Bentornati, ragazzi del Vietnam

Bentornati, ragazzi del Vietnam Il commosso abbraccio dell'America ai reduci dopo sette anni di polemiche e incomprensioni •i - —' £ . — A . : * * Bentornati, ragazzi del Vietnam Quando Fred Downs riapparve all'università, senza un braccio, un compagno gii disse: «Ben ti sta» - Ora Washington dedica un monumento ai caduti della «sporca guerra» e le città intitolano ai combattenti piazze e strade - L'umiliazione degli ostaggi a Teheran e l'arroganza imperiale dell'Urss hanno risvegliato l'orgoglio nazionale, scosso anche dal Watergate DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — Fred Downs ha 38 anni ed è senza il braccio destro. Lo perse in Vietnam nel '68 quando, al comando di una pattuglia, fu ferito nello scoppio di una mina. Vive nel Nuovo Messico, dove dirige l'ufficio reduci governativo. Ha scritto sulla guerra vietnamita un libro Inquietante «The killing torte; la zona per uccidere. Pino a dieci giorni fa, Fred Downs riassumeva l'atteggiamento americano verso i reduci dal Vietnam in un episodio occorsogli nel '69. Era tornato all'università. Uno studente gli vide 11 braccio monco, «re lo sei fatto in Vietnam?- gli chiese. «St.. Lo studènte lo fissò: -Ben ti sta. gli disse e gli voltò le spalle. Dalla scorsa settimana Fred Downs pensa che il giudizio dell'America sulla guerra sia cambiato. Adesso racconta un episodio assai diverso. Domenica in un ristorantedi Washington un gruppo di reduci ricordava ad alta voce la tragedia vietnamita. Il giorno prima, nella capitale si era inaugurato il monumento ai caduti nel conflitto. Al tavolo vicino sedevano cinque o sei studenti. Quando i reduci si alzarono gli studenti strinsero loro la mano, dicendo • Welcome home*, benvenuti a casa. Di episodi del genere se ne sono visU molti alla tv nella settimana dedicata ai reduci, e tutti puntano alla riabilitazione del soldato del Vietnam. Durante la parata, quando 15 mila uomini, i paraplegici sulle carrozzelle in testa, hanno attraversato Washington dalla Casa Bianca al Parlamento, la folla ha applaudito e sventolato le bandiere, uno spettacolo a cui l'America non era più abituata. Chi in divisa, chi in blue jeans, chi in tuta, 11S mila parevano, ha scrìtto la rivista Time, l'Armata Brancaleone, ma le donne e 1 vecchi correvano ad abbracciarli. Davanti al monumento ai caduti hanno pregato anche i pacifisti. Sempre Time ha riferito che Caroline Baum, di 26 anni, ha trascorso mezz'ora in raccoglimento: 'Che abbiamo creduto o no alla guerra vietnamita — ha detto — i reduci vanno rispettati: Il novembre di 13 anni fa, una marcia assai diversa, quella «contro la morte», si-era svolta a Washington: 1 dimostranti camminavano urlando! nomi dei morti ih segno di protesta, e i morti ammontavano a 40 mila. Indipendentemente dalle commemorazioni, la riabilitar zlone del soldato del Vietnam era già in atto in tutti gli Stati Uniti. Dall'inizio dell'anno Chicago ha dedicato ai reduci una piazza, lo Stato del Vermont ha intitolato al Vietnam un'autostrada, nel Kentucky è stata, eretta una statua ai 'green berets», i berretti verdi, le truppe antiguerriglia. Ai libri di condanna dell'intervènto americano in Indocina, si sono lentamente sostituiti altri intesi a rivalutarlo. La televisione ha messo In onda un documentario intitolato tll nemico ingrato: un inganno nel Vietnam» contro il generale Westmoreland, il capo di stato maggiore delle forze armate in quegli anni caldi: rno, ha. : dovuto parzialmente4 i 0 e r m i o i m ritrattarlo, e affronta ora una richiesta di danni astronomica. Nonostante il suo rigido conservatorismo, uno dei leaders più ammirati del Congresso è il senatore Jeremlah Dènton, che per un quinquennio fu prigioniero ad Hanoi. Il soldato del Vietnam è il primo a sottolineare la propria riabilitazione. Sul Wall Street Journal, James Stockdale, che insegna ora alle prestigiose Hoover Institutions in California, ha scritto che «assai più delle torture e della vergogna ad Hanoi sono state traumatiche le privazioni dell'amore, dell'Onore, delia dignità al momento del rimpatrio». WillianvVogt, che dirige un'azienda di computers, ha affermato sul Washington Post che 'bisogna insegnare ai nostri figli che non c'è gio¬ 4 riq )^#eJajw«iWif« «fp la minaccia della guerra, per guanto allontanata, riaffiora sempre». William Broyles — U direttore di Newsweek — ha ricordato che i reduci in Vietnam impararono una cosa sola: »Che sei solo, che nessuno divide con te la tua esperienza, o vi fa caso: eccetto il tuo compagno». Questo ripensamento nazionale, frutto anche del tempo e dell'introspezione, è in contrasto stridente col pericolo in cui gli obiettori di coscienza, i giornalisti radicali, e le Jane Fonda si proponevano come gli eroi della guerra