SPETTACOLO, CULTURA E VARIETÀ' di Mario Missiroli

SPETTACOLO, CULTURA E VARIETÀ' Ha debutiate air Alfieri lo spettacolo scespiriàno diretto da Mario Missiroli a: in TORINO — Trascrivo dal taccuino d'appunti, all'indomani della prima di Antonio e Cleopatra.-d'i Shakespeare, prima produzione dello'Stàbile torinese, regia di Mario Missiroli, ir» scèna all'Alfieri, le seguenti notazioni. A) IL PUBBLICO: d'una.volgarità Insopportabile: ma la colpa è dello Stabile, non serve a nulla convogliare ad una prima varli pullman di studentetll del circondario per dimostrare che si è amati da fòlle oceaniche se questo equivale a contrappuntare la rappresentazione di frizzi scomposti e applàusi fuori posto; ; B) LA DURATA: non si può protrarre una messinscena per quattro ore non è più tempo per. imprese consimili; lasciamo stare che anche i contemporanei di Shakespeare lo riducevano, è che la nostra capacità di ricezione, da frettolosi e distratti figli degli Anni Ottanta, è di due ore, due ore e mezzo al massimo; '■ 1 O) LA DISTRIBUZIONE: quando si mette in scena una tragedia di questa complessità, con una decina di ruòli primari, bisogna disporre di una compagnia, cioò. di un gruppo di attoriaffiatati erutti adalto.liveilo:quésta' è invece una formazione nata sul campo, senza affiatamento e con diseguaglianze di résa preoccupanti; - D) LA MUSICA DI SCENAÌ lo sanno tutti ormai che la musica è un codice interpretativo del testo, come scene e costumi: ma basta si esprima per accordi, per modulazioni, non deve sostituirsi al testo o sopraffarlo; qui, invece, è invadente, soffoca spesso la recitazione, la rende talvolta inintelleglbile: quel che è peggio', e mi dispiace per Benedetto Chiglia, è. incerta d'ispirazióne, blandamente eclettica..',, ■ •'Te " ' ' ■ Chiudo 11 taccuino e passo a ricostruire a memoria questo allestimento di Missiroli che è intelligente è rigoroso, ma viziato da troppi scompensi. L'intelligenza è soprattutto nella comprensione'del testo, che è piena e profonda: in quelì'aver Intuito che questa non è soltanto una tragedia d'amore, ma anche e soprattutto di potere; che l'amore è sfogo al proprio passionale narcisismo e il potere, a sua volta, una forma di egotismo freddo, etimologicamente apatico; che Antonio, nella delirante incoerenza della sua personalità, nella sua romanità «laica», tumultuosa e anarcoide, è l'altra faccia di Ottaviano, la romanità «religiosa», compassata e normativa (ed insieme essi sono 1 due'volti della nostra, dissociata, schizoide tradizione: gli affetti e i dòveri.'lo Stato é la Chiesa, Garibaldi è il papato, e via analogizzando); e che In mezzo ai due sta Cleopatra, cioè l'Oriente, metafora di un'altra dissociazione (e 1 tempi ne .sono gravidi) tra razionalità e istinto, tra sacro e profano, sublime e volgare. Il rigore è nell'aver tradotto questa comprensione in una magniloquente, compatta immagine scènica: un concavo spezzato di mondo, che è, al tempo stesso, un ligneo, lucido lacerto di carta geografica, di mappa del Mare Nostrum, racchiùso da sei alte colonne' lignee a sezione, le colonne del riostro (ricorrente) imperialismo (scene, dèi. regista e di Giuliano): è nell'avervl poi contrapposto :lo screziar del colori del bellissimi costumi della Mannini, 11 blu e rosa e verde cupo e orò d'Oriente contro il bianco ecclesiale di quel senato romano già in odor di curia. Ma poi intelligenza è rigore devono fare t conti con una ispirazione registica che sembra procedere per luci e ombre. Cosi alla folgorante scena iniziale dei due amanti spossati in quell'ombelico d'universo s'accosta, nel ricordo, la deludente scena del-banchetto politico sul naviglio di Pompeo, inquinata da musiche assordanti e soggètta all'inconsulto rollio del solito computer; a certe deliziose scene di comicità popolare araba (Cleopatra all'annuncio delle nozze di Antonio con Ottavia) s'accoppiano le faticate é incongrue sequenze del suicidio di Antonio stesso, calato dall'alto e. di bel nuòvo redivivo e in piedi, dopo il suo coma prof ondo. E quando 11 regista imbrocca tutta una sè- quenza filala (quella, molto suggestiva, di Ottaviano e i suoi a congresso, gelidi fantasmi della legalità), c'è un attore, che non nomino, che ci pensa lui a guastarla, occupandosi esclusivamente di riatteggiare di continuo il suo impaccevole peplo, incurante della finzione; Citr questo caso (io l'avrei multato, sinceramente) per tornare alla vistosa diseguaglianza interpretativa tra ruoli come un 'Ehòbardp, cui non basta l'imponente physi■ qué du rdle di Glauco Onorato (ci vuole ben altra pensosa sòftigliezza, in questo fllosofo-soldato plutarcheol) o come un Pompeo il giovane (inadeguato, persin nella voce, quel, pur atletico Claudio Ferrara) e quelli del tre protagonisti, l'Antonio del Celi, la Cleopatra delia Guarnieri, l'Ottaviano del Pea. Dei tre la sorpresa è Pea, nuòvo per Torino, monocorde fin che si vuole in quel suo aspirante imperatore dalle manuzze tignose, ma, Insomma, una presenza, tra l'onanistlco e il pretesco, che non si dimentica. Il Celi è persuasivo soprattutto nella sconfitta, come antieroe del quotidiano, in quella smagata disaffezione alia vita, nella consapevolezza dell'assurdità del reaie. E la Guarnieri, anche lei, viene ì jori alla distanza, ed è stupenda nella sua allucinata sfida finale alla morte. - Molti e lunghi applausi, ih chiusura, al regista e agli interpreti.. '. . . Guido Davico Bonino Nonostante la presenza di Adolfo Celi e della Guarnieri l'allestimento non ha a sua disposizione una compagnia ; - adeguata. Le sopraffazioni delle musiche di Benedetto GHiglia La scenografìa di Missiroli e. Giuliano per Shakespeare: il Mediterràneo teatro dello scontro I due protagonisti: CeliAr.lonio e la Guarnieri-Cleopatra

Luoghi citati: Ottaviano, Torino