NUOVI DOCUMENTI SU DRIEU LA ROCHELLE, IL COLLABORAZIONISTA

NUOVI DOCUMENTI SU DRIEU LA ROCHELLE, IL COLLABORAZIONISTA NUOVI DOCUMENTI SU DRIEU LA ROCHELLE, IL COLLABORAZIONISTA Leggenda e morte di un Pierrot Un libro appena uscito in Francia riapre il caso dell'intellettuale, dandy, sognatore-seduttore, e ne ripercorre lo sconvolgente itinerario - Sognava un partito unico guidato da un capo deciso - Puntava su Hitler «per l'Europa» - Al crollo dei suoi sogni, morì suicida, a 51 anni - Poco prima aveva annunciato che sarebbe diventato stalinista - Perché la sua storia suscita ancora tanto interesse? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — /( cuso Drieu viene riproposto con insistenza da più di vent'anni, ?ton soltanto per motivi letterari. Se ritorna puntualmente d'attualità, con saggi, inediti, biografie, è perché quell'intellettuale parigino, buon scrittore rFeu l'ollet, Intermède romain,) e pessimo politico ('Socialismo fasciste;, forse il collaborazionista meno detestato di Francia, ci riporta all'Europa degli Anni Trenta, che ho tanto pesato sul nostro secolo e che pesa ancora, più di quanto ci immaginiamo. Pierre Drieu la Rochelle è una testimonianza, un po'caricaturale, senz'altro tragica, di quell'epoca tragica che non è poi tanto lontana, che è l'anticamera del nostro presente. Il caso Drieu è meno datato, più attuale, di quel che appare: basta rovesciare il suo impegno di intellettuale. Non ci sarebbe altrimenti questa «ossessione» per la sua vicenda, non tanto ambigua. Nell'interesse per Drieu, che non aveva il genio di un Celine c neppure tutta la sua scelleratezza, c'è qualcosa di rnorboso. Non tanto per il sospetto tentativo di rivalutare un «fascista per bene-, al fine di confortare la Francia che fu fortemente collaborazionista prima della catarsi operata dalla minoranza gollista. C'è probabilmente anche questo, ma non è l'aspetto più rilevante. Suscita piuttosto curiosità, penso, l'esistenza del dandy, del sognatore-se¬ duttore, più mantenuto (gigolò) che mattatore, dell'uomo fedele nelle amicizie, e al tempo stesso del politico che più coi sogni che con le azioni, più con le idee che coi fatti, collabora coi nazisti e si rende complice obiettivo dei loro crimini, senza però infierire direttamente sugli avversari. Un raptus Non a caso la dimensione letteraria di Drieu viene sempre analizzata affiancandole la dimensione umana, e in particolare quella politica, benché quest'ultima non sia dominante nelle sue opere. Credo che Drieu susciti ancora interesse perché è presentato come 1 intellettuale che compie un adulterio ideologico, un lungo adulterio con il fascismo, die si sprofonda nell'abiezione del collaborazionismo, come in un raptus masochista. E'proprio così? Nel voluminoso quaderno appena dedicatogli dalle Editions de l'Herne, si ripercorre l'itinerario d'. Drieu, che oggi risulta allucinante. Drieu puntava su Hitler per arrivare ad una rinascita dell'Europa, stretta, minacciata dai due imperi, quello sovietico e quello americano, l'europeismo fu anche uno slogan nazifascista. Drieu era un anglofilo, un nazista in tweed, che sognava un partito unico guidato da un capo deciso, muscoloso, capace di guidare le inasse purificatrici. Per la Francia scelse personalmente il mediocre Doriot, un ex ope¬ raio metallurgico, ex segretario generale della gioventù comunista, poi fondatore del partito popolare francese, forse il solo, autentico partito fascista transalpino. Drieu abbraccia, respinge, riabbraccia il «proletario» Doriot, con la passione e il gusto, o la noia, che provava via via per le sue amanti dell'alta borghesia. Nel breve inedito pubblicato da Gallimard (Fragment de mémoires, 1940-41; c'è un disarmante, ingenuo saggio in cui egli racconta i suoi vani tentativi di convincere i tedeschi a creare in Francia un partito unico, durante l'occupazione. Drieu