Alla scoperta della Sabauda

Alla scoperta della Sabauda DOMANI RIAPRE A TORINO JLA GALLERIA, CHE CELEBRA 1150 ANNI Alla scoperta della Sabauda Può cominciare da qui la visita ài grandi musei torinesi - L'ex regia pinacoteca è stata tutta riordinata - Riuniti in un'unica sezione i fiamminghi - Restaurati più di trenta dipinti tra i quali opere di Paolo Veronese, del Tiepolo, del Pollaiolo Esposti per la prima volta gli ori antichi della collezione Gualino - Un'associazione organizzerà mostre speciali e dibattiti TORINO — La Galleria.' Sabauda, ex regld pinacoteca di Torino, accoglie iti media Soltanto ventimila visitatori all'anno. Sarà per colpa della faticosa scalinata' che bisogna affrontare non essendovi ascensori nel'seicentesco palazzo guarinia.no che ci va co-, sì poca gente? O sarà che, essendo ospitata nella stessa sede del Museo Egizio, è da questa più rinomata istituzione sistematicamente derubala di visitatori? Ogni anno sono infatti più di centomila coloro che si acculturano sui faraoni, ma soltanto a uno su cinque vie-ne in mente di dare un'occhiata anche alla pinacoteca. E -quanti sono quelli < che ignorano del tutto l'esotico fascino egizio per accedere al piano superiore a vedere il patrimonio di dipinti accumulato nei secoìl dai Savoia? Impossibile dirlo ma un dato è certo, ce lo fornisce Rosalba Tardità, soprintendente ali Beni artistici e culturali: oltre la metà dei visitatori della Sabauda sono scolari in gita culturale obbligata. Comedire che i torinesi alla Sabauda ci vanno da bambini e poi più. Pubblicità Turisti? Pochissimi, non si va a Torino per fare un bagno d'arte, non ci vanno gli Italiarii, non ci vanno gli stranieri, ci si va per affari, per ragioni di. lavoro e Torino, città d'animo e destino industriale, anche quando fa politica culturale tenta di rimanere fedele a se stessa. Si è aggiudicata, contendendola a Firenze, la retrospettiva dello scultore americano Alexander Calder giustificando però l'entità della spesa con il fatto che esiste un'affinità tra Calder inveni'.re di un'arteispirata all'industria, e Torino, città per eccellenza industriale. Alla móstra di Calder che si aprirà-ingiugno ci-andranno tutti, verrà gente, da ogni parte d'Italia. «Io mi domandò — dice la Tardlto —, quanti sanno invece cosa abbiamo qui a Torino in esposizione permanente. Il fatto è che la pubblicità è diventata l'anima anche dell'arte e bisogna .creare;. un battage pubblicitario per fare in modo che il pubblico si accosti al capolavori». La Galleria Sabauda celebra domani il suo centocinquantenarioeviene riaperta al pubblico, con solenne cerimonia, tutta riordinata: riuniti in un'unica sezióne i fiamminghi della collezione del principe Eugenio, restaurati più di trenta dipinti tra l quali splendide opere di Paolo Veronese, del Tiepolo, del Pollaiolo, per la prima volta esposti di pubblico ori antichi e medioevali della collegione Gualino. Ecco, la Sabauda si ripropone con la speranza che i torinesi acce- dano alla galleria «ammirati e'reverenti» come accadde il 2 ottobre del 1832 quando Carlo Alberto decise di offrire al «pubblico godimento» dipinti di proprietà reale. Fu l'avvenimento culturale più vistoso, se non addirittura 'democratico», di quegli anni. C'era soltanto un precedente, quello dell'ultima discendente dei Medici, Anna Maria Luisa, la quale nel 1737 aveva disposto che tutte le opere d'arte raccolte dalla sua famiglia fossero legate inalienabilmente alla città di Firenze. I sostenitori del primato di Carlo Alberto fanno (notare però che mentre la Medici vedeva spegnersi in sé un illustre casato, Carlo Alberto età invece appena salito al trono e padre di due figli. Insomma, il fatto di avere famiglia non gli ha impedito di essere munifico ma è certo che a portarlo su questa retta via ci pensò Roberto d'Azeglio, primo curatore della regia pinacoteca, il quale a sua volta era stato influenzato dal fratello Massimo. Stando a Massimo d'Azeglio, chi a Torino voleva dedicarsi allo studio e all'esercizio delie arti poteva «morir tisico, poiché le arti vi sono tollerate come ebrei nel ghetto». Roberto d'Azeglio, convincendo il sovrano a creare un pubblico museo, progetto che rientrava nel quadro delle riforme tendenti a vivificare la cultura piemontese, dava una risposta pratica al fratello Massimo e l'inaugurazione della pinacoteca, allora sistemata a Palazzo Madama, fece scalpore. 