« Vogliamo guardarli in Incela gli assassini dei nostri cari»

« Vogliamo guardarli in Incela gli assassini dei nostri cari» Nell'aprile '83 si celebrerà il processo per i crimini bierre a Torino « Vogliamo guardarli in Incela gli assassini dei nostri cari» Saranno in Assise i feriti ed i parenti degli uccisi dalle Brigate rosse - Non c'è odio, ma a tratti una sottile polemica nei confronti dello Stato - Le dimissioni per protesta del consigliere Puddu Quando incomincerà il processo contro le Brigate rosse I (la requisitoria è stata depositata l'altro ieri, per Natale è previsto il rinvio a giudizio e „elìa primavera 1983 l'inizio del dibattimento) le vittime e i parer!fi degli assassinati sa ranno jn tribunale. Ci saran-1 n0 ,a ,w Ue deì ricedirettore 1 \ae .LaStampa. Carlo Casale- gno. la moglie del presidente degli avvocati Fulvio Croce. quella del maresciallo Berardi, de! brigadiere Cotugno e i familiari degli altri morti massacrati dal terrorismo in nome di una logica aberrante. Vogliono ledere negli occhi gli assassini dei loro cari: vo- j JHono a 1 cM tanti giovani si so„0 na. 1 scosf) „e;,0 scur0 degu andro\„i dì casa, armati fino ai den g. ve^pamre a gente che an 1 , ^'°'"bo neU<:. 'confessano di dava a lavorare con le inani in tasca». «E' un atto che riempie il cuore di angoscia ma è un atto doveroso. Verso la società e verso chi è stato ucciso». Ci saranno anche le vittime azzoppate. Alcuni camminano j ancora con i proiettili di \ gambe. Altri i vegliarsi di i notte mentre rivivono l'incu- i co dell'incontro con i terrori- ! sti. Tutti cercano di dimenticare. Ma è difficile. Il ricordo è in agguato a ogni occasione. Le ferite psichiche sono spesso più profonde di quelle visibili nelle gambe e nelle braccia. «Mi sono reso conto che non potevo mollare — dicera sciatto della Polfer colpito dalle "bierre" il 17 novembre 1978 — se avessi rinunciato al mio lavoro, in quel periodo di grave tensione, avrei fiaccato il morale di tutti gli agenti che mi conoscevano. Non po levo». In silenzio ha trascina¬ to per mesi la sua angoscia e ha continuato a ripetersi domande destinate a restare senza risposte. «Mi guardo ancora intorno — dicera — non riesco a capire perché abbiamo puntato su di me». La maggior parte assicura di non odiare chi gli ha sparato. Semmai appare ogni tanto una sottile polemica nei confronti dello Stato. Ogni anno ci sono quattro raduni ufficiali di ex partigiani, sacrosanto: ma nemmeno un minuto dedicatoalle vittimedel terrore. Maurizio Puddu, consigliere provinciale della democrazia cristiana, azzoppato il 13 luglio 1977. si è dimesso dalla Consulta regionale per i valori della Resistenza e dell'antifascismo. Coloro che sono stati cosi solleciti nell'approvare una legge per rimettere in libertà i brigatisti che si sono «pentiti» dopo aver ferito e ucciso si sono completamente dimenticati di chi ha dovuto subire la violenza delle «bande armate». Il folle progetto delle Brigate rosse è legato a immagini di morte. A Torino le prime imprese criminali sono del 1973\ con il sequestro del sindacalista della Cisnal Bruno Lobate e del dirigente Fiat Ettore Amerio. L'anno dopo una squadra delle «bierre» irrompe nel Centro studi «Don Sturzo-, sequestra gli impiegati, ruba elenchi di iscritti, traccia slogan rivoluzionari sulle pareti. Nel 1975 bruciano le automobili di molti dirigenti della Fiat, viene ferito il vice-capo della Fiat Rivolta Paolo Fossat ed è organizzata un 'irruzione alla Si nger. Il terrore sta calando su Torino. I killer teorizzano la filosofia dello scontro «diffuso». Sparano per uccidere; ammazzano per fare paura. Gli anni di piombo per la comunità piemontese significano dieci morti, diciassette feriti, 129 attentati in un'«escalation» di violenza paranoica e demenziale. Giornalisti, avvocati, Industriali, sottufficiali di polizia, carabinieri, personale del carcere, persino due agenti carichi di freddo su un pullmino senza benzina come Lanza e Porcheddu possono diventare un simbolo e quindi un bersaglio della rivoluzione. Le Brigate rosse dicono di essere dalla parte degli operai e pretendono di battersi per la promozione del proletariato. Non si accorgono nemmeno che la quasi totalità dei lavoratori non accetta le soluzioni imposte dall'eversione: sciopera contro i signori della morte e manifesta in favore delle vittime. Ma l'enorme distanza tra il presunto e il reale non spaventa le Brigate rosse che continuano a schedare nemici, li seguono per settimane e poi li colpiscono a tradimento. Sembrano un esercito ma sono poi sempre quelli. Pian- ; ! | Antonio Di Torninosi pano il capo-officina Munari. Andrea Coi ferisce il funzionario Fiat Franco Visca: con lui ci sono Piancone, Nadia Ponti e Panciarelli. Ancora: Fiore, Micaletto, Vai, Piancone, Peci e la Ponti sparano a Cocozzello, a Maurizio Puddu, a Camaloni, a Carlo Casalegno. Ogni volta gli stessi uomini. Eppure dì loro non si sa mente fino al primo aprile 1980 quando Patrizio Peci decide di «pentirsi» e dì vuotare il sacco. In chili di pagine di verbale detta la storia di anni di terrore delle Brigate rosse: nomi, circostanze, date, struttura e organizzazione. Il suo contributo è definito «eccezionale» e serve a smantellare la colonna piemontese delle Brigate rosse. Anche se gli ultimi avvenimenti — a Rocca Cana- rese e alla banca di via Domo- dossola — dicono che il terro risma non e ancora sconfitto e "°n ha rinunciato a mettere le mani su Torino, Lorenzo Del Boca I 1 1 Moglie e figlia del m maresciallo Berardi jcone, Nadia Ponti. Micaletto, Raffaele Fiore sparano al con- sigliere de Dante Notaristefa- \ no; Raffaele Fiore, Peci, An-\ gela Val e Andrea Coi azzop-1

Luoghi citati: Torino