Cacciatori di missili di Frane Barbieri

Cacciatori di missili La lettera di Andropov a Reagan Cacciatori di missili In hessun'altra occasione si' dicono tante bugie come nella caccia e nella guerra: è un vecchio proverbio russo usato poche sere fa alla televisione moscovita dal noto americanista del Cremlino Arbatov nel commentare gli attuali rapporti tra le due potenze. Ha citato il detto popolare per completarlo: «Si mente altrettanto nella corsa agli armamenti». Il messaggio di Reagan e la rapida risposta di Andropov potrebbero perciò anche far parte del gioco alla menzogna fra Mosca e Washington le quali se non propriamente in guerra si trovano senz'altro in una grossa battuta di caccia internazionale e ancora più sicuramente partecipano da protagonisti nella corsa agli armamenti. Verità o bugia, fatto sta che le trattative con in prospettiva un vertice accennano a sbloccarsi dopo un arresto di parecchi mesi. Una riattivazione della «linea rossai) fra la Casa Bianca e il Cremlino era nelle previsioni dopo l'ascesa dell'uomo nuovo a Mosca. Lo fece trasparire lo stesso Andropov nelle sue prime dichiarazioni. Si e verificata però subito anche la prima battuta d'arresto. Era lo stesso accademico Arbatov a comunicare che a Mosca prendevano la decisione sui missili MX come «il primo vero messaggio del presidente americano» alla nuova leadership, òli altri due, contenenti l'invito alla trattativa, apparterrebbero appunto alle bugie di caccia e di guerra. Sennonché Andropov si è deciso a rispondere positivamente e rapidamente proprio alla «bugia». La risposta di Andropov rappresenta la prima indicazione sul corso che ora sta prevalendo al Cremlino ma più che una scelta definitiva contiene piuttosto l'intenzione di verificare gli orientamenti dell'antagonista. Infatti, sembra sia giunto il momento della verità sia per Reagan che per Andropov. A Washington si intrecciano tuttora due linee contrastanti. La prima, partendo dall'espansione sovietica degli ultimi anni, e dalla valutazione che il peso degli impegni strategici sia stato eccessivo per l'economia dell'Urss, consiglia di aggravare ulteriormente, con il rifiuto degli scambi dei crediti e delle tecnologie, la crisi interna della patria del socialismo, sperando che ciò possa spuntare di riflesso la sua prepotenza esterna. La seconda linea, invece, parte dal presupposto che le tensioni inteme inducono Mosca a crearsi uno sproporziona to sistema di difesa e sicurezza dai pericoli esterni e che di conseguenza un concorso occidentale nello sviluppo moder no dell'economia sovietica avrebbe come risultato la dimi' nuzione della sua aggressività esterna e la trasformazione graduale dello stesso suo siste ma interno. In parole povere si blandisce meglio il pachider ma sconosciuto con la Coca' Cola, i blue-jeans e i computers (cioè con il benessere) o con i missili nucleari e le tensioni militari? Una scelta definitiva Washington non l'aveva mai fatta. Nixon sembrava aver optato per la seconda, poi Carter, senza volerlo (come confessa nelle Memorie) è scivolato verso la prima, e Reagan, partendo decisamente dalla prima variante, si vede indotto a combinarla sempre di più con la seconda. A Mosca le opzioni sono pure due, riflesso e allo stesso tempo causa di quelle americane. Una corrente sostiene che bisogna approfittare delle superiori tecnologie occidentali e legarle alle favolose risorse naturali sovietiche. L'altra corrente è del parere invece che il capitalismo attraversa la sua crisi finale e che bisogna lasciarlo soffocare, chiudendogli gli spazi circostanti. Nemmeno qui nessuna delle due tendenze aveva mai prevalso definitivamente. Breznev era partito con «il programma della pace» per finire con il contrabbando degli SS 20. Oggi Reagan sembra aspettare una scelta più chiara da Andropov e Andropov la pretende allo stesso modo da Reagan. Fra i due grandi le intenzioni di Reagan sembrano conosciute almeno in buona parte, ultimi ripensamenti inclusi, mentre la vera prova riguarda il tuttora sconosciuto Andropov. Sappiamo dalle ultime indiscrezioni moscovite che si era aggiudicato la successione già cinque mesi fa, a sorpresa, durante una sessione straordinaria del Comitato Centrale, con Breznev assente, e presieduta da Cernjenko, preso alla sprovvista dalla richiesta di alcuni membri di designare in anticipo il «delfino». Si dice che Andropov abbia vinto dando più garanzie di portare l'Urss fuori dalla paralisi in cui gli impegni sproporzionati senza copertura adeguata l'avevano trascinata. La lettera alla Casa Bianca sarebbe quindi la prima messa in atto della linea andropoviana, la quale poi non si sa quanto potrà essere lineare se si legge il discorso pronunciato ieri dal maresciallo Ustinov. Per certi versi, quindi, anche Reagan entra a far parte del Politoli ro post-brezneviano: dalle scelte che saprà fare tra le due varianti americane dipenderà in buona misura il corso che Andropov potrà imprimere al Cremlino. Per un Kruscev ci vuole pur sempre un Kennedy, con la prospettiva magari di soccombere insieme. Frane Barbieri

Luoghi citati: Mosca, Urss, Washington