Troppi tesori, lasciamoli perire

Troppi tesori, lasciamoli perire SICILIA, DUE PRIMATI: LE RICCHEZZE ARTISTICHE E IL LORO ABBANDONO Troppi tesori, lasciamoli perire Nessuno sa con precisione quanti e quali siano i beni culturali da salvare - Ma in ogni paese, anche minuscolo, c'è un monumento che si sfalda, non si realizzano i parchi archeologici e naturali previsti, quelli esistenti sono insidiati o manomessi dalla speculazione - La legge regionale di tutela c'è: prevede tutto ma realizza poco (e quel poco a rilento) o niente ' DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PALERMO—La Sicilia ha due primati, quello della vastità del patrimonio storico-artistico (le quarantadue «città demaniali», ricclie di castelli, chiese, conventi; i, 130 borghi fortificati: le colo-' nie greche) e quello dell'abbandono, in contrasto con leggi regionali di tutela per molti aspetti avanzate. Gli interventi positivi sono sporadici. Faccio alcuni esempi: sono in corso o già ultimati i lavori nel Duomo di Monreale (intanto i capitelli del chiostro si sfaldano a causa dell'inquinamento atmosferico), alla Zisa di Palermo, nel monastero benedettino di Catania e nel settecentesco Monte di pietà di Messina. Ma a Palermo i monumenti del centro storico vanno a pezzi, il teatro Massimo è chiuso dal 1979 mentre si continua a discutere sui rifacimenti interni. Le ville di Bagheria sono quasi tutte in tristi condizioni. Condannati alla rovina castelli del tempo di Federico II, come quello di Siracusa. Non è stato realizzato il parco archeologico di Agrigento. Nessuno sa con precisione, quanti siano i beni culturali da salvare: chiese, oratori, castelli, rocche, testimonianze dell'età musulmana e normanna, aree archeologiche, sculture e pitture di ogni tempo. Se ne parla episodicamente per lamentare scandali e scempi ormai avvenuti. La frettolosa distruzione di nuclei storici nelle zone terremotate del Belice (le chiese di Partanna rase al suolo dalle ruspe, non dalle scosse). L'attacco al centro storico di Sciacca, prezioso per singoli monumenti come il palazzo dello Sterepinto (edificio siculo-catalano del secolo XV), ricco di testimonianze estese^ dal periodo normanno a quello manieristico. Casermoni La rovina di Sciacca ftf compiuta tra il '60 e il '70, col sigillo di enormi casermoni incombenti su nobili palazzi, costruiti sulle mura cinquecentesche o sulle macerie di conventi. Un capitolo sciagurato, ma quanti altri centri storici siciliani, minori soltanto per dimensioni, hanno subito o stanno subendo analoga sorte? In mancanza di un catalogo la tutela è problematica senon impossibile. La Regione Sicilia ha competenza esclusiva in questo campo, grazie alla sua speciale autoiiomia. Poteva essere all'avanguardia già nel 1959, quando fu proposta una legge per il censimento e la catalogazione del beni culturali: non arrivò mai nell'aula dell'assemblea. Dovettero passare molti anni per l'approvazione della legge-quadro n. 80 che però ricalca il modello di tante leggi nazionali: prevede tutto e non realizza nulla, o realizza pochissimo, «lì Consiglio regionale dei beni culturali. l'Istituto per il catalogo: bellissime innovazioni rimaste sulla carta», mi dice amaramente lo storico dell'arte Giuseppe Bellaflore, presidente regionale di Italia Nostra. «La legge non è operante. Manca un programma e i quattrini disponibili vengono spesi per ragioni ellentelarl. o per singole iniziative, a volte lodevollssime ma slegate». Caratteristica della Sicilia è l'accentuazione di un difetto nazionale, la lentezza nei lavori di interesse pubblico. La Zisa fu acquistata dalla Regione nel 1951 e nel 1954 cominciarono restauri portati avanti a rilento, abbandonati, ripresi in modo sistematico soltanto nel 1972 (l'anno precedente c'era stato il crollo della facciata occidentale), tuttora incompiuti. Eppure la Zisa (Al-Aziz, in arabo 'Splendido») à uno dei massimi gioielli di' Palermo, forse la rappresentazione più Interessante della civiltà normanna innestata su quella araba nel modo di costruire e di vivere secondo i dettami dell'ambiente naturale Il palazzo, oggi inserito nella confusa periferia dilagante sulla Conca d'oro, fu costruito intorno al 1166 «con arte meravigliosa, circondato di bei giardini e ameni verzieri» per il re Guglielmo I. morto troppo presto per goderne le delizie. Concepito secondo la tradizione delle dimore principesche dei Paesi islamici, con interni freschi (non mancava l'impianto di ventilazione), abbondanza di giardini, fontane, peschiere, fu opera di costruttori "musulmani, come provano architetture, decorazioni, mosaici, fregi di capitelli. Il prof. Bellafiore. al quale si deve una serie di opere che studiano l'arte siciliana dalla preistoria a oggi e in particolare la Zisa (edizioni Flaccovlo, Palermo), critica l restauri in corso: «Non condivi¬ do le invenzioni e le