Volano da mezzo secolo siglati G di Luciano Curino

Volano da mezzo secolo siglati G IL PROGETTISTA GABRIELLI; «LA MIA VITA, I MIEI AEREI» Volano da mezzo secolo siglati G Ha quasi ottant'anni: la stessa età dell'aeroplano - Realizzò il primo velivolo italiano in metallo per la crociera di Balbo Il suo aviogetto «G 91» fu adottato dall'Alleanza Atlantica - Alla Fiat Aviazione nel 1931, ne è ora il presidente - Nel suo libro di ricordi la storia dei record, dei pionieri e dei protagonisti dell'aeronautica internazionale TORINO — «SI era nel 1927 e mandai al congresso intemazionale di navigazione aerea un mio' studio: "Sulla determinazione del diedro longitudinale più conveniente degli aeroplani". Lo avevo elaborato durante il servizio militare a Bra», dice Giuseppe Gabrielli. E' difficile immaginare un soldato che nelle ore di libera uscita se ne sta in caserma per elaborare studi del genere. Uomo straordinario, si pensa. Dice Gianni Agnelli: «Tre sono le caratteristiche che distinguono l'industria aeronautica da altri settori: grandi rischi, grandi costi, grandi personalità. Gabrielli è proprio una di queste grandi personalità». Sono cinquant'anni che volano i suoi aerei, siglati G: da quelli ad elica con l'ala a sbalzo ai superjet. Gabrielli è uno dei maggiori progettisti mondiali, protagonista di una intera epoca dell'evoluzione industriale. Ricorda i pionieri dell'aviazione: «Un grande pioniere fu il generale Guidoni. Un uomo che non esitò a gettarsi con un paracadute del cui perfetto funzionamento dubitava. Trovò la morte cosi». .Ricorda troppi piloti morti nei collaudi: «Tutto era da inventare e si rischiava». Ricordo i vecchi campi dei pionieri: «Il campo di Mirafiori era il secondo costruito in Italia, nel 1910, dopo quello romano di Centocelle. Non esiste più, è tutto fabbricato. E' rimasto soltanto un pezzo di muro della torre controllo, e vi e stata posta una lapide». Ha quasi ottant'anni, la stessa età dell'aeroplano, essendo nato nel 1903, quando, a Kitty Hawk, l'apparecchio a motore con le ali rivestite di tela da camicia dei fratelli Orvllle e Wllbur Wright si staccò da terra, restò in aria dodici secondi e percorse 250 metri alla quota di tre metri. Quel dodici secondi avrebbero sconvolto il mondo, ma passarono quattro anni prima che lo stcapisse, e per tutto quel tempo i fratelli Wright furono ritenuti un po', matti. 1 Dice Gabrielli: «Studiavo al Politecnico di Torino e frequentavo 11 laboratorio d'aeronautica del professor Panetti al Castello del Valentino. Si era agli inizi degli Anni Venti e cominciavano i grandi ralds. Pensavo che l'aereo avrebbe avuto un futuro».' Nei sessanta mesi della Grande Guerra le nazioni coinvolte di aerei ne avevano costruiti 160 mila. («Ciò che era un sogno è diventato un incubo», disse Wilbur Wright quando i bombardieri tedeschi Gotha colpirono Londra). Ma, tornata la pace, non si sapeva che fare dei caccia, dei bombardieri, dei ricognitori, dei siluratori superstiti. Finirono sul mercato dei ferrivecchi a 300lire l'uno. Furono i raids su grandi distanze a far sperare in più pacifiche e feconde applicazioni del volo. E anche i collegamenti tra città. «TorinoTrieste fu il primo collegamento e andavo a vedere l'idrovolante partire dal Po vicino al ponte Isabella». Quattro o cinque passeggeri avvolti in coperte per proteggersi dal freddo e con pesanti caschi, nel fragore del motore a pieno regime. La laurea in ingegneria e poi ad Aquisgrana per seguire i corsi di aerodinamica del professor Theodor von Kdr- man, un genio dell'aerodinamica, la cui influenza sullo sviluppo della scienza e dell'industria aerospaziale è stata determinante. Ovunque l'aeronautica faceva progressi e nel 1927 Lindbergh partì con un piccolo aereo da New York, volò solo con le sue sigarette e i suoi pensieri per trentatré ore e mezzo, atterrò a Parigi e corse a telegrafare alla madre: «Ali right», tutto bene. «Fu un avvenimento esaltante, che spalancò le porte all'aviazione. Ma per me il 1927 è importante soprattutto perché incominciai allora la carriera universitaria, al