Lo scrittore nero cerca le sue radici dell'infanzia dell'Africa

Lo scrittore nero cerca le sue radici dell'infanzia dell'Africa idiiie Gordimer, la più grande autrice sudafricana Lo scrittore nero cerca le sue radici dell'infanzia dell'Africa na, è stata la più forte antapremio Nobel: dove avrebbe oce dell'Africa. Ancora poco stati pubblicati due soli suoi », Mondadori, «ì'n mondo di iderata uno fra i più Impore nel mondo. Per le sue posic stata spesso censurata nel icolo, esamina la situazione porto con le radici, prendenti il recente letteratura negra: iti-, di Wole Soyinka, narratoli e ri a no (in Italia sono apparsi fomanzi «Gli interpreti» e «Il look). bambino non precorre soltanto l'uomo straordinario, ma è anche l'uomo. L'Enfant Soir dello scrittore guineano Camera Laye, uscito all'inizio degli Anni Cinquanta, deve una parte del suo status di classico minore all'esotismo, die va al di là della dimensione territoriale. Il nigeriano Wole Soyinka è davvero un uomo straordinario. Poeta, narratore, drammaturgo, ha fatto quello che Camus, dispeiava di veder fare a un attivista, ha vis:uto il dramma della sua epoca ed è stato in grado di scriverlo. Durante la guerra civile del suo Paese rinunciò alla sua lealtà agli Yoruba per qualcosa di più grande e si unì alla campagna contro la vendita di armi a entrambe le parti in lotta. Tentò di fermare la guerra, fu torturato, incarcerato per due anni in condizioni spaventose dal generale Gowon e sopravvisse per rispondere in modo splendido alla necessità (so- '■ no sue parole) di «una lesti• monianza del totale isolamento I dei prigionieri politici che di; venti una sorta di lettera a cai Ima sempre incombente sulla plumbea coscienza del mondo». Non sorprende che l'approccio di Soyinka ag^i anni dell'infanzia abbia più aspetti in comune con Tristram Sband)1 che con Proust o La¬ ye, sebbene anche il villaggio di Laye fosse nell'Africa occidentale. Nelle prime novanta pagine circa il tono è leggero. Il dialogo aneddotico dei genitori e della gente, ricostruito, suona come un'invenzione, visione globale della vita più che risposta ai singoli eventi. E' diffìcile credere che un bambino sotto i cinque anni pensasse alla madre come alla «Cristiana», benché il fatto che rutti parlassero del padre come di SP, signor preside, lo portasse naturalmente a vedere in quella sigla un nome ad uso interno, non un titolo. Ed è difficile credere che le balbettanti risposte di un bambino di tre anni e mezzo fossero formulate nel modo in cui l'adulto raffinato ora le riascolta nella memoria. Mentre la gente del suo villaggio, Aké, comincia ad accorgersi della remota seconda guerra mondiale, Soyinka ragazzetto sembra diventare padrone di interpretare la sua personale esperienza, forse perché in quel momento era abbastanza cresciuto per incanalare impressioni istintive alia deriva in un sistema memorizzabilc. La cristiana e SP cessano di essere ideogrammi, divengono quelle misteriosissime creature della nostra vita, ! genitori. Dalla tenera battaglia quotidiana fra la madre, che distribuiva cariti e insegnamento cristiani con la stessa concretezza con la quale somministrava il contenuto delle sue pentole, e il padre, dotto agnostico nei confronti del Dio cristiano come di quelli nigeriani, e l'imprevedibile figlio, quest'ultimo emerge come l'innocenza originale; non il peccato originale, come invece i genitori a tratti sembrano credere. L'innocenza originale accompagnava ancora l'uomo fatto quando, questa volta ben sapendo di sfidare quella forza che è il patriottismo e l'industria mondiale delle armi, si mise contro la sua fazione come contro quella dei biafrani e vide il nemico nella guerra che le due parti combattevano. Generalmente, i genitori sono i capri espiatori di tutte le nostre mancanze di adulti. Ci fu dunque qualcosa nell'infanzia di Wole Soyinka, qualche certezza che gli diede coraggio fisico e intellet¬ tuale e lo predispose alle strane prove cui la sua epoca l'avrebbe sottoposto? Eppure il suo ambiente non appare come il paradiso primitivo che gli scrittori