I vecchi spettri delle nostre case

I vecchi spettri delle nostre case COLLOQUIO CON L'ANTROPOLOGO AUTORE DE «IL SANTO LEVRIERO» I vecchi spettri delle nostre case TORINO — Viaggio-lampo in Italia di uno dei giovani maestri della nuova storiografìa: il francese Jean-Claude Schmitt, 36 anni, alto e rìccioluto, occhiali alla Gobetti, potrebbe essere alternativamente un angiolo di Lippo Lippi cresciuto alla scuola di Le Goff, un giocatore di pallacanestro e il leader di una formazione di rock duro. Tre seminari a Roma, Bologna e Torino, il tempo di raccogliere l'apprezzamento di studiosi come Carlo Ginzburg e Piero Camporesi, e di stupirsi piacevolmente per la grande disponibilità che c'è da noi per questo tipo di ricerche. Del resto il suo libro sul Santo levriero, cioè sul cane venerato come guaritore di bambini nelle campagne del Lionese, ha. venduto assai meglio nella traduzione di Einaudi che nell'edizione originale di Flammarion, Sono i soliti complessi dei provinciali, che poi riescono a essere più attenti e informati di quelli di città? O c'entra per qualcosa il crescente interesse per l'antropologia come chiave capace di aprire le porte di quello che Schmitt chiama «l'immaginario sociale», cioè il modo con cui una società si costruisce miti, riti e immagini? Non è solo l'antropologia il nuovo grimaldello. Sul tavolo di lavoro di questa giovane leva di ricercatori troviamo l'analisi strutturale, l'inchiesta etnologica, lo scavo archeologico, la fotografia, la linguistica, un po' di psicanalisi applicata con parsimonia. Ricerche erudite, metodologie raffinate ma destinate a re¬ starsene nel ghetto degli studi' accademici? A giudicare dai risultati si direbbe proprio di no. Uno come Schmitt, che ama lavorare sui fenomeni di lunga' durata, addirittura sul milieu-nio o poco meno (il culto del santo levriero, nato nel sec. XII, era ancora attestato nel 1826), sembra fatto apposta per dimostrarci che la nostra smania nevrotica di novità e cambiamenti è solo l'altra fac¬ cia di una secolare continuità culturale. In altre parole, le nostre radici sono assai più lunghe e ramificate di quanto possiamo supporre: siamo più vicini agli antichi riti di guarigione dei contadini del Lionese che ai «replicanti», i robot dell'ultima fiaba fantascientifica di Ridley Scott, Biade Ruiiner. II Medioevo resta vicino, appena girato l'angolo. Di «replicanti» parla anche Schmitt, spiegando il lavoro che sta attualmente conducendo. Beninteso, li chiama con il loro nome storico, « revenant s», ossia «i morti che tornano e appaiono agli umani, quei fantasmi che sotto la doppia spinta del romanticismo e dello spiritismo sono ben vivi e popolari ancor oggi. Ogni epoca si costruisce i suoi replicanti-reveiiants a misura delle proprie esigenze». «Le apparizioni dei mortiviventi, a partire dal sec. XII, dice Schmitt, obbediscono all'autorità della Chiesa e ai rigidi protocolli del potere. Nel Medioevo ci sono poche apparizioni di morti ordinari. Apparire ai viventi è un privilegio dei santi: il superiore appare all'inferiore, il padre al figlio, il signore al vassallo, e mai viceversa». «I morti ordinari, i fantasmi, secondo lo storico, fanno in commedia la parte dei villains: le prendono sempre, e sono sgominati dai santi. Ma col passare dei secoli il gioco si complica e i revenants, già confinati ai mar gini dei villaggi, esseri di bru ghiera come le streghe, diventa no quasi un patrimonio domestico, una presenza familiare. La cultura ufficiale, perplessa, tace. La Chiesa un po' li utilizza a scopi di controllo sociale, un po' li argina mettendo a punto le tecniche dell'esorcismo'». «D'altra parte, aggiunge Schmitt, proprio come i replicanti, i fantasmi sono raffigurali come esseri normali: parlano, piangono, hanno ricordi precisi, rilasciano predizioni, fanno politica come chiunque altro. Ci danno preziose informazioni non sui morti, ma sui vivi, sulle loro proiezioni inconsce. Fatti della slessa materia dei sogni, al pari di quelli sono eloquenti per chi li sappia decifrare. Mai come in quest'epoca di illusioni, inganni e travestimenti siamo disposti a capirli e a prenderli per buoni. L'aveva già detto Marx: i fantasmi alle volle sono più forti dei viventi». Ernesto Ferrerò

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