vietnamita. Pare impossibile che a ventitré anni dalla mor¬ te dei primi americani in Vietnam, e a sette e mezzo dallo sgombero di Saigon, l'America riesamini con animo sereno quella che fu una delle più gravi tragedie della sua storia. Ma alla luce degli ultimi eventi in Indocina, l'esodo dei profughi, l'invasione dell'Afghanistan e della Cam- bogla, l'uso sovietico delle armi biochimiche o «yellow rain» (pioggia gialla) essa si chiede se il giudizio sul conflitto non fu falsato dal suoi sconvolgimenti interni. Soprattutto, avverte un senso di disagio per il trattamento fatto ai reduci, quel 3 per cento delia »me generation», la generazione dell'egoismo,- che cercava di sopravvivere sui campi di battaglia, mentre la grande maggioranza urlava nelle piazze 'fate l'amore e non la guerra». Il giudizio di Reagan che il conflitto fu «una causa giusta», un tentativo di difesa della libertà non trova vasta eco nella superpotenza. Ma si diffonde la convezione che, una volta in Vietnam, 1 politici dovevano consentire ai soldati la vittoria. Mal piti, dicono ad esempio i repubblicani, gli" StatttuiwJ;!: potranno en: trare in guerra senza volontà di andare fino in fondo. In particolare, si rivalutano le figure del 57.939 morti e dei quasi tre milioni di sopravvissuti. Èsse non sono piti quelle degli assassini, dei nevrotici o dei drogati, una sparuta minoranza, ritratte dai mass media e dal cinematografo. Sono le figure del ragazzi che, in un dramma spaventoso, hanno svolto 11 proprio compito come meglio hanno potuto, delle seconde vittime del conflitto dopo la popolazione vietnamita. «Era ora — ha commentato William Vogt — che non ci si chiedesse di mostrare pentimento, preferibilmente in lacrime, e si parlasse invece dei nostri coraggio, compassione, sacrificio, rabbia». E' difficile individuare le ragioni del cambiamento, Una. senza dubbio, è l'umilla- zione subita dall'America nella vicenda degli ostaggi a Teheran. L'altra è l'arroganza imperiale dell'Una. Una terra ancora è il recupero dell'orgoglio nazionale dopo il trauma del Watergate. Ma la piti importante * l'opera del reduci medesimi, relegati per un decennio a cittadini di seconda classe. Come 1 negri e gli studenti negli Anni Sessanta, le femministe e gli omosessuali negli Anni Settanta, essi si sono ribellati alla discriminazione. Hanno urlato a chi non voleva sentirla, perché accecato dai miti pacifista, del guerrigliero «buono», del comunismo liberatore, la loro verità di dolore e di miseria. I soli ad avere pagato di persona il Vietnam, che arrecò invece benessere a chi rimase a' casa, sono finalmente riusciti a liberarsi del marchio di criminali di guerra ingiustamente appiccicatogli. ' I prodromi dell'esame di coscienza americano datano a qualche anno fa, ma furono lenti e asfittici Incominciò Joan Baea, la cantante della pace, denunciando la repressione di Hanoi nel Sud Vietnam. Poi fu la volta della scrittrice Susan Sontal traumatizzata dall'invasione sovietica dell'Afghanistan. Infine si levarono le voci degli ex nemici del soldato Usa, 1 vietcong, che 'Votando coi piedi» erano fuggiti dal IPaese. L'Immagine della riabilita-Y zlone è espressa dalla cattedrale di Washington nei giorni della marcia dei reduci. Davanti a una folla silenziosa raccolta In preghiera, per quattro giorni, senza interruzione, volontari hanno letto migliaia e migliala di nomi. Erano 1 nomi dei caduti americani nella guerra del Vietnam. La fotografia del monumento alla loro memoria è stata pubblicata sui giornali di tutto il mondo: due pareti di granito a L, quasi scavate nel terreno, nella distesa verde che fiancheggia il fiume Potomac, tra l'obelisco e la statua di Lincoln. Sulle pareti, 1 nomi del soldati nell'ordine cronologico di morte, senza spiegazioni né commenti. L'idea non è nuova: 11 cimitero ebraico di Varsavia ha ricordato In questo modo le vittime dell'olocausto. Ma la vista toglie il fiato: quel 57.939 nomi sono la testimonianza agghiacciante di una duplice tragedia, vietnamita e americana, che ancora oggi divide l'Occidente. _ _ „_ l Ennio Coretto Oltre sette anni e due atteggiamenti contrastanti separano queste foto. A sinistra, nel 1975, a pochi chilometri da Saigon (ribattezzata Ho Chi-minh) prossima a capitolare, soldati americani e sud-vietnamiti corrono verso un elicòttero sotto il fuoco dei vietcong; in America è il momento di massima contestazione contro la guerra e in aprile, sotto la spinta dell'opinione pubblica, gli Usa si ritireranno dall'impopolare conflitto. A destra, Fred Strother, che in Vietnam ha perso una gamba, sosta davanti al monumento, Inaugurato nei giorni scorsi, con i nomi dei 57.939 militari caduti: da tempo gli Stati Uniti riesaminano la più grande tragedia detta loro storia e rivalutano i reduci