1 Seri «e Giorgio Briano che quel 2 ottobre del 1832 «quando 11 pubblico di Torino vide per la prima volta aprirsi ai, suoi sguardi quelle sale fino allora inaccesse, quando si vide in faccia schierati tanti' tesori d'arte italiana e forestiera del quali molti non avevano pur mai sospettato l'esistenza, mandò un applaudo unanime», , Ma cosa operano raccolto i Savoia nella loro quadreria di famiglia? A quali intenti st erano Ispirati? Chi tra di loro era stato vero appassionato cultore d'arte e mecenate? Non Carlo III che regnò dal 1504 al 1553 e, come scrive il Vesme, «unico tra i principi e i signori italiani passò in mezzo al clamoroso trionfo del Rinascimento senza mostrare di accorgersene» limitandosi a far dipingere le sue armi sulle porte delle città piemontesi e a far ornare un albero genealogico della sua casata. Meglio si comportò Carlo Emanuele I, duca nel 1580, il primo che abbia raccolto una quadreria degna del nome, un migliaio di dipinti, molti mediocri ma alcuni di grande pregio. Fortunato fu invece Vittorio Amedeo I al quale il cognato Carlo d'Inghilterra mandò in dono nel 1653 un ritratto dei suoi tre figli, nipotini di Vittorio Amedeo, eseguito da Van Dyck, uno dei gioielli dell'attuale Galleria Sabauda. Carlo Emanuele II di quadri ne voleva tanti per adomare le sue- dimore e ne comprava a centinaia perché rappresentassero «paesi frutti, battaglie, marine, bambocci facete di belle donne». Purtroppo però voleva, spendere poco, così non può passare alla storia come amante delle arti. Vittorio Amedeo II ebbe in eredità la. collezione dello zio, principe Maurizio, cardinale a Roma e splendido mecenate. I Quattro elementi dell'Albani, tra le opere appena restaurate della Sabauda, facevano parte di questa collezione. Carlo Emanuele III entra invece nella storia dell'arte per aver acquistato la collezione del principe Eugenio di, Savoia-Soìssons, il quale, a Vienna, nella sua splendida residenza del Belvedere, aveva raccòlto una delle più belle quadrerie che esistessero al mondo. C'erano, e ci sono ancora, dei Rembrandt, dei Potter, dei Doti, dei Rubens, del Brouuxr, dei Van Ver Werff e grazie a questa collezione la 'Galleria Sabauda è. oggi la terza in Europa per l'arte fiamminga, dopo Amsterdam e Vienna. Ma'se Carlo Emanuele III è entrato per questo acquisto nella'storia dell'arte, subito ne esce vituperato per aver, commesso, nel 1738, un crimine irreparabile. Su istigazione del suo confessore Giovanni Pietro Costa fece bruciare ben 38 dipinti «lascivi» perché raffiguranti dei nudi. Così- sono stati divorati dalle, fiamme dei Michelangelo, dei' Paolo Veronese e una Venere che Paris Bordone aveva di¬ pinto espressamente per la duchessa Margherita. Prestigio la Sabauda ne ha molto, nonostante incendi, guerre, ruberie napoleoniche e sovrani bigotti. Se ha un difetto è la mancanza di organicità, fatta eccezione per il nucleo delle opere provenienti da Vienna. - Progetti • Ma la mancanza di un tessuto connettivo forse dà maggiore risalto ai singoli capolavori che costituiscono 'un'antologia di opere da ammirare una per una, senza l'intralcio per il visitatore co-' mane di quello che lo specialista, lo studioso, considerano invece un pregio, e cioè l'impegno di un discorso critico compiuto. Questa possibilità alla Sabauda è limitata all'arte piemontese del '400 e '700, ma è più dovuta agli acquisti e alle donazioni posteriori al 1832 che alle scelte dei Savoia. Oggi la Sabauda ha bisogno di altri spazi e i progetti sono tanti. Per esempio st pensa di sfruttare gli scantinati, di sistemarli adeguatamente, di esporvi parte delle opere accantonate nel depo¬ siti. La soprintendente ha intenzione di aprire almeno due nuove sale, una attrezza•ta a laboratorio di restauro, l'altra a sala esposittva didattica. E i fondi? «Non arrivano mai a tempo e in suffi-' eienza. dice, nemmeno quelli speciali stanziati dal ministero». E' stata sua l'idea di costituire un'associazione amici della Galleria Sabauda, che proprio in questi giorni si va concretizzando e che dovrà con conferenze, mostre speciali, iniziative varie, propagandare e vivacizzare la vita del museo. Forse l'associazione raccoglierà anche fondi tra i cittadini torinesi i quali nel 1959, dopo lo sfacelo e il lungo letargo post-bellico, permisero che la Sabauda riaprisse sottoscrivendo tramite La Stampa ben 282 milioni, la metà del costo previsto per la nuova sistemazione, soldi che il ministero non era in grado di fornire. Ma ha ancora senso in questa Italia degli Anni Ottanta l'antico motto «Il Piemonte farà da sé»? Per il Piemonte potrebbe essere motivo di orgoglio, ma che vergogna per l'Italia. Renata Pisa ' < gvdgczttgccpqampl1 Anton van Dyck: «I figli Ai Carlo I d'Inghilterra» (Galleria Sabauda di Torino, particolare)