La guerra delle talpe in Corea

La guerra delle talpe in Corea DA 30 ANNI MILIONI DI ARMATI SI FRONTEGGIANO SUL 38° PARALLELO La guerra delle talpe in Corea I nordcoreani scavano tunnel nel granito per inviare commandos alle spalle dei sudcoreani, questi per intercettare le gallerie avversarie - Folli puntigli alla quotidiana riunione della commissione di armistizio - Intanto, gli animali selvatici regnano nella terra di nessuno, dove è proibito perfino alzare la voce ed è nato un paradossale santuario ecologico tra le colline minate DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE DAL 38° PARALLELO — Settantatré metri sotto terra, nella galleria umida e semibuia, la sentinella non canta; dorme nella sua gabbietta di bambii, la testa sotto l'ala, aspettando. Questo è il « titillici numero 3», budello di\ 1800 metri scavato nel granito dai nordcoreani, sotto il 38° parallelo e la linea 'del cessate il fuoco» fra Nord e Sud, per infiltrare commandos alle spalle delle linee sudcoreane. Il compito della sentinella è semplice e cruciale: coinè tutti quelli della sua razza essendo piccolo e delicato, deve morire in fretta, il piti in fretta possibile, per dare l'allarme ai commilitoni se i nemici attaccassero coi gas. Un compito elementare, come si conviene a un canarino, anche se un canarin-soldato in servizio di guardia lungo la frontiera al mondo più armata, più arcigna e più insensibile ai 'disgeli»: la minaglnoU d'Asia che separa, dal 1953, il Nord e il Sud Corea, ma anche l'Oriente e l'Occidente, la Cina e gli Usa, le caserme-industrie di Pyongyang dalle industrie-caserme di Seul. Una linea di 241 chilometri, difesa da un milione e trecentomila coreani, 39 mila americani e un canarino. Torniamo, «trentanni dopo», sui margini di questa ferita gelata e mai chtusa, incubo di una generazione, prima del Medio Oriente e del Vietnam, sopravvissuta con tutta la sua carica esplosiva a svolte politiche, distensioni, cambi di uomini a Pechino, Washington e Mosca, e oggi, come ieri, pronta a infettarsi di guerra, ad ogni istante. Ci arrivo una mattina di dicembre, accompagnato da un ufficiale americano e poi da militari coreani. Quindi alla primissima luce dell'alba, perché gli eserciti, di ogni Paese e ideologia, credono' fermamente nella mistica della levataccia. MI aspetto un po' dell'orrore del «muro di Berlino* o della esausta, tragica bellezza della Palestina, e invece questo «trentottesimo parallelo» inganna la speranza di simboli visivi facili. Il paesaggio è bugiardo, dolcissimo: il grande fiume Han, le quiete colline, le montagne di roccia improvvise. Coperto dalla nebbia leggera che ha fatto definire la Corea «la terra della pace del mattino'. Un languore socio-paesistico da »National Geografie» afferra e inganna il viaggiatore, fin quando arrivano i ponti. Strutture senza funzione pratica apparente, perché non c'è la strada di attraversamento. Enormi «archi di trionfo» in cemento armato, squadrati e inutili, 12 in 44 km. «Bono chiuse anticarro, non ponti — mi spiega l'ufficiale — minate in permanenza». Con un comando a distanza, cade come una ghigliottina l'arcata trasversale sulla strada, bloccandola. Pesa 95 tonnellate. Può spiaccicare un'auto, distruggere un tank. «Dobbiamo cercare di rallentare la marcia dei tanks a ogni costo» confida il mio accompagnatore come se prevedesse un attacco stasera: .Senza le chiuse minate, in un'ora i carristi nordcoreani potrebbero essere a Seul». La nebbia si è alzata, spinta dal vento siberiano, e con essa si scioglie l'ultimo inganno di pace. Dietro il terrapieno si comincia a intravedere il cannone dt un panzer, dal boschetto di betulle esce il fumo azzurro degli scappamenti del cingolati che scaldano il motore per; il pattugliamento del mattino. Oltre una curva, una colonna d'i «QI» americani cammina in fila