Anche il potere se n'è servito

Anche il potere se n'è servito Anche il potere se n'è servito di Aldo A. Mola «Ha un tale fascino sull'immaginazione popolare che il suo dominio è praticamente assoluto. Anche la polizia, perciò, volentieri ricorre al suo aiuto quando si sente impotente». E la camorra è scritta nelle pagine di «Italy to-day», «L'Italia d'oggi», di Bolton King e Thomas Okey, che «don- Benedetto Croce fece tradurre per Laterza nel 1902 per Inaugurare la «Biblioteca di storia moderna*. Da 40 anni la camorra aveva in mano Napoli. Ma non solo i «bassi» (tacchini, battellieri, prostitute) ma l'intero sistema del potere. Li come nelle altre popolose città d'Europa da secoli la malavita era organizzata con nomi arcani, codici d'onore, riti di iniziazione, gerghi immaginifici. Sin dal Quattrocento in tutti i Paesi di influenza spagnola aveva imperversato. Ma tu a Napoli che prese piede la società segreta meglio organizzata: la camorra. A fine Settecento il governo di Napoli sistematicamente ne taceva uso per i suoi raggiri. Celebre tu il caso del «caporuota» Pallante che usò un agente provocatore per fare irruzione in una loggia massonica, con l'obiettivo di metterne a nudo la pericolosità. Sennonché si trovò che I congiurati erano solo intenti a mangiare, bere e divertirsi. L'infiltrato fu scoperto per agente della polizia e il «caporuota» venne costretto alle dimissioni. Ma la pratica rimase., Come anche la simbiosi tra agenti e malandrini: picciotti, sgarri, sottopanza, capibaranza e vertici misteriosi della tenebrosa «onorata società», che imperversò per un altro mezzo secolo all'insegna «ì governi passano, la camorra resta». Essa affondava le radici .nella plebe per reclutare i manovali del crimine e s'arrampicava lino alle alte cariche dello Stato per ottenerne coperture, in cambio di favori: la eliminazione di avversari politici, l'assassinio di testimoni scomodi e simili. La camorra profittò dei continui rivolgimenti senza rivoluzioni che da line Settecento all'Unità scandirono la storia di Napoli: dal Borbone alla repubblica partenopea, da questa alle forche dei Sanledisti a Muraf e poi di nuovo ai Borbone, con intermezzi di attentati, sommosse e insurrezioni. Quando il Borbone tu sostituito da un viceré sabaudo — Lamarmora prima, i pretetti dopo, Il giovane Vittorio Emanuele III infine, nato a Capodimonte e a sua volta malato di guapperia — la camorra ebbe definitivamente la meglio. Prima essa doveva trattare direttamanto con lo Stato, ora lo Stato era lontano: a Torino, a Firenze e a Napoli sembrava che esso non ci tosse allatto più. Il nuovo regno, del resto, Un dalla sua comparsa aveva splanato la strada all'«oncrata società. Per assicurare l'ordine pubblico all'arrivo di Garibaldi, il ministro degli Interni dell'ultimo Borbone, girata gabbana. Liborio Romano, s'era rivolto proprio alla camorra, che poi provvide al successo del plebiscito a favore di Italia e Vittorio Emanuele». Il seguito tu logico. Giovanni Nicotera, già scampato al massacro dei «300 giovani e torti» che avevano seguito Pisacane nel 1857 e salito a ministro degli Interni del primo gover¬ no della Sinistra (1876), si servì della camorra come non aveva saputo lare la deprecata Destra reazionaria. A line Ottocento anche il più pulito tra i deputati di Napoli aveva quindi la mano nella camorra: per organizzare le proteste popolari ma anche per tar cessare scioperi di portuali e netturbini a suon di coltellato, come accadde più volte in quel periodo. «Il fare le elezioni — era convinzione generale ■— è il solo affare che torna conto a Napoli». Gli eletti, infatti, procuravano grossi favori ai camorristi e Impedivano che il governo facesse qualsiasi serio sforzo per disturbarli. A contare non era dunque la camorra del morso all'orecchio, della lama conficcata nottetempo nelle spalle dello «sgarrato», ma la «alta camorra», in quanti gialli: quella — già allora si scriveva — «dei deputati, dei consiglieri comunali, dei professionisti e dei loro manutengoli inseriti nell'amministrazione pubblica». A fine Ottocento il senatore Giuseppe Saredo raccolse migliaia di episodi, testimonianze, prove nella celebre Inchiesta su Napoli: che si risolse però in una montagna di carta stampata subito dimenticata dalla classe politica. Nel 1900 una azione clamorosa dei socialisti costrinse alle dimissioni H deputato Casale, che era una figura di secondo plano e fu lasciata andare a picco dai «pezzi da 90» che ci fecero p'ure bella ligura e poterono continuare indisturbati una partita che sarebbe durata e dura tuttora col sistema delle scatole cinesi Al centro — piccolo piccolo — // «popolo di Napoli»: all'esterno, immane e incombente, lo spettro del-, la onorata società. Ma era — od è — poi proprio cosi piccolo quel popolo? E quel lantasma era — ed é — poi proprio cosi onnipotente? Sarà vero che — come scriveva Pasqua/e Vlllarl — la camorra è «la forma naturai» e necessaria che assume lo stato sociale di Napoli»? Proprio nel lamoso processo Cutolo portino I camorristi dissero: «La sola cura radicale è di rendere Napoli città industriale»; una speranza, però, infinite volte fiorita e presto sfumata alle falde del Vesuvio.