L'Abete Chioccia

L'Abete Chioccia STORIE DI PIANTE DELL'ALTOPIANO L'Abete Chioccia « Lontano, nel bosco, c'era un Piccolo abete molto grazioso! Aveva largo spazio, poteva godere il sole, l'aria non mancava e tutfin torno a lui crescevano molti suoi compagni grandi...». Così incomincia L'Abete del favoloso Andersen, dove si racconta la storia di un albero di Natale. E così termina «... Arrivò il domestico, che tagliò l'albero a piccoli pezzi, ne fece un fascio che divampò con una bella fiammata sotto il grande paiolo... e finito era l'albero, e cast anche la storia. Finito, finito, così finiscono tutte le storie'». Ma se l'abete di Andersen, dopo aver passato alcuni mesi in soffitta a raccontare la sua triste vicenda ai topi, finì bruciato tra lo stupore dei bambini che stavano giocando in cortile, oggi molti, troppi, forse milioni di abeti giovani finiscono in tutte le città del mondo negli automezzi di raccolta dei rifiuti solidi urbani, perché nemmeno più vengono usati per fare fuoco. E che bella foresta avrebbero potuto essere! Anche Anton Pavlovic Cechov si ricrederebbe della sua malinconica fiducia nell'umanità nel vedere tanta strage di verde, lui che scriveva che Meichovo era diventato un luogo civile perché vi aveva piantato tanti alberi e che «... Tra due o trecento anni, tra mille anni forse, ci sarà una vita nuova, felice» {Le tre sorelle), perché tutta la terra si sarebbe trasformata in un giardino fiorito. ** Questi ricordi della favola di Andersen e delle speranze di Cechov mi sono venuti perché nei giorni scorsi ho visto autocarri di alberi natalizi avviarsi verso le città, ma ho anche letto su questo giornale dell'iniziativa del ministero dell'Agricoltura e Foreste che promuove il censimento di tutti quegli alberi e arbusti che per importanza meritano di essere conservati e studiati; iniziativa alla quale si sono affiancate associazioni naturalistiche che invitano il pubblico a segnalare, su una appropriata scheda, gli alberi che per la loro bellezza si dovrebbero proteggere come «monumenti verdi». Ecco quindi finalmente una notizia buona. Ma in questi ultimi decenni quanti alberi maestosi e centenari, veri mo numenti della natura, sono stati distrutti dall'incoscienza dell'uomo? Ricordo a questo proposito un abete bianco co¬ me mai più uno simile mi è capitato d'incontrare, nemmeno nelle foreste del Nord Europa. Viveva e cresceva in una località della n.'u terra alla quale lui aveva dato il nome: Ktùkarben Tanne, «Abete Chioccia». E difatti attorno a lui crescevano centinaia di abeti bianchi d'ogni età, suoi figli. Lei era plurisecolare (da noi quest'albero è femminile), e il suo ricordo, anche per i più vecchi boscaioli, si perdeva indietro nel tempo degli avi. La sua corteccia era spessa quattro buone dita ed era tutta segnata da cicatrici cagionate dalle saette; ad abbracciare la sua base non erano sufficienti quattro uomini e a cinque metri dal piede si alzavano cinque diramazioni a candelabro che a loro volta erano altrettanti alberi molto grandi. Ma un giorno, nel 1953, venne un funzionario che ordinò di abbatterla perché, diceva, nell'in-, terno il durame era sicuramente cavo. Lavorarono contemporaneamente con le scuri quattro boscaioli dall'alba al tramonto. Malvolentieri si erano messi al lavoro perché per noi tutti «La Chioccia» era come simbolo di vita e di tradizione, e aveva anche un fascino misterioso. Un albero da favola, insomma. Il più anziano ed esperto dei quattro tagliaboschi, contrastando il funzionario, diceva che era un delitto aggredirla con la scure perché avrebbe potuto vegetare per almeno altri duecento anni. Al taglio risultò sana; da lei si ricavarono ben undici metri cubi di legname e sette carri di legna da ardere. Ma i caprioli e gli urogalli abbandonarono quel posto per diverso tempo; e anche a noi ora manca qualcosa. Pure tra le case del paese c'era un albero quasi millenario, era un tiglio. Una «Linta» nel nostro dialetto. La tradizione diceva che sotto di essa si radunavano i rappresentanti eletti dei Comuni per tenere le «Vicinic» negli equinozi, quando pubblicamente si discuteva l'amministrazione dei beni patrimoniali della Comunità. Nel 1916 era stata testimone della distruzione totale del nostro paese e sino a non molti anni fa all'ombra di questa tiglia che era inclusa in uno stazio della segheria, si disponevano le cataste di tavole per la naturale stagionatura. Ma per i suoi troppi anni que¬ sta antica Linta cadeva a pezzi e si dovette abbatterla perché era diventata pericolosa alle case vicine. Quel giorno che' non la vidi più nel consueto paesaggio familiare sentii che veramente era finita un'epoca, anche perché in quell'area venne costruito un grande condominio che certo non rallegra il paesaggio. Per nostro godimento ci sono ancora, però, degli alberi eccezionali che hanno resistito alla Grande Guerra e alla sconsideratezza degli uomini e ora, finalmente, il nostro giovane Ispettore forestale li ha vincolati per la protezione. Sono tre meravigliosi ciliegi che la tradizione dice siano stati piantati quando quassù giunse la notizia .della scoperta dell'America. Chi li piantò seppe ben scegliere il terreno perché, benché esposti verso Est su un declivio a Nord, rimangono riparati dalle burrasche e dalle grandi nevicate; e in quel luogo, poi, si verifica il fenomeno dell'inversione termica per cui le correnti di aria tiepida che salgono dal basso sopra la profonda valle, sostano attorno a loro creando così un'oasi che consente la vita. . A# , In primavera quando fioriscono sono tre grandi nuvole rosa; in luglio sotto di loro trova frescura la mandria di cavalli al pascolo; e sul finire d'agosto quando maturano le ciliegie succose, dolcissime e nere, uccelli, ragazzi e ragazze fanno delle grandi scorpacciate. Salire lassù tra i loro rami è come entrare in una foresta. Nella scorsa estate ho voluto anche scavalcare le montagne per un sentiero dei contrabbandieri e scendere in Val di Sella a conoscere un faggio di cui avevo sentito parlare. Si trova oltre la casa dove abitava De Gasperi durante l'estate; verso Malga Costa, a circa mille metri d'altitudine. Anche lui, come l'Abete Chioccia, dopo la larga base piena di cicatrici e di caverne, alza un candelabro di tronchi verso il cielo, e i bambini e ragazzi lo scalano come fosse un masso erratico. Peccato, perché mi sembra sofferente, se non ammalato, e le sue grosse radici che affiorano dal terreno vengono continuamente calpestate dai visitatori. Ora pare che vogliano ricoprire queste radici, medicare e chiudere le caverne della base e proteggerlo tutt'intorno con un recinto. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Andersen, Anton Pavlovic Cechov, Cechov, De Gasperi, Malga Costa, Mario Rigoni Stern

Luoghi citati: America, Nord Europa