Sui medici ospedalieri pesano i guasti di una riforma fallita

Sui medici ospedalieri pesano i guasti di una riforma fallita Non sono solo le difficoltà economiche ad alimentare lo scontento Sui medici ospedalieri pesano i guasti di una riforma fallita Sempre più grave la carenza di personale paramedico modernamente addestrato - Solo sulla carta lo sviluppo della medicina preventiva e le attività sul territorio Le difficoltà con cui operano i medici ospedalieri dipendono da cause strutturali, ma rischiano di assumere delle dimensioni critiche per motivi contingenti, violentemente esplosi in questi giorni. Già da tempo, negli ospedali e nelle cliniche universitarie, la possibilità di erogare un'assistenza appena sufficiente è limitata a causa del mancato rinnovo delle strutture, dell'assenza di qualsiasi coordinamento nell'utilizzazione dei servizi e, soprattutto, della carenza di personale paramedico professionalmente qualificata L'acquisizione di nuove tecnologie, sempre più sofisticate, che si sono rapidamente sviluppate al servizio della medi cina, come per esempio i tra pianti e le terapie intensive, ri chiedono un maggior impiego di personale specializzato, di «quadri» che provengono da scuole professionali efficienti e moderne: la mancanza di questi rende oltremodo disagevole il lavoro dei medici e ritarda molto spesso l'applicazione delle innovazioni sanitarie. A queste ragioni di fondo si è aggiunto ora il malcontento dei medici ospedalieri, il con flitto sindacale e lo sciopero. Lo stato di agitazione si è iniziato nel gennaio 1981 quando il ministro della Sanità di allora ha siglato un accordo con i medici generici, estemi agli ospedali, accogliendo quasi integralmente le loro richieste retributive e normative. Quest'accordo, diventato operativo con l'attuale ministro, pur avendo reso giustizia ai «medici di famiglia», ha ulteriormente sottolineato le condizioni di inferiorìà e di disagio in cui già operavano i medici degli ospedali e delle cliniche universitarie. Per contro, su di essi ancora grava la mag^ior parte deiràt.lfyità assistenziale, in quanto ' lo sviluppo della medicina preventiva e le attività sul territorio, pomposamente annunciate dalla riforma sanitaria, sono rimaste sulla carta. Già è stato segnalato come, a parità di orario lavorativo, la retribuzione dei medici ospedalieri sia da tre a quattro volte inferiore a quella dei medici generici e specialisti ambulal> riali: questa differenza risulterebbe ancora maggiore (il che è tutto dire) se la si potesse valutare a parità di «prodotto assistenziale». La riforma sanitaria si c quindi iniziata con una grossa ingiustizia tra gli stessi operatori che dovrebbero attuarla e si sa, purtroppo, che l'ingiustizia non soltanto crea gli scontenti, ma provoca umiliazioni ed è fonte di tensioni. A questo punto vorrei, tuttavia, sottolineare la correttezza ed il senso prefessionale finora dimostrati dai medici ospedalieri. Non si dovrebbe neppure porre il problema se questi possono o non possono scioperare, anche se è evidente che nessun medico può e potrà mai rifiutare tempestiva assistenza ad un paziente che ne abbia bisogno. Prima di ogni altro codice, su questo punto è estremamente chiaro quello deontologico, che non ritengo sia slato infranto dai medici ospedalieri in agitazione. Il punto è che molta della attività ospedaliera spesso è di semplice «routine», non pregiudicante la salute del ricoverato, di normali procedure amministrative e che una parte dei ricoverati può essere curata a casa. . A ben riflettere, è più grave l'omissione del medico che, non visitando un paziente nel proprio ambulatorio, non si accorge di un ingrandimento delle linfogliandole o della milza, oppure di un nodo maligno al seno, che quella di un chirurgo che, in ospedale, ritardi di una settimana la riduzione di un'ernia o l'asportazione di un calcolo che non danno il minimo disturbo. In Inghilterra vi c stato recentemente uno sciopero ospedaliero che i durato diversi mesi. Vorrei considerare, inoltre, il buon livello di professionalità raggiunto dai medici ospedalieri, che va riferito, in particolare, alle giovani leve di assistenti e di aiuti. Essi vengono in genere reclutati tra i laureati con il massimo punteggio, completano la loro preparazio¬ ne nelle cliniche e nei centri ospedalieri attraverso un intenso ed appassionato lavoro di assistenza e di ricerca, acquisendo esperienze nei pronti soccorsi e nei turni di guardia e con soggiorni in ospedali e laboratori stranieri. Questo spiega il miglioramento di taluni servizi, anche di emergenza, che si è verificato in questi ultimi anni, nonostante le deficienze strutturali di cui si e fatto cenno. A questi medici, il ministro della Sanità risponde che non può accettare le loro richieste perché «tra gli ospedalieri ed i medici di famiglia ci sono differenze storiche che non si possono superare nel giro di un anno», semplicemente dimenticando le ragioni e responsabilità di queste «storiche» differenze e non considerando quanto ingiuste esse siano. Ma l'aspetto più grave, per alcuni versi drammatico, di tutta la vicenda è che i medici ospedalieri non si sentono più soltanto umiliati per le condizioni di lavoro e per le discriminazioni retributive. Si sentono anche colpevolizzati. Non per l'inchiesta della magistratura, di per sé giusta in quanto intesa ad accertare eventuali omissioni assistenziali, ma per il modo con cui è stata amplificata dai «mass media», e commentata da personalità politiche. Chi difende ora i medici ospedalieri? Gli Ordini professionali che tanto efficacemente hanno guidato, in prima persona, le rivendicazioni dei medici di famiglia? Un fatto è certo: se la situazione permane insostenibile, ci si dovrà attendere rinunce ed abbandoni dell'attività sanitaria pubblica, come £ già avvenuto anche ad alto livello. Ma poniamoci un mo¬ mento il seguente quesito: che avverrebbe, in una grande città come Torino, se i migliori chirurghi ed i migliori specialisti lasciassero simultaneamente il pubblico impiego per dedicarsi, a tempo pieno, alle strutture private? Felice Gavosto Ordinarlo di Cllnica Medica Generale Università di Torino

Persone citate: Felice Gavosto

Luoghi citati: Inghilterra, Torino