MERCANTI ARABI E MISSIONARI di Francesco Rosso

MERCANTI ARABI E MISSIONARI MERCANTI ARABI E MISSIONARI Sulla via della seta prima di Marco Polo Tutta la gloria a Marco Polo, è il suo anno di grazia. Destino singolare quello del mercante-viaggiatore veneziano; da secoli si parla e scrive di lui come del più ardito ed attento esploratore di un mondo ignoto, forse popolato da ruggenti leoni, sicuramente abitato da cannibali, dove avventurarsi poteva significare morte certa. Questa convinzione durò a lungo, anche fra i «sapienti», che ben oltre il Medio Evo continuavano a tracciare una vaga linea nera verso la Russia, oltre la quale c'era il, nulla. Eppure, anche a quei tempi si conoscevano viaggiatori e conquistatori che erano andati ben oltre quella linea, a incominciare da Erodoto, storico itinerante, eppoi Alessandro Magno che dilagò nell'attuale Afghanistan, attraversò il Pakistan, entrò in India sfiorando il Tibet, ora cinese. E dopo questi illustri personaggi, avventurieri, eserciti, missionari di infinite religioni, ma soprattutto i mercanti, avevano battuto la «Strada della Seta», che da Costantinopoli, via terra, andava diritta nel cuore della Cina, o seguito la «Strada delle Spezie»: dal Golfo Persico andavano in Cina circumnavigando l'Asia. Marco Polo segui la «Strada della Seta» e non è casuale che proprio nei giorni scorsi, a Milane, ed anche in tivù, si sia esibita la compagnia del Teatro di Stato di Pechino, con balletti e giocolieri, all'insegna della «Strada della Seta», con una favola ambientata nel secolo XIII, cioè l'epoca in cui il veneziano arrivò nel Catai, o Cina. E sempre per rendere omaggio al Veneziano, apparso in effigie anche su una banconota da mille lire, a Trento, con destinazione Italia, è stato messo in scena uno spettacolo intitolato «Il Milione», ispirato al libro famoso, ed è in arrivo il miliardario kolossal tivù italo-americano «Marco Polo». Eppure, qualche riguardo si dovrebbe avere anche per viaggiatori che, secoli prima, precedettero Marco Polo in viaggi assai più avventurosi in Mongolia, cioè la parte settentrionale della Cina. Le ragioni che hanno confinato nel limbo del silenzio viaggiatori di rango e mercanti, sono esclusivamente di carattere lettera- di Marco Polo ebbe modo rimeditare le tappe del suo viaggio nell'ozio forzato di un carcere genovese dove ebbe la fortuna di incontrare un buon letterato e volgarizzatore, Rustichello da Pisa. Ebbe inoltre il merito di trarre dalle nebbie dell'ignoto un continente già altamente civilizzato e fortemente centralizzato, il cui esercito possente era la filiazione di quello di Gengis Khan, il Tartaro che con le sue orde travolse ogni difesa ed arrivò nel cuore d'Europa, fino al Danubio ed alle coste adriatiche. Marco Polo conobbe, perciò, i Tartari discendenti da Gengis Khan già fortemente permeati di raffinata civiltà cinese; i suoi predecessori nell'avventura, Giovanni del Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruk, affrontarono inve ce i Mongoli, o Tartari ancora primitivi, figli e nipoti di Gengis Khan. Se «Il Milione» racconta di palazzi d'oro, di città splendenti, di corti sfarzose, di Kublai Khan raffinato imperatore, Giovanni e Guglielmo, francescani, ambasciatore di Innocenzo IV il primo, di San Luigi IX di Francia il secondo, avevano mansioni di spionaggio oltre al compito, se possibile, di convertire al cri stianesimo i Tartari. Marco ci ha lasciato un affresco mirabile per esattezza, eleganza di stile, inventiva fertile, di un mondo raffinatissimo, in una lingua come il francese accessibile a molti; Giovanni e Gu gtielmo, partiti mezzo secolo prima, si sono trovati fra un ' popolo rozzo, quasi animale sco nei costumi, antropofago mangiavano ritualmente i cor pi dei loro parenti morti scrissero in latino. < Ma ancor prima dei due ambasciatori francescani, un mercante arabo, Solimano, viaggiò