Seul tra il miracolo e l'incubo di Vittorio Zucconi

Seul tra il miracolo e l'incubo VIAGGIO NELLA COREA DEL SUD: LA CAPITALE CON IL NEMICO AULE PORTE Seul tra il miracolo e l'incubo In pieno sviluppo, quasi quintuplicata in un ventennio, tocca i nove milioni di abitanti, con grattacieli, slums e i comunisti a pochi chilometri che scavano tunnel sotto la frontiera - Dieci milioni in contanti a chi se ne va, vasectomia e aborto gratuiti - Il vicesindaco: «Tutte le altre metropoli hanno qualcuno dei nostri problemi, noi li abbiamo tutti» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE SEUL — Ho viaggiato dentro l'incubo di un sindaco, e ho visto che cosa sognano Vetere, Novelli e Tognoli quando si concedono il lusso delVàngoscta. Sette rhilioni di abitanti in più in un ventennio (totale: 9), duecentocinquantamila neonati e centomila immigrati ogni anno, sette-ottomila miliardi di deficit, un'olimpiade da organizzare nell'88, um metrò da costruire, un esercito di seicentomila.nemici nordcoreani a 44 km dalle pòrte della città, intento a scavare tunnel sotto la frontiera per un attacco che forse verrà stasera, o forse non verrà mai, chi 10 può dire? Seul non è una città, ma è un quadro surrealista dipinto da un Magritte asiatico con la mano pesante e la calcolatrice impazzita, collocata dentro una dimensione sconosciuta a fisici e a geografi. Sospesa fra sottosviluppo e ipersvlluppo, fra guerra e pace, fra democrazia e fascismo, tra «amerlcan way of ili e., e gerarchie sociali confuciane. Una città 'impossibile" che sfida tutto quello che credevamo di sapere su,! «significato delle città", i r.ostri luoghi comuni urbanistici. «Ho visitato molte capitali — confessa il vicesindaco, Lee, indicando una densa biblioteca di studi su New York e Gerusalemme, su Roma e Vienna — ma non mi è servito a molto. Tutte hanno un po' dei nostri problemi, ma noi li abbiamo tutti». In Corea dice un proverbio antico: «Se ti nasce un cavallo, mandalo al mercato, se ti, nasce un figlio, mandalo a' Seul». Ma in questi anni, cavalli e figli hanno percorso insieme la strada del -miracolo» e sono approdati nella capitale. Burocrazia di Stato, esercito, mercanti, industrie, preti di 4 o 5 religioni, contadini, puttane, turisti, giornalisti, attori. Seul è tutto. Il traffico, quasi mezzo milione <tt.,,oittomobizi. guidate col , clacson, prima, che col volante, è anche il. primo riflesso di questa coabitazione universale. Branchi di macchine nere con lo chauffeur, tipiche del panorama urbano delle città comuniste, si mescolano alle piccole «Pony» private prodotte in Corea e insieme lottano, centimetro dopo centimetro, con gli autobus e i camion ancora carichi della polvere e delle folle del sottosviluppo: Mosca, Tokyo e Calcutta. «Ma adesso va bene — dice. 11 mio autista — avrebbe dovuto vedere il coprifuoco». Fino al 31 dicembre scorso, e per .30 anni, alle 11 di sera tutti i coreani dovevano essere a casa e un'ora prima scoppiava l'apocalisse quotidiana. Milioni di «cenerentole» dovevano rincasare tutte contemporaneamente o rischiare l'arresto'come agente nemico: l'assalto agli ultimi bus, la corsa disperata delle auto, gli scontri, l'asta dei tassì orinai sema più nessun riguardo per le tariffe (si parla dì tassinari ormai miliardari), sotto l'occhio delle prime pattuglie dell'esercito che sistemavano i posti di blocco per i controlli. «Oli incidenti d'auto sono diminuiti. del 34% dopo l'abolizione del coprifuòco», conferma il vicesindaco, y- Le università Restavano, in girò per Seul dopo le 11,'sólo i diplomatici, gli americana gli ospiti'e i turisti stranieri, esentati. «Una citta enorme improvvisamente tutta per noi — ricorda fra nostalgia e terróre un diplomatico italiano —, un po' paradiso e un po' 'inferno». Una metropoli