Politecnico di Torino, e entrai allo stabilimento Piaggio di costruzioni aeronautiche di Flnalmarina. Una duplice vita: a Torino insegnavo, a Finale facevo pratica». Era l'epoca romantica dell'aviazione, tutto un fermento competitivo. Un record aereo riempiva una pagina di giornale e aveva la copertina della Domenica del Corriere. Lu Coppa Schneider di velocità, fira ai limiti tecnici e umani, era una delle più importanti manifestazioni internazionali. I piloti del Reparto Alta Velocità del colonnello Bernasconi rischiavano la vita ogni giorno, e molti la perdevano, per avere la «V» scarlatta sopra l'aquiletta dorata: un segno di distinzione, di orgoglio, niente più. In quel tempo Balbo stava preparando la Crociera dell'Atlantico meridionale con 14 idrovolanti Savoia Mar¬ chetti S 55, fino allora fabbricati in legno. Si voleva una versione in metallo e soltanto il giovane ingegnere Gabrielli disse che era possibile realizzarla. Dopo qualche mese, nel 1931, dal mare di Finale si alzò in volo un S 55 e al sole le sue ali di duralluminio mandavano abbaglianti riflessi. Il primo velivolo metallico italiano. A Torino il senatore Agnelli, sempre attento a ogni attività, chiamò Rosatelli, progettista dell'Aviazione Fiat, gli disse: «Dunque, il metallo funziona e lei, Rosatelli, non ci credeva. Chi è questo giovanotto che ha fatto il miracolo? Lo voglio alla Fiat». La storia di Gabrielli alla Fiat va dal G 2 progettato nel 1931 al G222, elle ha volato la prima volta nel 1970, ed è una storia non ancora conclusa, perché dallo scorso giugno Giuseppe Gabrielli è presidente della Fiat Aviazione. I primi G erano per il trasporto passeggeri, quando nascevano le compagnie aeree e «il pilota caricava le valigie, chiudeva il portello, avviava 11 motore e naturalmente pilotava». Li collaudava Brach-Papa, che riferiva le sue osservazioni in francopiemontese: «A va bin. Très bien. Io dico che si potrebbe tagliare un pochettino la compensazione». Poi'gli aerei che hanno fatto la guerra. IG12 per il trasporto di materiali e di uomini, che arrivavano sforacchiati dal fronte dell'Africa Settentrionale; il G 55, consi- derato il miglior caccia italiano. «Finita la guerra trasformammo in aerei civili dei G12 ancora in costruzione. Proprio con tali aerei trasformati, il 5 maggio 19-17 l'Alit alia potè iniziare la sua attività di volo. I servizi inaugurali furono il Torino-Roma e il Roma-Catania». Due anni dopo un G 12 delle Aviolinee Italiane, proveniente da I Lisbona con la squadra del Torino, cieco nella tempesta, si schiantò a Superga. Il G80, collaudato dall'ingegner Catella nel dicembre 1951, fu il primo aeroplano italiano a turboreattore. Nel 1954 la Nato bandì un concorso per un caccia tattico leggero: il G 91 fu l'unico velivolo che si attenne ai parametri imposti, la sua efficienza fu assai superiore a quella dei concorrenti, fu quindi adottato dall'Alleanza atlantica. Ultimo nato, il G 222 a decollo e atterraggio corto. Dei suoi aerei Gabrielli racconta nel libro Una vita per l'aviazione, pubblicato da Bompiani, con prefazione di Gianni Agnelli. Pagine dove il progresso corre veloce, che rivelano l'intreccio dei rapporti fra creazione scientifica e realizzazione industriale; fra economia e tecnica, fra fantasia e ardimento. Libro che è un documento storico anche per la presenza delle grandi personalità dell'aviazione: von Karman e Handley-Page, Dornier e Douglas, Fokker e Dassault e altri, di ogni paese. Gabrielli è una figura particolare nel panorama italiano, perché ha saputo dare al suo lavoro e allo sua vita una dimensione internazionale, nota Agnelli, e «la vocazione internazionale è molto importante per un progettista aeronautico, per un uomo il cui mestiere consiste nel creare e nell'innovare. Perché queste sono attività che non sopportano i limiti geografici e dì confini nazionali». Luciano Curino Dicembre 1951: Giuseppe Gabrielli stringe la mano all'ingegner Vittore Catella pilota collaudatoré del suo aereo «Fiat G80» Finirono sul mercato dei fman un geni dll'dihtti S 55 fi ll fbbidt il ili i it