aggiunte esterne, la sistemazione delle aperture che un tempo erano bifore, la tinteggiatura. Il restauro dovrebbe lasciare in evidenza le zone distrutte o danneggiate, staccando per bene l'originale dal contemporaneo». Guida preziosa nell'itinerario attraverso i beni culturali di Palermo, il prof. Bellafiore è anche presidente dell'Ente ville siciliane, fondato nel 1971 e destinato allo scioglimento nell'agosto del prossimo anno. «L'ente sarebbe veramente superfluo se funzionassero gli istituti regionali che hanno gli stessi compiti. Mi auguro che nel 1983 siano attivi e riescano a continuare l'opera intrapresa dall'ente con mezzi modesti. Avendo una dotazione annua di 125 milioni abbiamo acquistato le terme arabe di Cefalà Diana e alcune ville settecentesche, restaurate o da restaurare.. Storica frana L'amministrazione regionale oggi in carica ha sulle spalle un compito molto gravoso, dopo decenni di abbandono e dopo oltre un secolo di cattiva gestione del patrimonio storico-artistico (il tracollo avvenne alla metà del secolo scorso). Ogni tratto di costa, ogni centro o nucleo storico avrebbero bisogno di interventi di tutela e ancor più di restauro, essendo quasi tutto manomesso. Ma gli interventi trovano ostacoli negli interessi locali, dominati dall'edilizia. Fa testo il caso del parco archeologico di Agrigento, oggetto di polemiche a quattordici anni di distanza dalla storica frana che rivelò a tutta Italia lo scempio nella Val¬ p,le dei templi. Il famoso decreto Gui-Mancini. che perimetrava l'area archeologica e vietava ogni nuova costruzione, non ha avuto l'atteso seguito del parco. Ora si scontrano i fautori del progetto della sovrintendenza, appoggiata da Italia Nostra, e quelli di un parco arcìieologico istituito dalla Regione e affidato al Comune. In astratto questa sarebbe la soluzione più democratica, ma nella realtà quali prove hanno dato in Sicilia le amministrazioni locali chiamate alla tutela dei valori storici e naturali? Dovrebbe venire proprio dai Comuni, purtroppo assenti e a volte ostili, la spinta indispensabile per rendere operante un 'altra legge regionale accolta con largoplauso. quella del maggio 1981, n. 98', per i parchi e le riserve naturali. Teoricamente è una buona legge: prevede il Consiglio regionale dei parchi con compiti di promozione e di controllo, e un piano regionale comprendente i parchi dell'Etna, delle Madonie e dei Nebrodi, cui si dovrebbero aggiungere diciotto riserve naturali. Seguendo però la tradizione nazionale, la legge siciliana non prevede finanziamenti così robusti da rendere credibili l benefici economici dei parchi, che restano parchi di carta, dipinti dagli oppositori come una somma di vincoli e divieti. Le resistenze sono perciò alimentate facilmente da chi propone l'alternativa dello «sviluppo» fondato sulle lottizzazioni. La legge regionale ha istituito la riserva naturale .dello Zingaro», a Ovest del golfo di Castellamare. comprendente la costa di Capo S. Vito, e aree vergini di grande interesse botanico sul Monte Cofano, non lontano da Eriee. Ma sulle stesse aree incombono minacce di lottizzazioni, bloccate solo per un unno dall'assessore regionale all'ambiente. Ancora il ricorso al vincolo temporaneo ha salvato due laghetti di Gan- zirri, sullo Stretto di Messina, minacciati da un porto turistico con parziale prosciugamento per creare terreni edificabili. Anche la riserva naturale della macchia di foresta attraversata dal fiume Irminio. a Ragusa, è minacciata da lottizzazioni e da villaggi per vacanze. Si tratta di un insieme eccezionale di dune litoranee, macchie a ginepro e lentisco, euforbia, palma nana, cui st aggiunge la laguna che ospita la cicogna e l'airone, il falco e il martin pescatore. Un comitato, composto da Italia Nostra. Wwf, altre associazioni di tutela, si sta battendo con tenacia perché la legge regionale venga applicata. Nulla è stato fatto o previsto per salvare le isole siciliane con un sistema dì parchi marini. Salina, Lampedusa. Linosa, godono di una tutela parziale e teorica. Non si può pretendere dalla Regione una massa di interventi taleda rimediare in pochi anni allo sfacelo del passato: vanno apprezzati l primi passi fin qui compiuti. Ma è evidente che in Sicilia la politica generale di difesa dell'ambiente e dei beni culturali è tuttora soggetta a incrostazioni, non necessariamente mafiose (anche se la mafia ha la sua parte quando si tratta di edilizia), che possono essere vinte fornendo i primi esempi positivi e i primi benefici tangibili tsi tratti del recupero di un quartiere storico o della creazione di un parco), non soltanto vincoli e promesse. Mario Fazio _„.„ WWI ' T .—,>1 • i '. Eriee. Unn piazza con i famosi lastricati: anche i più piccoli paesi, in Sicilia, conservano tracce di un'antica bellezza

Persone citate: Federico Ii, Guglielmo I., Gui, Mancini, Mario Fazio