attraverso l'intera Ci na percorrendo la «Strada del le Spezie», andando cioè per mare, toccando vari porti e mescolandosi alla gente. Pochi anni dopo, Abu Zeid, curioso, letterato musulmano, commentò il viaggio di Solimano ed aggiunse i racconti ascoltati da mercanti che avevano viaggiato in Cina. Il testo dei due autori, «Il libro dei due Maomettani», è presentato in unica traduzione, dall'arabo, dallo storico francese A. t'Serstcven, nel volume 1 precurosi di Marco Polo (editore Garzanti) uniti al Viaggio di Giovanni da Pian del Carpine e all'Itinerario di fra Guglielmo da Rubruk, tradotta dal latino dall'autore stesso. C'è da notare che il libro di Solimano precede quelli dei due francescani di circa quattro secoli ed è anteriore di quasi cinque secoli al «Milione». Eppure, nel breve libro diSolimano conosciamo più intimamente i cinesi di quanto consenta Marco Polo nel «Milione». Il libriccino è un'utile guida che Solimano ha tracciato per i suoi colleghi mercanti, indicando quali porti dovevano toccare per trovare la merce migliore, come comportarsi con le donne, procurarsi i salvacondotti, trattare con la gente del luogo, così diversa da un porto all'altro. Apprendiamo come nel secolo IX i cinesi avessero oiganizzato modernamente la loro società; tutti i bambini, ricchi e poveri, imparavano a leggere e scrivere; tutti gli anziani ricevevano una pensione. «Abbiamo avuto da lui una pensione quand'era giovane; è giusto eòe gliela rendiamo ora che è vecchio», diceva una delle regole societarie. Da giovani, i cinesi pagavano una «capitazione», che sarebbero i nostri contributi, e da vecchi li riprendevano integralmente. Non proprio come da noi. E' chiaro che gli intenti dei vari autori obbedivano a preciinteressi. -Più pratico, Solimano va diritto al cuore dei problemi socio-economici; più teorici, i due frati francescani sono maggiormente attratti dagli aspetti religiosi dei popoli che visitano. Per Marco Polo si direbbe che non esista altro problema che quello di raccontare e stupire i lettori. Tale inclinazione gli valse la baia dei benpensanti veneti che lo chiamarono «Sor Milion». Studiosi più recenti, hanno addirittura messo in dubbio che Marco Polo sia arrivato in Cina, a Pechino, perché non parla della Grande Muraglia. Anche Solimano ed i due frati francescani non fanno menzione dell'opera ciclopica, eppure nessuno mette in dubbio l'autenticità del loro racconto. 11 curatore e autore di questo istruttivo e delizioso volume pone nelle giuste prospet tive Marco Polo e le opere dei tre autori che lo precedettero in Cina. Con sottile malizia vibra sciabolate agli studiosi medievali più legati ai Sacri Testi che alla sperimentazione. «L'autorità della Scrittura è più grande di tutta la capacità del genio umano», dicevano, e si' trinceravano dietro queste frasi per giustificare la loro ignoranza su una parte del mondo conosciutissima ■ a mercanti ed avventurieri. Ignoravano l'incontro fra la cultura greca e quella indiana che aveva originato la. civiltà di Gandhara; che la prima di nastia storica della Gna risali va al Duemila avanti Cristo < che se l'Occidente aveva dato Omero, Platone, Aristotele, la Cina aveva dato Confucio l'India il Budda. Ma sono proprio le osservazioni dello scrit tore francese a rendere lieve ( piacevole la lettura del libro; suoi commenti alle opere ed agli autori sono capolavori di sottigliezza psicologica. Fra Guglielmo, ad esempio, più che ai poverelli francescani somiglia ad un «frate gaudente» tanto golosamente parla di vivande, di vini e di quanto gradisca dormire su un buon materasso di lana, che i Tartari come si vede, usavano assai prima di noi. Però, tutta la gloria della scoperta della Cina è, e rimar rà, per Marco Polo, anche se i suo racconto dà nel fantastico, talvolta trascurando indicazioni utili per conoscere più imi mamente un popolo. Francesco Rosso