Tra burro e gasdotto

Tra burro e gasdotto Due lezioni per Ronald Reagan Tra burro e gasdotto Dalla vicenda del conflitto euro-americano sul gasdotto sovietico — per come esso si è sviluppato, e per come sembra ora avviarsi faticosamente a soluzione — si possono trarre due lezioni importanti: una d'economia e una di politica. La lezione d'economia va rivolta principalmente al presidente Reagan ed è probabile che il suo segretario di Stato Slmili, che è eccellente economista e businessman, non abbia mancato di esporgliela con quel garbo che tanto lo distin-i gue dal suo imperioso predecessore, il generale Haig. Il Presidente, nell'annunciare che gli Stati Uniti sono ora disposti a triplicare le vendite di cereali all'Urss fino ad un totale di 23 milioni di tonnellate nel 1982-83, è tornato a sostenere che questa vendita, dal momento che si effettua in contanti, indebolisce l'economia sovietica impoverendola di valuta estera; mentre — dicono gli americani — l'acquisto di gas sovietico da parte dell'Europa arricchirebbe i sovietici fornendo loro da 8 a 10 miliardi di dollari di valuta pregiata. Questo è un ragionamento che può andare bene per i cerealicoitori americani e far guadagnare voti ai repubblica' ni nelle prossime, difficili eie zioni. Ma non occorre essere professori d'economia per rendersi conto che Reagan sarà un buon politico, ma non è un buon economista (o finge di non esserlo?). Un paio di generazioni fa c'era già chi parlava dell'alternativa «burro o cannoni», ed è abbastanza evidente al senso comune che vendendo ai sovietici tanti cereali (per farne, tra l'altro, carne, latte e burro), l'America di Reagan consente alla superpotenza ri vale di risparmiare preziose ri sorse investendole, anziché in agricoltura, in altri settori del l'economia: compreso quello dell'industria bellica. La «Wharlon Econometrie*» di Filadelfia ha fatto in mate ria un po' di calcoli per accertare quale «vantaggio compara tivo» l'Urss tragga dal poter acquistare grano a buon mercato dagli americani, pagandolo con oro o col frutto della vendita di petrolio e gas. Ha riferi to uno degli economisti della «Wharton», Jan Vanous: «Comperando grano dagli Stati Uniti l'Urss risparmia vaste somme, molto più di quanto spenda per lo stesso grano. Approssimativamente, l'Urss rìsparmierà quest'anno 32 miliardi di dollari vendendo petrolio per comperare grano, invece di produrre il grano da sé. In altre parole, le vendite di grano americano rendono più facile, e non più diffìcile ai sovietici di fare fronte alle altre loro esigenze, compreso il riarmo». Questa conclusione, per nulla sorprendente, emerge dall'analisi dei costi comparativi della produzione di grano, e di oro, petrolio o gas, nell'Unione Sovietica. E' da sei a otto volte più conveniente per l'Urss investire nella produzione di petrolio anziché di cereali. In altri termini, con gli acquisti di grano reaganiano l'Urss evita di fare immensi e costosi investimenti in impianti di fertilizzanti, fabbriche di macchinario agricolo e silos per cereali. Evita anche di fare quelle tirasti che riforme istituzionali in agricoltura, che sarebbero cari che di pericolose ripercussioni politiche; e contiene, a buon prezzo, il malumore dei popoli-sudditi. Che/lezione d'economia si deve trarre da questa analisi? Che l'America non dovrebbe vendere grano? Niente affatto. Sia le vendite di grano americano che gli acquisti europei di gas naturale avvantaggiano — è vero — l'economia sovietica. Ma al tempo stesso, in vii tù di quella legge elementare dell'economia che si chiama dei «vantaggi comparativi», questi scambi (come faceva notare il Financial Times) «sono di eguale benefìcio per l'Occidente: il tentativo dì sfidare le leggi dell'economia per ragioni di politica estera è costoso e a lungo andare inutile, perché il commercio trova altri sbocchi e canali'). La realtà e dunque che il calcolo dei vantaggi per l'Urss degli scambi con l'Occidente va integrato con il calcolo dei vantaggi che a sua volta ne trae l'Occidente: Reagan li vede molto bene quando sono in giuoco gli interessi dei farmers americani, meno bene quando sono in giuoco gli interessi dell'industria europea. Ciò detto, ha ragione l'America a volere regole più severe in materia di crediti agevolati e di trasferimenti di tecnologia avanzata all'Urss: qui bisogna essere più rigidi, così come bisogna evitare di dipendere oltre misura dalle forniture sovietiche di energia (ma il gasdotto non crea per ora questo rischio). Per ottenere dagli europei questo giro di vite Reagan non aveva però affatto bisogno di fare esplodere una grave crisi nei rapporti euro-americani. Questa è stata una brutta pagina per la politica estera americana; speriamo che il Presidente la volti presto. E questa è la lezione politica .da trarre: che tra alleati non si deve e non si può litigare; si deve discutere, e non creare fatti compiuti; non si può mai rompere e bisogna trovare sempre l'accordo: sul gasdotto, come già lo si è trovato sull'acciaio (in base alla nuova regola del «protezionismo disciplinato»). Soprattutto, bisogna decidersi a riformare i meccanismi di consultazione tra l'America e l'Europa, renderli cioè più rapidi, efficienti e produttivi. Questi sono anni difficili, in politica e in economia, l'interdipendenza tra le due metà dell'Alleanza è cresciuta e né l'America, né l'Europa possono permettersi di non andare d'accordo. Presumibilmente, questo è quanto il nostro presidente del Consiglio dirà tra qualche giorno a Reagan a nome dell'Europa, con quel garbo per il quale anch'egli, come George Shultz, é famoso. Sarà ascoltato con attenzione perché l'Italia (anche se molti italiani, nel loro consueto scetticismo, non ci credono e preferiscono scherzarci sopra) fa oggi una politica estera attiva ed efficace, che è rispettata dai nostri alleati. Arri eo Levi

Persone citate: Arri, George Shultz, Haig, Reagan, Ronald Reagan, Wharton