Conquistadores dal Sol Levante

Conquistadores dal Sol Levante Il Giappone, gigante industriale d'Oriente, nell'autunno della crisi che avvolge il mondo Conquistadores dal Sol Levante Esaurito il miracoloso accrescimento geometrico della produzione, Tokyo punta sulle tecnologie più avanzate per saldare passato e futuro imponendosi come grande potenza - L'industria giapponese «imita» sempre meno e crea sempre di più - Un cocktail di produttività occidentale innestata nella disciplina e frugalità asiatica DAL NO8TR0 CORRISPONDENTE TOKYO — Dopo cinque anni di amorevoli cure, di notti bianche, di speranze, di soldi, una mattina dell'ultimo agosto il piccolo Idaten si è messo finalmente a camminare. Alla velocita — non male — di un passo ogni 0,8 secondi, perfettamente sicuro anche su una gamba sola, Idaten ha percorso una ventina di metri, senza mostrare la minima emozione prima che i genitori, solleciti, lo facessero riposare. Dicono che il padre, il professor Arimoto del politecnico di Osaka, lo abbia letteralmente baciato, sulla testona orribile, tutta un groviglio di fili e pezzi di ferro avvitati. Peccato che Idaten non sappia ancora parlare, perché certo avrebbe mormorato • Orarie, papà*. Bisogna avere pazienza: è solo un robot, anche se il più veloce del mondo, e l'unico capace di camminare a due gambe. Con le sue zampe corte e robuste (senza ginocchio, spiega il padre, organo troppo diffi- elle e complesso da imitare) Idaten il robot cammina già nel futuro del Giappone «dopo-miracolo*, nella sua maturità scientifica e industriale. A lui, che ha gambe ma non ha testa, e al suoi fratelli computers, che han solo testa e sono senza gambe, agli uomini con testa e gambe c forse persino un cuore che lavorano nei laboratori privati e dello Stato, ai burocrati che li indirizzano, ai banchieri che li finanziano, agli operai che laboriosamente tradurranno le invenzioni in prodotti, è affidata la scommessa del prossimo Giappone: restare super¬ potenza economica, crescere ancora, divenire numero uno. Insomma vincere la guerra della futura supremazia industriale, dopo aver vinto la battaglia della ricostruzione, ormai finita. Il Paese è arrivato alla stretta che l'Italia ha già conosciuto, e non ha ancora superato. 10-15 anni fa. E' il guado inevitabile tra il boom facile delle mobilitazioni di massa dopo le grandi tragedie, come la guerra <«)/ rimbocchiaìtioci le maniche*), eia rldefinlzione di quel che una nazione vuol essere e vuol diventare. In una parola sola: è il momento delle scelte, non più semplificate dall'evidenza della ricostruzione. Quelle scelte che nazioni come l'Italia non hanno voluto ancora fare, forse illudendosi di poter attraversare il guado con tutto il carico delle proprie contraddizioni insolute, senza affondare. Ora il Giappone è in crisi. Lo dicono gli americani (forse per farsi coraggio), lo ammettono in parte gli stessi giapponesi, E' in crisi il modello di sviluppo quantitativo, di accrescimento geometrico, che ha visto decuplicare in 25 anni la produzione di autoveicoli, quintuplicare in 10 l'esportazione di televisori e Hi-Fi, passare da 0 a 100 mila la produzione di robot industriali in 8 anni. E' in crisi, a causa del proprio successo di saturazione, l'inerzia di una crescita industriale basata sulla for mula «Taylor più Confucio* cioè di metodi produttivi capitalistici, occidentali (Taylor), innestati sulla mistica del l'autorità, della disciplina e della frugalità di massa tipicamente asiatiche (Confucio) Per questo è importante osservare come reagisce oggi il Giappone «straordinario» posto dinanzi alla realtà «ordinaria» di una crisi di fondo causata non più da un singolo fattore negativo contro cui muoversi — l'aumento del pe trolio, ad esempio — ma da una recessione internazionale insieme gravissima, coni' plessa, e sfuggente. E questa reazione colpisce e (confesso) spaventa più ancora di quanto colpisse l'osservazione del «miracolo», perché toglie l'illusione di una certa fragilità di base della potenza nipponica. Lo si vede se si analizzano i tre elementi che compongono la risposta alla sfida. Il pri- mo è la scommessa massiccia, totale, sulla tecnologia più avanzata come strumento per guadare il fiume tra passato e futuro. Il caso di Idaten. il robot che cammina, è un piccolo aneddoto esemplare, ma dietro 1 suoi passi cammina un esercito di «conoufsfadores». Il consumo generale di nuove tecnologie è aumentato, e non diminuito, negli ultimi 13 mesi, i mesi della «crisi». La crescita dello «stock