minori descrivono (la nostalgia del nero per la condizione precolonialc, quella del bianco per la condizione preindustriale). Il suo metro e la realtà. Innanzitutto, i suoi genitori appartenevano al ceto medio: la madre negoziante e esattrice di debiti, il padre più attento ai libri che alle tradizionali proprietà della sua casta. E nelle moderne società africane il ceto medio è il punto di rottura tra il modo di vita africano e quello europeo, il punto di lacerazione, come il romanziere nigeriano Chinua Achebe ha mostrato. La somministrazione delle frustate, gestita da ogni adulto di Alce dotato di un minimo d'autorità, è decisamente vittoriana, anche se nulla indica che gli inglesi abbiano portato nel Paese questo tipo di punizione. Nella Nigeria degli Anni Quaranta anche le cameriere adolescenti (negre) venivano battute dalle padrone (negre) se bagnavano le stuoie sulle quali dormivano; e indubbiamente l'alta percentuale di persone che bagnavano il letto della quale ci parla il giovane Wole, che pativa l'umidità penetrante quando doveva dividere un giaciglio comune, in Occidente sarebbe stata attribuita alle percosse invece che curata con le percosse. Trentasci colpi di verga per uno studente che «metteva incinta» una compagna non erano considerati né un castigo crudele né un'ingiustizia. Forse il trauma di tutte queste frustate si annullava nei testimoni dai quali erano indissolubili? Non era un rito a porte chiuse, tra la vitti¬ ma e il suo castigatore soli con la colpa; avveniva nella confusione di case affollate, addirittura in una sorta di danza per le strade. Lo scopo doveva essere la pubblica umiliazione, ma dal momento che ogni spettatore era già stato vittima, o sarebbe stato vittima la prossima volta, ci doveva essere una balsamica solidarietà profusa su quelle piaghe proprio mentre venivano inferte. Ad ogni modo, il bambino non dubita mai di essere amato e questo significa che, pur scontrandosi con la frequente incomprensione dei genitori e contro una sorta di sadico, spensierato gusto battagliero da parte degli adulti (che sempre lo mettevano contro il fratello più giovane), non sembra mai considerarsi infelice, o meglio pare non aver mai preteso di essere più felice. Come una pezza di etu, la sfarzosa stoffa tessuta sul posto, i rapporti sociali erano un abito dal peso cerimoniale che allo stesso tempo avvolgeva piacevolmente. Il bambino non ne era mai intimidito, poteva raggomitolarsi esattamente come le cimici (con divertita sorpresa del lettore bianco del ceto medio, come me), aveva i suoi angolini familiari nella casa borghese dei Soyinka, con la sua servitù e 'là sua biblioteca. Quando il paradiso mancato che era il villaggio natio di Aké si prolunga, insieme con le parentele, alla terra nella quale era nato il padre, l'incanto si completa. Con una dolorosa cerimonia di scarnificazionc il nonno cansacra il ragazzo al dio Ogun, così come la cristiana l'aveva consacrato al Cristo. Ancora una volta non ne deriva un trauma, ma una maggiore sicurezza per il bambino. E lo scrittore risale al personaggio con felicità di rievocazione e di espressioni «sull'onda dei sapori e degli odori», lungo la quale la preparazione del cibo fornisce una genealogia familiare, un primo senso dell'individualità, degli altri e dell'appartenenza straordinariamente istintivi. Le ventate di aromi analoghi dai piatti preparati da mani diverse, da diverse generazioni, sono la storiografia personale del bambino e immediato criterio di consanguineità. Come i visitatori e i postulanti nel cortile di SP, malgrado il particolare «odore di fumo e indaco» che emanano, fanno pensare alla corte del padre di Isaac Bashevis Singer nel ghetto polacco, e i modelli di vita colti attraverso gli assaggi evocano l'interpretazione culinaria di rovine e reliquie dell'Europa da parte di Giintcr Grass. Per lo straniero, il piacere di entrare nell'infanzia di Soyinka non sta solo nella differenza, ma anche nelle analogie. Nadine Gordimer (Copyright N.Y. R*view of Boote )

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