Il diavolo produttore e regista

Il diavolo produttore e regista CAPIRE I DEMONI DEL CINEMA, A PARTIRE DALLA LANTERNA MAGICA Il diavolo produttore e regista In Mephisto, il film di Istvan Szabò tratto dall'omonimo romanzo di Klaus Mann, il diavolo assume un aspetto molteplice che si manifesta, nelle diverse situazioni della vita del protagonista — un attore famoso nella Germania di Hitler —, sotto le spoglie della lusinga, del potere, del dubbio, ma soprattutto dell'inquietudine esistenziale, percorsa dal germe del male. Un'inquietudine che, di là dai riferimenti storici e politici, si trasmette allo spettatore odierno coinvolgendolo sul terreno della contemporaneità. Come a dire "he il diavolo è tuttora presente, determina in larga misura le nostre scelte e le nostre azioni, è l'altra faccia di quella ideologia del progresso, del benessere e della felicità universale, che comincia a fare acqua da tutte le parti. Questa presenza demoniaca nel cinema d'oggi, che è del tutto laica e ideologica nel film di Szabò, ma può anche essere imbevuta di misticismo, di superstizione e di falsa religiosità in altri autori, come lo Spielberg di Poltergeist (che nella versione italiana s'intitola Demoniache presenze), introduce un elemento nuovo, degno d'interesse, nell'analisi della società contemporanea, ma più ancora, forse, nello studio del cinema come linguaggio metaforico. C'è da dire, infatti, che, se la rappresentazione del diavolo sullo schermo ha attraversato tutta intera la storia del cinema dalle origini a oggi, con risultati certamente significativi nei vari generi spettacolari — come bene dimostra la rassegna «Il diavolo probabilmente» organizzata dal Teatro Stabile di Torino e dal Movie Club —, la sua reale presenza come fattore di squilibrio morale o di paura ancestrale, Ìnsita nella stessa natura tecnologica del mezzo filmico, è passata spesso inosservata, e richiederebbe quindi una maggiore attenzione critica. Credo sia stato Ingmar Bergman il primo a parlare esplicitamente di cinema come di uno strumento diabolico, o, se si vuole, della proiezione cinematografica come di una operazione del demonio. «Assai presto, egli scrisse. feci la conoscenza del diavolo, e nella mia mente infantile sentii il bisogno di personificarlo. Fu a questo punto die entrò in scena la lanterna magica». Apparecchio ottico precursore del cinema, fu proprio questo giocattolo dell'infanzia a introdurre Bergman nel mondo irreale delle proiezioni luminose. E saranno 1 suoi film, dal Settimo sigillo al Volto, su su sino all'Uovo del serpente, a fare del cinema uno straordinario apparecchio di evocazioni demoniache. D'altronde, che la lanterna magica, e poi il cinema, possedessero queste facoltà evocative, consentissero la «visualizzazione» del diavolo nelle sue diverse forme e manifestazioni, l'avevano compreso, ben prima di Bergman, altri artisti e artigiani e tecnici e illusionisti. Basti pensare a Etienne-Gaspard Robert, detto Robertson, che alla fine del Settecento evocava il diavolo attraverso le sue straordinarie «fantasmagorie» che incantavano e impaurivano il pubblico dell'epoca. Ovvero, cent'anni dopo, a Georges Méliès, che utilizzò il cinematografo per rappresentare nuovamente 11 diavolo, e tutti insieme quei demoni e fantasmi e folletti e fate e streghe, che da sempre popolano la fantasia degli uomini e il mondo dell'infanzia. Tuttavia, ciò che più colpisce nel ripercorrere le varie tappe della «demonologia» cinematografica è il fatto che, per certi versi, è come se fosse il diavolo In persona ad aver contribuito all'invenzione e alla divulgazione del cinema, in modi e forme non molto diverse, a vero dire, da quelle adottate in passato nei confronti di tutte le precedenti arti e seduzioni e Incantesimi solo apparentemente «inventati» dagli uomini. Perché il cinema, per usare 11 titolo d'un film di Bergman, è indubbiamente «l'occhio del diavolo». L'immagine filmica è sempre ambigua, per definizione, e in questa ambiguità risiede 11 carattere primario della sua «diabolicità». Come un Illusionista e un prestidigitatore, un mago e uno sciamano, il regista cinematografico compie del prodigi sotto i nostri occhi Impiegando i mezzi, apparentemente «obbiettivi», della riproduzione filmica; ed attraverso r.«obbiettivo» della macchina da presa c'introduce, senza che noi ce ne accorgiamo, nell'universo incantato dell'artificio, appunto della magia e dell'illusione. Ma 11 cinema è anche l'occhio meccanico dell'uomo che vuole inoltrarsi nel mondo inesplorato degli incubi personali e collettivi, rendendoli manifesti per mezzo delle immagini semoventi dello schermo. Un viaggio nei luoghi dell'Infanzia curiosa, della giovinezza inquieta o della maturità angosciata, alia ricerca d'un mistero che si vuole as¬ solutamente visualizzare, rendere manifesto e tangibile, non tanto, forse, per esorcizzarlo, quanto per prenderne possesso, per inserirlo nel flusso razionale delle azioni e dei pensieri quotidiani. Ed è all'incontro di questi due sguardi, l'umano e il diabolico, che si colloca lo spettacolo cinematografico come evocazione dei fantasmi. Una nuova «fantasmagoria» del possibile, più ampia e coinvolgente delle vecchie proiezioni luminose di Robertson, che contrabbanda l'illusione per realtà, rendendoci incapaci di riconoscere 11 vero dal falso. Una grande, immensa, menzogna, che alcuni grandi registi di ieri e di oggi hanno saputo utilizzare per cogliere e mostrare, dall'interno, quella presenza del demonio che tuttora ci spaventa e ci affascina. Basti pensare, oltre a Bergman, a Dreyer, a Bresson, a Polansky, a Buftuel. Ma solo raramente 11 cinema si è concesso il lusso, o ha avuto 11 coraggio di rappresentare totalmente la demo-nlcltà (come, ad esempio, in Rosemary's baby di Polansky). Il più delle volte ha preferito seguire pedissequamente la letteratura o 11 teatro, evocando il demonio illustrandone semplicemente la figura e 1 malefici, o gli incantesimi. Un cinema di riporto, passivo, che si accontenta della sua funzione riproduttiva. Peccato, perché è il cinema stesso ad essere diabolico: basta saperlo usare come lo userebbe il diavolo, se ancora eslste Gianni Eondolino

Luoghi citati: Germania, Torino