La gaffe del diavolo

La gaffe del diavolo La gaffe del diavolo di BERNARDO VALLI Al contrario di molti giornalisti parigini amici, provo in questi giorni una certa simpatia per Régis Debray, consigliere per gli affari culturali di Mitterrand e suo ambasciatore «segreto» nel Terzo Mondo. Debray ha appena fatto una grossa gaffe e adesso rutta la stampa gli dà addosso. Invitato in Canada dall'Unione degli scrittori del Quebec francofono, ha accusto Bernard Pivot, direttore di una popolarissima rubrica letteraria sulla seconda rete della tv francese (Antenne 2), che conta 3 o 4 milioni di spettatori, di esercitare una. «dittatura» sul mercato editoriale e, peggio ancora, usando il «noi» ha annunciato l'intenzione di. togliere al suddetto Pivot «il monopolio di scegliere libri e autori». Quel superbo «noi» sulle labbra di Debray ha assunto inevitabilmente un significato particolare, dal momento che egli coabita con Mitterrand all'Eliseo. Le sue parole pronunciate nel Quebec sono state subito interpretate come una minaccia di censura. Tuoni e fulmini si sono scaricati sulla sua testa. Egli è stato definito un bugiardo sfrontato, oltre che un «commissario politico», perché per rimediare alla gaffe ha poi negato pubblicamente di avere detto quel che aveva detto pubblicamente e che per sua sfortuna era stato registrato. Di ritorno dall'Africa occidentale, Mitterrand è stato precipitosamente interrogato sul «caso Dcbray-Pivot». La risposta è stata esemplare: a lui la trasmissione di Pivot («Apostrophcs») piace, in quanto alle dichiarazioni di Debray ha spiegato che egli non deve obbligatoriamente condividere rutti «i gusti e i colori» del suo consigliere Tra l'autore di un celebre manuale sulla guerriglia, che in gioventù rincorrendo «Che» Guevara inciampò nell'esercito boliviano e passò tre duri anni in carcere, c il prudente, tenace rifondatore del partito socialista francese esiste una profonda amicizia: essa risale a prima della vittoria elettorale di Mitterrand, quando Debray si converti al socialismo democratico. Il legame era alle origini disinteressato. Ma penso che una volta arrivato all'Eliseo, Mitterrand abbia voluto con sé Debray non soltanto per avere un amico accanto. L'allievo di Guevara, guardato con sospetto dagli americani e ritenuto ancora pericoloso dalla Francia benpensante, era un po' come un diavolo senza artigli, scappato dall'inferno, precipitato nell'acquasantiera mitterrandiana. Era ed è un pizzico di terzomondismo nella Francia atlantica. A Mitterrand faceva e fa comodo. Ma ora devo giustificare la mia simpatia per Debray. Primo: con le sue battute imprudenti e sincere, Debray ha immunizzato Pivot da ogni censura. Chi oserà più toccare «Apostrophes»? Con la sua gaffe Debray ha contribuito' alla libertà di stampa in Francia. Magari involontariamente. Secondo: di solito chi si sveste delle idee rivoluzionarie giovanili, per riabilitarsi agli occhi dei nuovi compagni, diventa più realista del re. Debray no. Lasciando il Quebec è andato a Cuba, per incontrare i suoi vecchi compagni rimasti amici. E adesso aspetto con ansia che ci' dica, con la stessa franchezza con cui ha parlato di Pivot, quanti prigionieri politici ci sono all'Avana. Lo può anche fare a titolo personale.

Luoghi citati: Africa, Avana, Canada, Cuba, Francia