era un antisemita che aveva tra i suoi amici più intimi intellettuali ebrei e die alla Liberazione viene nascosto, protetto dall'ex moglie ebrea, alla quale aveva appena salvato la vita strappandola da un campo di concentramento tedesco. In gioventù Drieu aveva flirtato col surrealismo, insieme all'amico Aragon, ed era arrivato al fascismo, poi al collaborazionismo, senza perdere la stima di uomini come Malraux e Paulhan. Quando Parigi è già liberata, l'autore di La condizione umana gli avrebbe proposto di unirsi alla resistenza, senza gradi, anonimamente, al fine di riscattarsi. Alcuni dicono die invece fu lo stesso Drieu a proporsi e poi a tirarsi indietro. Guanda pubblica come introduzione a I cani di paglia, una illuminante intervista del capo della resistenza Mal- , ! ! 1 1 cht nascosti sui tetti ' raux sull'amico collaborazionista Drieu de la Rochelle. E Paulhan, che è stalo strappato al carcere nazista da Drieu, gli riconoscerà sempre • una grande generosità e nobiltà d'animo». Nella disperazione finale, davanti al crollo dei suoi sogni, della sua epoca, come un clown nevrotico che tenta di stracciarsi di dosso un ormai insopportabile travestimento, Drieu cerca di spogliarsi del fascismo, del razzismo, del dandysmo dinoccolato di cui si era l'estito per anni. Ma è troppo tardi. Lui che si era identificato nell'ironico, elegante, solitario Gilles di Watteau, al punto da chiamare Gilles il protagonista del suo romanzo più autobiografico, si ritrova nel costume di un pietoso Pierrot, con il trucco sfatto, sciolto dal sudore della paura, costretto a inghiottire Luminal e ad aspirare gas da cucina. La scelta obbligata per il delirante, leale Drieu è il suicidio. Ma prima di darsi la morte, dopo aver cercato un ancoraggio religioso nell'induismo, annuncia quel che sarebbe diventato se gli fosse stato possibile sopravvivere: mio stalinista. Chiedeva agli amici: «Cosa si direbbe di me se passassi coi russi?» e di Malraux che si è convertito al gollismo dice: «Peccato che ,abbia lasciato i comunisti». Quello di Drieu è un itinerario, zigzagante, contraddittorio, psicotico, di cui troviamo una traccia ai confini della nostra generazione. Drieu, oggi, avrebbe 89 anni. Mori, si uccise, che ne aveva 51. Ritorno brevemente a quei mesi che precedettero il suicidio, a quelle ore, quei giorni, in cui si può scavare grazie agli scritti lasciati da Drieu. Mentre lo scrittore collaborazionista si avvia alla morte, tra improvvise euforie e inarrestabili depressioni, Parigi rivive. Le immagini di quella storica settimana d'agosto del '44 — la liberazione di Parigi — so?iQ spesso, giustamente, inevitabilmente epiche. Sono ormai oleografiche. Sartre che assiste, sul Quai des Grands Augustins, a uno scontro tra partigiani e tedeschi. A qualche passo dalla Senna. Picasso che dipinge imperterrito un quadro seconio Poussin (Bacchanale; senza badare allo sferragliare dei carri armati e alle sparatorie sotto le finestre. Hemingway che impolverato, sporco di sangue, abbraccia Sylvia Beach davanti alla Shakespeare and Company, e che sotto gli occhi dell'amica, seguendo le indicazioni di due librai del Quartiere Latino, snida con i suoi uomini i franchi tiratori della WermaE che poi se ne va annunciando come un cow-boy: «Adesso liberiamo le cantine del Ritz». Sparatorie Eluard che a Saint-Gerinain-des-Près, evitando le pallottole, distribuisce Les Lettres Francaises a passanti e combattenti. E ancora SiI mone de Beauvoir che si ag¬ gira per la capitale: «... qualcuno crollava, lo portavano via. ma nessuno era turbato da quegli ondeggiamenti: l'entusiasmo spegneva la paura». E Albert Camus che scrive il suo editoriale per Combat. «Parigi spara tutte le sue cartucce nella notte d'agosto». In quella esaltante estate. Pierre Drieu de la Rochelle si agita in un letto d'ospedale (prima al Necker, sulla