Tirana: dopo di noi, l'eresia di Frane Barbieri

Tirana: dopo di noi, l'eresia La roccaforte delP«unica rivoluzione pura» di fronte alle avances del nuovo Cremlino, a 22 anni dalla rottura Tirana: dopo di noi, l'eresia Énver Hoxha e Andropov sono gli unici superstiti dell'incontro che segnò l'uscita dell'Albania dal Patto di Varsavia e dal Comecon - Alla lite era presente anche l'ex primo ministro albanese Shehu, ufficialmente suicida un anno fa perché «traditore» - In realtà è stato la quinta vittima di un tentativo d'apertura al mondo - Quest'anno il primo segretario albanese non ha attaccato il capo del pcus rispondendo (negativamente) all'offerta di Mosca: un segno di pace? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BELGRADO — Mosca ha mandato un segnale a Tirana proponendo di uscire dalla situazione innaturale» e ripristinare i rapporti interrotti tra 1 due Paesi socialisti. Il governo albanese non ha risposto, a meno di considerare una risposta 1 due discorsi pronunciati negli stessi giorni dal primo ministro e dal presidente del Presidium. Sia Cerciani, sia Allju hanno fatto appello a resistere alle pressioni del «revisionismo e imperialismo sovietico». I segnali distensivi di Mosca arrivano già per il sedicesimo anno consecutivo, in occasione della festa nazionale albanese. 1129 novembre. E per la sedicesima volta vengono rudemente respinti da Tirana. Tuttavia, questa volta si coglie qualche accenno nuovo nelle aperture sovietiche e' nelle chiusure albanesi. Per decifrare meglio le une e le altre, bisogna rifarsi ad un avvenimento piuttosto lontano. Lo ha descritto Enver Hoxha nelle sue memorie: nel novembre di 22 anni fa, la delegazione albanese ebbe al Cremlino un incontro chiarificatore con i dirigenti sovietici, capeggiati da Kruscev. «Quando gli parlammo apertamente, dei' suol errori, (si trattava anzitutto del riconoscimento di Tito ndr.) egli scattò: "Voi mi sputate addosso. Solo MacMillan ha voluto parlare cosi con me". Intervennero i miei compagni Mehmet e Hisni, estremamente indignati: "Il compagno Enver non è MacMillan, quindi ritirate le vostre parole' "Per metterle dove?", chiese Kruscev." In tasca", rispose Mehmet. Al che tutti ci alzammo e li piantammo. Questo fu l'ultimo colloquio con questi rinnegati». L'episodio descritto dal capo albanese segnò la rottura: gli albanesi e 1 sovietici non s'incontrarono mai più, e l'Albania usci sia da) Patto di Varsavia che dal Comecon. Uscita che questi organismi significativamente non hanno finora mai riconosciuto. Da parte sov;etica, oltre a Kruscev e Suslov, a quel téte-a-téte al Cremlino aveva partecipato anche Andropov, nella veste di segretario per le relazioni intercomuniste (pochi mesi prima si era recato anche a Tirana per spiegare il nuovo corso sovietico e attenuare i contrasti). Da parte albanese, il personaggio più impegnato nella polemica, quel Mehmet che provocò l'Incidente, era Shehu, primo ministro. Di quei partecipanti, oggi rimangono solo Andropov, divenuto capo del pcus, ed Enver Hoxha, che proprio recentemente ha rivelato che il suo braccio destro, protagonista delio scontro di Mosca, non era altri che un agente del Kgb. Rimasti loro due al vertice di Mosca e Tirana, potranno cambiare qualcosa? A differenza di Kruscev, Breznev e Suslov, Andropov non è stato mai fatto segno a degli attacchi denigratori di Hoxha (anche se paradossalmente negli ultimi 16 anni doveva essere proprio lui il «capo segreto» di Shehu, se è vero che il primo ministro era agente sovietico, come sostiene il leader albanese). Mentre gli ultimi segnali di Mosca, trasmessi su tutti i giornali principali, e ispirati ovviamente da Andropov, sembravano meno formali e più impegnati nell'offrlre là rappacificazione, le risposte albanesi sono'rimaste alle formule d'un tempo, questa volta però senza coinvolgere personalmente la figura del capo del Cremlino. Ciò avallerebbe le indiscrezioni secondo le quali Mosca starebbe tentando un riaggancio per vie diplomatiche traverse, servendosi della mediazione dei vietnamiti, gli unici nel mondo riconosciuti da Hoxha come «rivoluzionari puri», uguali cioè agli albanesi. Se la cremlinologia è risultata anche recentemente un'arte imperfetta nel prevedere 1 futuri sviluppi al vertici sovietici, la tirandola è ancora molto meno affidabile nell'lndovlnare in quale direzione si muova la politica albanese. L'unico fatto certo è che proprio negli ultimi tempi quest'ultima ha subito un'ennesima svolta. L'Albania, che spesso si mimetizza anche sulla carta geografica, ricompare di volta in volta, da un congresso all'altro, di elezioni in elezioni, quando Enver Ho;:ha lancia al mondo intero la cronica sfida àe\\'«unico Paese rimasto fedele alla rivoluzione». Recentemente, il capo albanese è riuscito anche a rendere appassionanti, quasi una suspense, le monotone elezioni a candidati unici per l'Assemblea Popolare. Ha scosso l'abulia degli elettori con tre rivelazioni a dir poco drammatiche. La prima svelava il mistero di Mehmet Shehu : il primo ministro che per 27 anni aveva governato il Paese a fianco dello stesso Hoxha non è stato altri che «un traditore e nemico più pericoloso dell'Albania socialista», agente al soldo