o d'uno Spontini clie avessero del gei-io. E tanto va avanti, l'ex maestro dell'opera buffa, su questa strada, che ha come punto d'arrivo il Guglielmo Teli e l'istituzione del «grand-opéra», che già talvolta la pregnante qualità espressiva della melodia vocale taglia l'erba sotto i piedi al giovane Bellini (vedi, per un esempio di accecante evidenza, il duetto Maometto-Palmira del second'atto). E siccome chi va col zoppo impara a zoppicare, non è detto che Rossini, nell'enorme estensione accordata al recitativo, per esempio nel terz'atto, non sfiori anche deserti di noia cherubiniana o sacchiniana, che per l'autore di Cenerentola e del Barbiere sarebbero stati un fatto inconcepibile. Oltre a trovarsi In un crocevia della storia del melodramma, quest'opera si presta anche molto bene a realizzare uno spettacolo grandioso, da inaugurazione di stagione, e quest'occasione il Comunale ha sfruttato positivamente, affidando tutta la parte spettacolare — scene, costumi e regia — al talento di Pier Luigi Pizzi, che ha ideato scene grandiose e piene di sfarzo scaligero, con similoro a profusione, effetti sensazionali, di crolli di mura e incendi in lontananza (talvolta, dietro quest'opera, sembra di vedere in filigrana La clemenza di Tito, vuoi quella mozartiana, vuoi le infinite altre clie il testo metastasiano aveva prodotto In Italia). L'opulenza della messa in scena non pregiudica fortunatamente i diritti di quel poco di azione proposta dallo sciagurato librettacclo di certi Luigi Balocchi e Alexandre Soumet, mentre quello napoletano era dovuto alla penna del duca Cesare Della Valle. Come s'è detto, L'assedio di Corinto si allontana ormai dagli stupidi paradisi del bclcantlsmo fine a se stesso, ma ciò non toglie che la sua corretta esecuzione richieda ugole temprate a quella difficilissima scuola (e questa è la ragione principale delle sue scarse rappresentazioni ai nostri tempi). Il Teatro Comunale ha radunato quanto di meglio offre il mercato, specialmente con una Kalia Ricciarelli pervenuta al grado della sua massima perfezione vocale, sicura nell'intonazione che un tempo non le riusciva cosi immediata e perentoria, gentilissima e tenera nell'espressione, e capace di dimensione tragica nella nobiltà del gesto. Bravissimo anche Ottavio Garaventa. A sentirlo sparare con tanta generosità nel primo atto, ci siamo chiesti se avrebbe retto fino alla fine. ÌHa retto benissimo, grazie anche al fatto che il peso della sua parte si attenua un poco negli atti successivi. Un'indisposizione di Sandra Browne ha chiamato alla ribalta Martine Dupuy, un'artista francese che da alcuni anni si fa valere in Italia. E' più mezzosoprano che contralto, e, nella gentilezza e finezza della sua emissione, dovrebbe mettere un po' più di grinta. Alla Scala, tredici anni or sono, una Marilyn Home in stato di grazia aveva surclassato una pur fresca e virtuosa Beverly Sills, col risultato che protagonista dell'opera sembrava Neocle. ' A stare al titolo, protagonista sarebbe Maometto II, ma in realtà la musica privilegia Palmira. La parte di Maometto è sostenuta con grande dignità dal basso Nicola Ghiuselev. Poteva sembrare un'idea felice, specialmente di questi tempi, prendere un bulgaro per fare un turco. Ma Ghiuselev è uno di quei bassi alla russa, che, qualunque cosa cantino, sembrano sempre fare il Boris o la Kovanscina. La tradizione belcantistica italiana e francese non è nelle sue doti naturali, ma egli vi supplisce con esperta intelligenza. Soddisfacenti anche Antonio Zerbini (pure lui In sostituzione d'altro artista indisposto), Armando Caforio. Gloria Banditeli! e Ottavio Taddei. Istruito da Roberto Gabbiani, ha bene figurato il coro, che possiede fresche voci femminili. La direzione di Eliahu Inbal, vigile, precisa eppure intensa, è stata un elemento determinante del successo che, alla fine, si è dichiarato con evidenza, dopo che i primi due atti erano stati accolti con una certa granducale degnazione dal contegnoso pubblico fiorentino. Massimo Mila k'> Il coro diretto da Robt Gbbii bt l Rii il Cl di Fi kIl coro diretto da Roberto Gabbiani sabato sera nel Rossini per il Comunale di Firenze

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