indiana, l'uffletale in testa, un sergente in coda, in assetto di guerra. Negroni giganteschi, figli del caldo Mississippi, della Georgia, dell'Alabama, camminano curvi sotto il vento che moltiplica crudelmente i —* gradi del termometro, il volto coperto dal passamontagna kaki. «E' la seconda divisione di fanteria — dice il mio accompagnatore^--, un'unità formidabile». A me sembrano soprattutto intirizziti. tato sparare: con un milione e mezzo di soldati attorno, e generali nervosissimi, tirare a una cicogna può costare, una guerra. Se gli animali sapessero ridere, troverebbero ti trentottesimo parallelo una barzelletta deliziosa. La zona demilitarizzata è come un sandwich territoriale. In mezzo, il filo spinato die corre lungo tutta la linea del «cessate ti fuoco» raggiunto trentanni fa, nel 1953, dalla costa del Mar del Giappone, a Est, fino al Mar Giallo, a Ovest. A Sud e a Nord del filo spinato, due chilometri per parte formano le fasce di territorio simmetrico da lasciare prive di armati. E incastrato a cavallo della linea di demarcazione c'è Pan[munjom, il villaggio dell'assurdo. Un piccolo insieme di baracche e due o tre costruzioni di cemento dove il Nord e II Sud Corea, l'Onu (cioè gli americani) e la Cina (il protettore del Nord) si incontrano e si parlano. E' il solo punto di contatto di tutto il 38" parallelo, di tutta la «DMZ», l'unica frontiera al mondo assolutamente non transitabile, da nessuno. Ed è quindi naturale che in esso st concentrino l'insensatezza, la tensione, persino la comicità involontaria accumulata in trentanni vissuti sul piede di guerra. «Vestitevi bene perché altrimenti i nordcoreani vi fotografano e poi dicono che al Sud si muore di fame», am-. monticano gli accompagnatori americani e sudcoreani. «Non sorridete e non agitate la mano, perché altrimenti 1 nordcoreani vi fotografano e poi dicono che sono gesti di entusiasmo per Ktm Il-Sung, 11 loro dittatore». «Non rispondete alle provocazioni, non fate gesti bruschi, non correte, non arrestatevi di colpo, non uscite dai percorsi Indicati. Fotografate solo nelle direzioni consentite». Al centro esatto dt Panmunjom, proprio a cavallo, della linea di demarcazione che attraversa il villaggio, c'è la baracca dipinta d'azzurro zf dove le delegazioni d'armistizio si incontrano tutti i giorni alle 10,30. E anche questa baracca riproduce in piccolo lo stesso gioco dell'assurdo. Poiché la linea del cessate il fuoco la taglia in due, gli americani e i sudcoreani entrano solo dalla porta Sud, i nordcoreani e i cinesi dalla porta Nord. Si siedono a un tavolo quadrato, con una batteria di microfoni in mezzo, e il filo di collegamento che serve da linea di confine.' Le delegazioni stanno attentissime a non «sconfinare», cioè a non mettere le borse, la penna, l fogli, le sigarette oltre il «filo del microfono», nella porzione di tavolo che si trova oltre frontiera. «Non appoggiate niente sul tavoli, non dimenticate nulla, non toccate» ripetono le guide ai visitatori. Furibondi incidenti diplomatici sono scoppiati perché un oggetto caduto di mano a una persona nel settore «Sud» della baracca è rotolato fino al settore «Nord» del pavimento. Le guardie di frontiera che Ktm Il-Sung, lo Stalin della Corea del Nord, manda a presidiare Panmunjom sono tutte ovviamente «sceltissime», indottrinate fino alla follia. Portano sul petto la massima decorazione, che riproduce — che altro? — il volto di Kim Il-Sung, e vivono in un mondo mentale governato esclusivamente dal «pensiero» del «grande leader». Mi confessa un ufficiale sudcoreano che presta servizio qui (cintura nera di karaté come tutti i militari di Seul a Panmunjom), di avere, una notte, violato gli ordini e cercato di parlare con un «nemico». «MI ha detto che suo padre era Kim Il-Sung e tutti nel Nord sono suol figli. SI, ma intanto noi abbiamo