di 150 km quadrati abbandonata a 30 mila persone. C'era un solo vantaggio importante, a parte la possibilità di parcheggiare ovunque: il coprifuoco serviva a scoraggiare il pendolarismo stagionale. «Chi è dentro è.dentro, chi è fuori è fuori», insomma. Oggi non piùrmiglìuia di contadini affluiscono dalle province per accompagnare temporaneamente i figli nelle scuole della capitale, quelle università che promettono ai giovani di non soffrire mai più cóme i loro padri. «Stiamo tentando di decentrare le università, di aprire facoltà legate agli istituti più prestigiosi nelle altre città. Ma 1 contadini non si fidano: una laurea è una laurea solo se è presa nella capitale, pensano». E continuano ad arrivare. Lo Stato offre dieci milioni di lire in contanti a tutti coloro che lasciano Seul e si trasferiscono al Sud. Finanzia, a costi che rischiano di minacciare i conti economici nazionali, industrie pesanti nelle città meridionali, acciaierie, cantieri, chimica, raffinerie, per mettere qualche organo vitale della propria economia in posizione militarmente meno vulnerabile agli attacchi nordcoreani e per succhiare via un po' di gente da Seni. L'aborto e la vasectomia sono gratuiti, le tasse sono feroci oltre il secondo fi- ' gito. Ma il tasso di natalità rimane asiatico e diminuisce drasticamente la mortalità, grazie allo sviluppo economico. Il risultato: fra immigrazione e bambini Seul aumenta di quasi il 4% ogni anno, nella capitale ci sono 5 canali tv a colori. Nelle campagne manca spesso l'elettricità. A Sud, sull'altra riva del ' a e e e e o a fiume Han, cioè quella più' lontana dalla frontiera della guerra sospesa, si può vedere il frutto di quest'albero urba-. no in continua esplosione: la città nuova. Per arrivarci si passa sopra enormi ponti freschi di cantiere, tanti «ponti di Verrazzano», molti dei quali a due piani, con una strada alta e una bassa, bassa davvero, quasi sul pelo dell'acqua. «D'estate, col fiume In piena — mi spiegano — spesso questa strada è allagata». Afa allora perché averla costruita? Perché non limitarsi alla corsia in alto? Perché più è bassa, più è difficile da bombardare e molto più facile da ricostruire provvisoriamente in caso di guerra, rispondono i coreani. Dalla linea del cessate il fuoco al ■centro di Seul, un Mig 21 impiega due minuti e mezzo, un carro armato nuno di un'ora. 7 regolamenti edilizi, a Seul, sono scritti dai generali e non dall'assessore.. Ciascuna delle grandi case a 20-30 piani che per chilometri e chilometri formano la nuova «quinta» meridionale della città ha il suo bravo rifugio antiaereo in cantina, le istruzioni in caso di attacco, il piano'per trasformare l'atrio in ospedale di fortuna e grandi numeri di riconoscimento dipinti sui tetti, per aiutare la ricognizione. Sono tutte costruite da privati, perché lo sviluppo coreano è privatistico, e costano due milioni di lire al «pyong», l'unità coreana pari a 3,3 metri quadrati, dunque 660 mila lire al metro. Si compra quasi sempre in contanti, e ci sono lunghe liste d'attesa per avere i 100 metri quadrati dell'appartamento standard. «Abbiamo trecentomila persone che ancora vivono negli slums. In condizioni inaccettabili» dicono al Comune, e.quindi certamente sono molte di più. Non le ho contate, ma l'autorità politica, in ogni regime, inevitabilmente ruba sul peso dei problemi che non ha ancora risolto. E gli slums si possono vedere benissimo, centinaia di casette di legno accatastate una sopra l'altra ai piedi delle ripide colline di granito che sbucano ovunque dal tessuto della città. Si possono odorare, per la puzza di verza (se è solo verza) conservata nell'aglio e nel peperoncino rosso che i coreani mangiano con trasporto. SI possono sentire, nell'effluvio di umanità die straripa verso il centro e