Nel cinema tra folclore e denuncia

Nel cinema tra folclore e denuncia Nel cinema tra folclore e denuncia di Piero Perona E' stato'detto che il neorealismo, considerato il massimo contributo che l'Italia come scuola abbia dato al cinema, non era in realtà che un atteggiamento morale piuttosto che una corrente d'arte e di pensiero. Proprio per questo sembra curioso come la camorra non tentasse i registi che nel dopoguerra maggiormente avvertivano la tensione dei tempi e lo stacco dal passato. Solo Luigi Zampa, nel periodo felice dei Bossellini-De 8ica-Visconti-Germi, ebbe l'idea di soffermarsi su un fenomeno che retrocedeva l'Italia in oscuri gironi. Però Zampa prudentemente retrocesse anche la sua ottica di un'intera generazione — da! '52 all'll — rievocando in Processo alla città il processo Cuocolo che costituì il più aperto atto d'accusa ai camorristi nell'Italia della «belle epoque». Nazzari, Stoppa, Silvana Pampanini, Mariella Lotti ne fecero subito pretesto per un'esibizione divistica: un'occasione perduta perché la sceneggiatura di Ettore Giannini e Francesco Rosi avrebbe consentito a Zampa un'invidiabile secchezza giornalistica nell'analisi delle sedute che ricostruivano il tribunale segreto dove per un regolamento di conti si segnò la sorte dei coniugi Ruotolo. Rosi si ricordò dell'esperienza per il suo esordio dietro la cinepresa, con La sfida che ottenne il premio speciale a Venezia nel '58. Fu magari facile definirlo un Fronte del porto alla napoletana, con un protagonista spagnolo (José Suarez) e una bestiola scatenata (Rosanna Schiaffino). Tuttavia la lotta che la camorra ingaggia contro 1 singoli popolani per il controllo del mercati generali è croni- - sticamente esatta e liricamente fatale. Bastano questi pochi titoli per riconoscere che almeno il cinema ha visto giusto qualificando la camorra come forza reazionaria senza nemmeno certe romantiche impennate tipiche della , mafia in Sicilia (In nome della legge di Pietro Germi). In particolare Rosi, che firmerà con Le mani sulla città premiato tra i balordi fischi a Venezia nel '63 il suo capolavoro, privilegia gli sfondi urbani fissati in un lucido bianco-nero tipico del film di denuncia. Chissà, forse avrà avuto presente la primigenia tra le pellicole dedicate alla camorra. Nella Napoli del 1905, quando la città contendeva a Torino e Roma il monopolio della nuova arte, Roberto Troncone aveva diretto La camorra, 300 metri tutti in esterni alla luce del sole per l'interpretazione degli attori del classico Teatro San Ferdinando. In definitiva però la camorra non stimola i grandi autori. Gli Anni Sessanta ci danno titoli che affrontano per caso o per ridere i mammasantissima napoletani: ne II re di Poggioreale protagonista è l'americano Ernest Borgnine come pure americano sarà il protagonista Rod Steiger di Le mani sulla città; in Operazione San Gennaro nessuno più di Totò e Manfredi sembra disinteressato circa l'opportunità di fare una satira contro la malavita; infine Pasquale Squitieri, e siamo già al '72, descrive con mero senso dello spettacolo l'ascesa di un cumpariello incarnato con olimpica noncuranza da Fabio Testi (Camorra). In fondo chi aveva qualcosa di personale da dire sull'argomento l'ha fatto alla svelta e a suo modo. Pupetta Maresca girò quindici anni fa Delitto a Posillipo con la regia di Renato Parravicini senza troppo preoccuparsi delle indagini sociologiche che puntualmente concludono chiamando il cinema specchio della vita. Fece l'accusata innocente e sposò il primo amore. Nel film la camorra non la spuntava.

Luoghi citati: Italia, Posillipo, Roma, Sicilia, Torino, Venezia