Andropov for president

Andropov for president Andropov for president di VITTORIO ZUCCONI Proprio due anni fa, di questi giorni, leggevamo in Italia taglienti analisi politiche sull'esito deludente delle «presidenziali» americane e sulla crisi della democrazia negli Usa. Con garbata, ma implacabile insistenza, alcuni giornali per settimane ci spiegarono che i 43.901.812 voti ricevuti da Ronald Rcagan, contro i 35.483.820 di James Earl Carter, erano troppo pochi, e le percentuali di affluenza tradivano !a profonda disaffezione del popolo americano per la vita politica ufficiale, era anche un modo «raffinato» per togliere legittimità morale alla vittoria di Reagan. Appena un mese fa, l'Urss ha «eletto» il suo nuovo segretario del partito, Yuri Andropov, con voto inevitabilmente unanime (la verità non la sappiamo) dell'ufficio politico e del comitato centrale. Di fatto, anche Cossutta sa bene che il «voto» si deve essere limitato ai 6 o 7 membri del Politbjuro che contano, t gerarchi più forti. Vista la rapidità della successione sulla «poltronissima» del pois, è logico addirittura pensare che i giochi fossero già fatti, ancora a «babbo vivo». Ci attendono dunque nuove e taglienti analisi politiche sulla «crisi della democrazia sovietica» e sulla «illegittimità» della vittoria di Andropov? Cosi non pare. Gli stessi commentatori, severissimi nel contare i voti di Reagan, sembrano riluttanti a contare i voti di Andropov. Anzi, si sente qualche parola di plauso per la «stabilità» raggiunta dopo 62 anni dal sistema sovietico, capace ormai di sostituire i reggenti in sole 48 ore. Oggi che anche le correnti di maggio¬ ranza del pei considerano la «democrazia socialista» discutibile, può essere di cattivo gusto chiedere un confronto fra i quasi 44 milioni di voti di Reagan e i sei o sette di Andropov. L'Urss, ci si sente rispondere, ormai la conosciamo bene. E' inutile rigirare il coltello nella piaga del modo di fare politica del pcus. Il vero problema non e fare confronti impossibili, ma contribuire a ridurre la tensione fra gli arsenali nucleari e riportare Mosca e. Washington al clima del negoziato vero. Qualcuno arriva all'assurdo logico, spiegabile solo con la parzialità e la mala fede, di attribuire ai comportamenti oltranzisti di Washington, della Nato e di alcuni europei, la responsabilità della «pietrificazione» c gli errori del regime sovietico. Dimenticando che il decennio di massima espansione militare russa è coinciso proprio con il governo dei tre presidenti americani più «distensivi» (Nixon, Ford e Carter) del dopoguerra. Il negoziato fra le superpotenze è indispensabile, ma altrettanto vitale, per chi è cittadino di una nazione libera, è rammentare che l'eguaglianza fra gli arsenali non è eguaglianza fra sistemi politici. E l'Europa non può considerarsi «neutrale», nella dialettica fra totalitarismo c democrazia. Mentre scrutiamo nel buio delle mura sovietiche per intuire il corso della lotta fra Andropov e Chcrnjenko «/ór presidente del Soviet supremo, vale la pena di ridirci che anche una democrazia imperfetta, reaganiana, fanfaniana, craxiana, è meglio di una tirannide perfetta, stabile, andropoviana. Così come, da qualunque parte li si conti, 44 milioni di voti saranno pochi, ma sono sempre più di sei o sette.

Luoghi citati: Europa, Italia, Mosca, Urss, Usa, Washington