i quartieri nuovi vendendo imitazioni di antiche porcellane «Yi», serpentelli per fare un brodo miracoloso e onnicurativo, donne, uomini, bambini da adozione, insomma se stessa. Base militare Ma Seul non è Saigon prima della caduta, non è Manila, né Calcutta. Anche nei suoi quartieri più miseri, dove si cammina sulle foglie del cavoli rotolati giù dalle pile del contadini, non si avverte il senso di putrefazione umana, di inevitabilità della disperazione, che tanta parte dell'Asia comunica, come una condanna. La presenza militare americana, pur cosi vitale, è concentrata fuori dalla capitale; e a Seul essa si è ritirata discretamente in una grande base dove gli architetti hanno tentato di riprodurre, con effetti malinconici, le strade e i quartieri della «suburban America». I 39.000 soldati Usa in Corea sembrano più alleati che padroni. Forse la lezione vietnamita ha davvero dato i suoi frutti. O forse, come mormorano i coreani, «noi slamo diversi dal vietnamiti». Non è una capitale corrotta, né in via di corruzione. Se qualcosa la minaccia non è la dolce lebbra del parassitismo post-coloniale che consumò Saigon nel dollari e con essa una generazione di americani, ma è II pericolo di un arresto brusco di quello sviluppo industriale che è stato finora — più degli «F15» della «Us Air Force» e dei 670 mila uomini in divisa — la vera «Maginot» sodo-politica della Corea del Sud. E poi, «questa è una città dura, non si Inganni—mi avverte un francese che da 15 anni ci vive —, una città chiusa attorno alle sue tradizioni, al meccanismi di autodifesa sociale sviluppati in secoli di governi dispotici e di Invasioni esterne, e sopravvissuti anche al boom demografico. Quasi tutte le spie e gli agitatori mandati dal Nord vengono denunciati dalla stessa popolazione, solo pochissimi sono scoperti dall'esercito e dalla polizia. A Seul neppure gli intellettuali sognano più la rivoluzione socialista: vogliono più democrazia e più benessere diffuso, non la Comune ». ( Dicono che anche il crimine sta diminuito (—19% per ì reati più gravi come omicidio, stupro, rapina a mano arma ta) e la droga sia un problema marginale. «Ancora una volta è 11 meccanismo sociale di autodifesa, confuciano, più che le leggi — osserva un economista cattolico die ha studiato a Roma e ora Insegna a Seul —. Quando alcuni anni fa la cocaina e l'eroi-, na cominciarono a dlffon-' dersi nel mondo dello spettacolo, attori, registi, produttori e scrittori fondarono un comitato di sorveglianza che. denuncia e mette al bando implacabilmente 1 colleghi Sospettati di tossicomania». E in più la legge provvede a scaricargli addosso una condanna minima a tre anni di reclusione, per il solo possesso di droga. Dopo Tokyo, e Singapore e meglio di Hong Kong, Seul è la quarta città asiatica che può vincere la scommessa dello sviluppo, o può ripiombare ancora nel burrone da cui sta arrampicandosi, trascinata dal peso di un'umanità dirompente, delle proprie tensioni politiche interne (più polizia o più democrazia?) e di condizioni politiche internazionali su cui non ha alcun controllo: nove milioni di persone che vivono nella zona d'ombra fra l'incubo e il miracolo, e la sentenza finale non è ancora stata pronunciata. Ogni sera, alle nove e mezzo, quando le ballerine australiane dello «Sheraton casinò» cominciano ad alzare le loro lunghe cosce bianchissime ed esotiche per il godimento del clienti coreani, gli elicotteri dell'esercito si alzano in volo, accendono le fotoelettriche e cominciano il pattugliamento notturno alla frontiera. Andremo a letto con le australiane o alla guerra con gli americani, stanotte? Vittorio Zucconi Seul. I a' quinte di cemento dei nuovi grattacieli incombono sull'architettura tradizionale

Persone citate: Magritte, Novelli, Tognoli, Vetere