vinto più medaglie di voi, al Giochi asiatici, gli ho risposto, e lui ha Incominciato a urlare gridandomi "bugiardo", Kim Il-Sung ha detto che voi non ne avete vinta nessuna. Mi è venuta paura: quell'uomo non era neppure un nemico, era un pazzo» ("incidentalmente: è vero, il Sud ha vinto più medaglie del Nord, agli ultimi Giochi asiatici). Ma qui, come altrove, la follia non è monopolio di nessuno. Il contagio del fanatismo propagandistico, l'effetto «specchio» di tutte le guerre calde o fredde, si fa sentire. Qualche anno fa, la delegazione clno-coreana si presentò al tavolo della «baracca» con una bandierina più alta di quella coreano-americana. Il giorno dopo, il Sud rispose, portando una bandiera più alta. Il Nord «rilanciò» subito, poi toccò al Sud, e In capo a due settimane le «bandierine» erano cresciute al punto di non passare più dalla porta. Fu raggiunto un compromesso: il Nord ìia la bandiera più alta, ma il Sud ce l'ha più grande. no, a volume altissimo e in direzione Sud, discorsi dt Kim Il-Sung e inviti alla defezione, ininterrottamente per 12 ore. Ci sarebbe da diventare sordi, se non fosse per un dettaglio: il villaggio nordcoreano è completamente disabitato, tranne 12 tecnici dell'esercito che due volte al glor-\ no lo ispezionano. Operetta? La visita al « tunnel d'invasione» sconfigge subito la tentazione dell'umorismo. Se Panmunjom è un luogo da Lewis Carroll, una città da «cappellaio matto» (anche se 53 soldati americani vi sono morti in vari incidenti, gli ultimi aggrediti a colpi d'ascia dai nordcoreani perché potavano un albero troppo vicino alle loro linee), t budelli che gli uomini di Kim Il-Sung scavano nel granito, notte e giorno, sotto la zona smilitarizzata sono prodotti di una pazzia non più risibile, ma pericolosa. Ne hanno scoperti finora tre, nel 74, nel 75 e-nel 78, quasi sempre grazie a soldati del Nord fuggiti a Sud, e ce ne sono, pare, almeno altri 12 in costruzione. Si sentono ogni tanto mine brillare, le colline tremare, e le truppe di Seul perforano la terra, a caso, per Intercettare le gallerie: ma 241 chilometri sono tanti, le probabilità di azzeccare a caso i tunnel, pochissime. Quando, nella baracca dove si Incontra la commissione d'armistizio, fu rinfacciato il fatto ai nordcoreani, questi risposero che si trattava dt vecchie miniere di carbone, e che «gli imperialisti» cercavano la provocazione. In effetti, e quasi esito a scriverlo, per un lungo tratto II tunnel numero 3, quello più lungo, è stato frettolosamente dipinto_ con la vernice nera, spalmata' dal nordcoreani, quando avvertirono sopra la testa le perforazioni fatte per intercettarli. Adesso, il « terzo tunnel», che ha una capacità di passaggio di 10 mila uomini all'ora, equipaggiati con jeeps e piccoli cannoni, è stato murato con lastroni di cemento, e poi minato. Lo sorvegliano un drappello dt guardie e il canarino antigas. Non ha più alcuna importanza militare. Ma se è vero, come dicono americani e sudcoreani, che i Jigli di Kim Il-Sung ne stanno scavando altri 12, e dunque è vero che anche 30 anni dopo l'aggressione e la guerra di Corea, a Nord si progetta ancora concretamente un'azione militare, allora una visita al trentottesimo parallelo non è più soltanto uno sguardo nel fiume della mirabile stupidità umana. Sotto' la nebbia della «pace del mattino», in un Paese che è alla congiunzione critica delle tre superpotenze, Urss, Usa e Cina, c'è ancora la scintilla mai del tutto spenta di quello che si vide brillare per un attimo, trentanni fa, con l'urto fra cinesi e americani: la prossima guerra mondiale. Lunga vita a te, canarino delta pace, vittorio Zucconi Trentottesimo parallelo. Una pattuglia coreana nella zona smilitarizzata. La frontiera da sorvegliare è lunga in totale 241 chilometri

Persone citate: Kim Il, Lewis Carroll, Negroni, Stalin