riva sinistra della Senna, e poi in quello americano di Neuilly), tenta di tagliarsi le vene, mentre i medici cercano ancora di disintossicarlo dalla dose di Luminal che ha appena inghiottito nel suo appartamento di Avenue de Bre¬ teuil. La sua paura non è spenta o attenuata dall'entusiasmo, come scrive Simone de Beauvoir degli altri parigini. Quelle sparatorie, mentre De Gaulle percorre a piedi, i Campi Elisi dalla Concordia all'Arco di Trionfo, per lui sono staffilate: alimentano i rimorsi, appesantlscono la delusione, moltiplicano i ripensamenti. «Sono fregato», ha scritto, abbandonando la consueta eleganza, sul suo diario, tempo prima, quando gli alleati sbarcavano nell'Africa settentrionale. E il giorno dello sbarco in Normandia, il 6 giugno, ha scritto: «Auspico il trionfo dell'uomo totalitario Isul mondo. Il tempo dell'uomo diviso è finito, il tempo dell'uomo riuscito ritorna». Quelle parole rivelano la tentazione del salto da Hitler a Stalin. I suoi amici non l'accuseranno mai d'opportunismo. Neppure i suoi nemici. Sartre, che è tra i più severi, lo descrive sulle Lettres Francaises, come un «lirico». uno che è arrivato al nazismo «non per affinità elettive» ma per odio verso se stesso. La fine Nel mezzo degli Anni 30, Drieu ha scoperto nel nazionalsocialismo la sola via per trascendere capitalismi e comunismo, uscire dalle «mollezze- della Francia repubblicana, e applicare i suoi ideali di forza ed ordine, che condivide con altri combattenti della Prima guerra mondiale. Le esperienze di quella guerra, egli è stato ferito più volte, gli hanno ispirato uno dei suoi libri migliori, La commedia di Charleroi. Quando nel '40 i nazisti sono arrivati coi loro carri armati fino alle pianure della Normandia, che lui anglomane preferisce alle altre regioni dì Francia, ha pensato di poter infine realizzare il sogno di un partito unico. La vittoria di Hitler era la dimostrazione del declino del pluralismo democratico, dell'«uomo diviso-, e la superio- nta dell'-uomo totalitario-. Ma i suoi amici tedeschi lo hanno lusingato, ascoltato, sema tener conto dei suoi consigli. Drieu è un dilettante della politica. Il suo slancio nel compromettersi era forse dovuto al bisogno di dimostrare, anche a se stesso, la sua capacità di affrontare i rischi, senza limitarsi alle semplici convinzioni, come capita per lo più agli intellettuali. Quando la disfatta tedesca gli è apparsa evidente, e se ne è accorto già nel 1942, ha scrìtto: «E' la fine dell'Europa». Adesso nella Parigi liberata, dove per i collaborazionisti la distanza tra il tribunale e il plotone d'esecuzione è molto breve (Brasillach, condannato il 19 gennaio del '45, è stato fucilato il 6 febbraio), Drieu legge Upanishads, Tao, So far. La riflessione religiosa lo conforta. Il pensiero orìenI tale attenua la sua paura. | Potrebbe fuggire in Svizzera, I con l'aiuto dello stesso mini\ stro dell'Interno gollista, che | gli ha offerto segretamente j una scorta, o con la compliciI tà di molti amici esponenti della resistenza che vorrebbero evitargli un processo. Ma lui non se ne vuole andare, per passività. Forse per accidia. Uscito dall'ospedale di Neuilly passa da una casa all'altra di conoscenti fedeli, si aggira nella città con baffi e cappello, per non farsi riconoscere. Scrive il suo ultimo libro, che dovrebbe concludersi con il suicidio del protagonista, un pittore ispirato da Van Gogh. Poi, un giorno lascia un biglietto alla fedele governante: «Gabrielle, lasciami dormire, questa volta». Inghiotte tre tubetti di Gardenal, strappa il tubo del gas e se lo infila in bocca. Non se l'è sentita. Drieu, di affrontare una nuova avventura per l'avvento di un altro «uomo totalitario-. Forse per orgoglio, forse per decenza. Forse perché si era scoperto, troppo tardi, soltanto un artista, e non un politico. Bernardo Valli Pierre Drieu la Rochelle