Quando si colora di fede

Quando si colora di fede Quando si colora di fede di Gianmaria Ricciardi Il consumismo lo insidia, il riflusso lo riscopre, la tradizione lo fa sopravvivere a mode, riti, gioie, sciagure: è Natale comunque, ma per chi crede che senso ha? La festa ammantata di tanti, forse troppi colori, accerchiata da coreografie sempre uguali, sempre diverse, nasconde culture spesso in contrasto, «chiavi di lettura* mai esplorate a sufficienza. Per alcuni è molto, per altri quasi una domenica, o nulla. Il 25 dicembre fotografa mille gruppi, piccoli o grandi, che in casa o nelle chiese tentano di «bruciare» un giorno di speranza, nonostante tutto. Come lo vive chi nel cuore ha una religione? Le risposte sfumano tra le ansie e le certezze del inondo di chi prega. Per i testimoni di Geo va è una data come tante altre. «Nei Vangeli non c'è traccia del giorno in cui è nato Gesù — afferma Alberto Bertone, ministro del culto —. Non disse mai di celebrare la sua nascita, semmai il giorno della morte. A Natale tutti si vogliono bene, stanno insieme, si riposano, fanno regali: sono cose clie noi facciamo normalmente». L'immagine tradizionale di questo appuntamento rischia oggi di travisare quella che è la posizione storica di Gesù. «Non è più un bambino, ma un re, un giudice delle nazioni». Però la tradizione... «Certo, la Chiesa ha insegnato a tutti che il 25 dicembre è nato Gesù. Se noi consultiamo grandi opere di cultura scopriamo invece che gli antichi romani celebravano in quel giorno Mitra, dio del sole, con la stessa coreografia d'oggi: doni e vischio. In quel periodo i cristiani non hanno mai celebrato il Natale. Soltanto nel 354 il vescovo Liberio di Roma cristianizzò la festa di Mitra». Gli ebrei sono ancora più categorici. «Se per I cristiani è la data di nascita del Messia, per noi, dato che il Messia non è ancora venuto e la società messianica — nella quale regneranno giustizia e pace — sarà il risultato dell'impegno quotidiano di ogni uomo, il Natale non può avere un significato religioso». Come può partecipare la comunità israelitica alla festa del 25 dicembre? «In una società come la nostra — sostiene Guido Fublni del consiglio dell'unione comunità israelitiche italiane — che si è ampiamente laicizzata, il Natale ha perso il significato religioso e ha acquistato una dimensione laica: si riceve la tredicesima, si fa vacanza, si comprano e scambiano regali. E' evidente che a questa festa partecipano tutti: ebrei e non ebrei, cattolici e comunisti, atei e credenti». Appuntamento dai mille volti, per i cattolici ne ha uno molto preciso. «Non è solo la commemorazione storica di un avvenimento realmente capitato 2000 anni fa con la nascita di Gesù Cristo; è l'occasione per ripensare al senso della sua Incarnazione e viverne le conseguenze. Il Figlio di Dio è entrato nella categoria umana per affermare l'intima e inscindibile comunione che c'è tra Dio e ogni uomo; per rivestire il linguaggio umano e rendere cosi comunicabile il messaggio di Dio; per solidarizzare con ogni uomo fino alla passione e morte». Questo è il messaggio, secondo monsignor Franco Peradotto, vicario episcopale di Torino. Per i cattolici duemila anni fa è cominciata la più' profonda esperienza di comunicazione tra la famiglia umana e la realtà divina. «Una esperienza che noi chiamiamo offerta di salvezza. La solidarietà piena tra persone. popoli e nazioni, non può che modellarsi su questo dono senza calcoli né tattiche o strumentalizzazioni che Dio ha fatto di sé al mondo». Sullo scenario '82 che ruolo svolge il 25 dicembre? «Il suo messaggio di solidarietà riguarda una attenzione non passeggera, né sentimentale ai nuovi poveri che sono senza casa, senza lavoro, senza famiglia, senza amicizia, senza affetto; agli emarginati di ogni tipo; agli sfiduciati di ogni genere. E' un richiamo a non consumare, a non far fe¬ sta dimenticando queste dure realtà personali e familiari. Spartire con gli altri, alla maniera di Dio, disinteressatamente». C'è il rischio, infatti, che i credenti si trovino oggi espropriati del Natale diventato consumismo, sfoggio, retorica, nella migliore delle ipotesi fatniglia e tradizione: Franco Giampiccoli, pastore valdese, lo denuncia con forza spiegando il Natale secondo i protestanti. «Mentre si va offuscando e allontanando sempre più la nascita del Bimbo di Betlemme, si precisa e av¬ ¬ i o , o , o ¬ vicina un'altra nascita, quella difficile, seppure essenziale, del Cristo in noi. L'apostolo Paolo ai cristiani della Galazia, esposti al pericolo dell'essere condotti fuori strada, scriveva: "Figli miei, sono di nuovo in doglie finché Cristo sia tornato in voi". Il formarsi in loro attraverso una predicazione spesso faticosa e dolorosa, il nascere sempre nuovo alla meraviglia della fede, alla trasformazione dell'essere, è per i credenti il senso perenne del Natale. Ecco la sfida di un Natale nascosto proposto a tutti gli uomini malgrado il non senso di quello da palcoscenico che conosciamo. Non si esaurisce in un giorno, dura una vita». Per nessun'altra occasione vi e stata in campo protestante una cosi vasta fioritura di canti e inni. «Per noi è la festa della gioia nonostante tutto: gioia per la luce che splende malgrado le tenebre». Quest'anno tra speranze e tristezze cosa vuol dire? «Nel crescente pericolo della corsa nucleare, della più o meno inconscia tentazione di risolvere con la catastrofe i problemi del vicolo cieco in cui s'è cacciato il mondo industrializzato, il senso attuale del Natale torna ad essere l'annuncio della pace in Terra agli uomini che Egli ama. In casa nostra la via della pace, quindi il senso del Natale, passa per Comiso, per la lotta contro l'installazione dei missili».

Persone citate: Alberto Bertone, Franco Giampiccoli, Franco Peradotto, Gesù, Gianmaria Ricciardi, Guido Fublni, Liberio

Luoghi citati: Betlemme, Comiso, Roma, Torino