tecnologico» nazionale, cioè la somma totale di nuovi metodi e prodotti avanzati in fase di studio e applicazione, è la più alta del mondo. +5<?c. nonostante diminuisca drasticamente (—15.8%) l'importazione di tecnologie avanzate dall'estero, vuol dire che 11 Giappone imita sempre meno, e crea sempre di più. Le società puntano sul valore aggiunto, per mantenere o conquistare margini di competitività internazionale, che è la chiave del benessere nazionale. Le cifre sono inconfutabili: dal 1973 a oggi, la crescita media (reale) del prodotto lordo 6 stata del 3,8 per cento l'anno: di questo, il 3 per cento, quindi la maggior parte, è dovuto. secondo la Banca del Giappone, alle nuove tecnologie. I robots della terza generazione (capaci di muoversi e di essere meno dipendenti dalla programmazione), i supercomputers della quinta generazione, con una memoria da un trilione di bits (mille miliardi di informazioni), una velocità da 10 millesimi di miliardesimo di secondo, e soprattutto la possibilità di pensare, cioè di trarre conclusioni e stabilire nessi logici, sono due esempi tra i più spettacolari e ovvi. Molto meno cono-, Sciuto è il secondo aspetto della risposta nipponica alla fine del «miracolo»: contrariamente a quanto accadde e accade nelle nazioni europee. gli investimenti sono aumentati, e non diminuiti, da quando è cominciata la «crisi». Prima di tutto, a conferma di quel che si è detto sopra, sono Investimenti nella «R and D*, cioè nella ricerca pura e nell'applicazione tecnica: +12% nell'82 rispetto all'81. Poi, sorprendentemente, vanno nella siderurgia (+34%) per innovare 1 processi di produzione, ridurre i costi e ridare competitività a un settore che, lo sappiamo bene in Italia, è in crisi mondiale. Nel suo complesso, l'industria manifatturiera ha visto crescere del 10,1% gli investimenti, in questo '82 dif f icile. Ma né la scommessa sulla tecnologia avanzata, né il ritmo sostenuto degli investimenti nonostante una diffusa diminuzione dei profitti sarebbero possibili se alle spalle non reggesse con stabilità assoluta il quadro sociale del Paese. Gli industriali, le banche che ne finanziano (al 6-7% di interèssi) gli investimenti sanno, grazie alla pianificazione di obiettivi nazio¬ nali primari (non di prodotto, alla sovietica), verso quali direzioni di sviluppo è consigliabile muoversi, sapendo di poter contare sull'appoggio anche finanziario dello Stato. E nella loro azione, sanno poi, con approssimazione al decimo di punto percentuale, quali saranno i costi del lavoro l'anno prossimo. Il meccanismo di negoziato salariale annuo, che scatta ogni primavera, raramente propone sorprese, perché il sindacalismo organizzato per azienda, e non per categoria, consente alle parti di sapere di fatto, in anticipo, quali sono i limiti del compromesso aperto a datori di lavoro e a salariati. E' perciò già chiaro che, con un'inflazione attorno al 4%, gli aumenti non potranno essere molto superiori al 5%, la primavera prossima. E il governo ha provveduto a congelare al 4.8%. fino al prossimo aprile tutti gli aumenti del settore pubblico, per mettere un freno al deficit dello Stato. Risposta sindacale: un'ora di sciopero dei servizi pubblici. E basta. Dunque anche un esame da lontano del Giappone alle prese con il suo «dopo miracolo* accresce e non attenua il rispetto per questa nazione e insinua il dubbio che essa non sia più soltanto -un'economia alla ricerca di una politica*. come disse Henry Kissinger, ma una potenza che sta cominciando ora. e non esaurendo, il proprie cammino fra 1 dominatori del domani. Lo yen continuerà a cadere, forse, e la Toyota non aumenta le vendite più un mese dopo l'altro, mentre stanno certo cuocendo — dietro la formula «Taylor i- Confucio* —sentimenti nuovi, incerti, fra le generazioni ultime. Ma è difficile dissentire con quel che ha risposto uno dei pianificatori centrali giapponesi, l'economista Masaru Yoshitomi. a un intervistatore americano. Dunque anche voi siete finalmente in crisi? Gli ha chiesto petulante il giornalista Usa. «Scusi — ha risposto il giapponese — ma se la nostra è crisi, la vostra in Occidente die cos'è? Un disastro?*. Vittorio Zucconi Tokyo. Una linea di saldatura completamente automatizzata grazie ai robot in uno stabilimento della Nissan. Le tecnologie si fanno sempre più avanzate, ma è in crisi il modello di sviluppo quantitativo, di accrescimento geometrico, che ha visto decuplicare in 25 anni la produzione di autoveicoli

Persone citate: Henry Kissinger, Masaru Yoshitomi, Sciuto, Vittorio Zucconi