contemporaneamente della Cia, del governo jugoslavo e del Kgb. L'Impossibilità di servire tanti padroni e di essere allo stesso tempo capo del governo lo ha costretto al suicidio, un anno fa. La seconda rivelazione ha fatto scoprire agli albanesi che un gruppo eversivo armato era sbarcato sulle coste adriatiche e era stato «annientato prima che potesse respirare». Questo gruppo sarebbe stato inviato dalla Jugoslavia per organizzare una sommossa; 1 suoi componenti erano seguaci dell'ex re Zogu, servo a sua volta degli Italiani. La terza rivelazione riguardava le trame delle grandi potenze, Usa. Urss e Cina, senza distinzioni, che cercherebbero di penetrare nel Paese e impossessarsi del vitale punto strategico che è l'Albania. Hoxha ha fatto le sue rive¬ lazioni nel discorso pre-elettorale e la risposta delle urne è stata adeguata all'avvertimento lanciato ai nemici: su 1.627.968 elettori iscritti, non uno è mancato all'appuntamento del seggi elettorali. Partecipazione 100 per cento, e un solo voto contrarlo. Montando l'ultima vittoria plebiscitaria in base a rivelazioni fantasmagoriche. Hoxha rivéla più che altro che al Polltburo di Tirana c'era sta¬ to contrasto attorno agli indirizzi fondamentali della politica albanese, e che egli correva, il rischio di perdere. Questa di Shehu è la quinta decapitazione al vertice del partito e del governo. Per primo cadde Dozdze, il vice di Hoxha, accusato di tltoismo. Poi Llrlgega, Incolpato di kruscevismo. La terza vittima fu Baluku, ministro della Difesa, colpevole di aver suggerito un approccio equilibrato a Mosca per non rimanere troppo condizionati da Pechino. La quarta fu Kellezi, vice-primo miniatro e responsabile dell'Economia. 11 quale, sembra su suggerimento di Chu En-ial, caldeggiava l'apertura di contatti con la Cee. La quinta esecuzione (perché sempre di esecuzioni anche fisiche si è trattatd), quella di Mehmet 8hehu, rappresenta per molti aspetti 11 punto culminante di questa lunga lotta intestina per 11 potere e per la successione di Hoxha. Per molti versi, la vicenda Shehu riassume tutti 1 motivi del conflitti precedenti. Il 17 di dicembre dell'anno scorso, un breve comunicato ufficiale rendeva noto che il primo ministro si era ucciso «in un momento di depressione psichica». Si era notato subito che non fu proclamato né il solito giorno di lutto nazionale, né furono organizzati i funerali di Stato (spiegazione: non è nelle tradizioni albanesi rendere onori ai suicidi). Informazioni diplomatiche da Tirana parlavano poco dopo di una cena riservata del membri del Polltburo, nel Palazzo del partito, in cui dovevano essere chiariti alcuni punti rimasti irrisolti nel precedente congresso. Le stesse fonti assicuravano che quella notte si sentirono colpi di pistola riecheggiare dal Palazzo, e che si seppe subito dopo che a estrarre la pistola era stato Shehu. abbattuto poi dal seguaci di Hoxha. Nel suo ultimo discorso, infatti, quest'ultimo ha affermato che il primo ministro super-agente avrebbe avuto ordini — dal suol padroni russo-jugoslavo-amerlcani — di uccidere il segretario generale, ma non si è spinto al punto di ammettere la sparatoria. Hoxha ha sostenuto Invece che Shehu si trovava impossibilitato a «deviare dalla retta via del partito perché sarebbe stato subito scoperto, alla prima mossa». Di conseguenza «trovatosi fra due fuochi, fra le richieste dei servizi segreti jugoslavi, ai quali il Kosovo bruciava sotto i piedi, e la paura di fronte al nostro popolo e al nostro partito uniti, a Mehmet Shehu non è rimasto null'altro che la via vergognosa del suicidio». Richiamandosi a «documenti scoperti e prove incontesta'oìlì a nostra disposizione», Hoxha ha rivelato' chie Shehu era «agente del servizi americani già prima della guerra»; poi durante la lotta partigiana, nella veste di primo comandante della prima brigata, si «era messo al servizio della polizia jugoslava», per essere poi «ingaggiato anche dal Kgb sovietico». Suo compito era «mettere l'Albania sotto il dominio straniero». Nelle rivelazioni del capo albanese è rimasto poco chiaro come Washington, Mosca e Belgrado abbiano potuto coordinare e spartire tra di loro questa ambizione al dominio, se a lume di logica l'interesse primario di Belgrado dev'essere quello di non vedere i moscoviti insediarsi a Tirana, Mosca intende bloccare ogni infiltrazione di Washington, e infine Washington vuole vedere Mosca fuori gioco in Albania. I tre presunti padroni di Shehu si escludono a vicenda, piuttosto che convergere con i loro interessi. Ma non è l'ultima delle contraddizioni: è difficile capire come Shehu abbia potuto rimanere per 40 anni al vertice prima mumero tre, poi, dopo l'eliminazione del «titoista» Dzodze, numero due, braccio destro e delfino designato dello stesso Hoxha (trentanni) e suo primo ministro (27 anni) senza arrecare danni o distorsioni alla politica alba-, nese (anzi applicandola con rigore anche violento), e senza che Hoxha si accorgesse del suo doppio, triplo, addirittura quadruplo gioco. Il caso Shehu ha però un'Interpretazione meno romanzesca e poliziesca, la quale getta un po' di luce anche sulle possibili future svolte nella politica di Tirana. Frane Barbieri (1 - Continua)