Il nonno del raggio della morte di Vittorio Zucconi

Il nonno del raggio della morte IN GIAPPONE, DA 35 ANNI, UN UOMO ATTENDE DI ESSERE IMPICCATO Il nonno del raggio della morte Sadamichi Hirasawa è stato condannato nel 1948 per rapina e omicidio plurimo - Ora ha novant'anni, passa il tempo facendo «origami» e continua a protestarsi innocente • Per dodicimila mattine il prete buddista che recita Ì'«0-kyò», la preghiera d'addio dei condannati, è passato davanti alla sua cella senza fermarsi - La vita di Sadamichi è appesa a un fragile cavillo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ' TOKYO — Tutti gli anni, ti 21 settembre, ti figlio adottivo va a trovarlo In carcere per gli auguri. «Coraggio — gli dice a voce 'alta, scandendo bene le parole, un po' per scuoterlo dal suo torpore, un po'perché ormai è molto sordo — vedrai che questa è la volta buona. I giornali ne parleranno, gli avvocati si daranno ,da fare, e 11 ministero, lo so per certo, firmerà 11 condono». E come tutti gli anni, il vecchio ascolta in silenzio, muove appena la testa, si asciuga gli occhi bagnati. C'è chi dice per commozione, c'è chi dice per l'età. Novanta, ne ha compiuti, ed è sanissimo. SI direbbe che la natura abbia sospeso con lui il lavoro, curiosa di vedere che cosa decideranno con questo vecchio gli uomini. Perché Sadamichi Hirasawa è un condannato a morte. Il più vecchio condannato a morte del mondo, e quello che da più. tempo aspetta di salire sull'ascensore per il patibolo. La data della sentenza di pena capitale sembra un errore' di stampa e inv.ee è giusta: 1" giugno 1948. Da trentacinque anni, il «nonno del braccio della morte» attende l'esecuzione. Per dodicimila mattine ha ascoltato il prete buddista che recita /'«O-kyo», la preghiera dell'addio a coloro che il boia porta alla forca, passare sema fermarsi davanti alla sua cella, nel carcere di Sendal, al Nord. Pet quel che ne sappiamo, il prete può essersi fermato stamane, o farlo domattina: in Giappone non si comunica -il giorno» in anticipo al condannato. Questa è una storia che sembra un -feuilleton» da sartine ed è invece una pagina esemplare del sillabario giapponese. Il crimine, l'indagine, il processo, l'attesa. I tre decenni e mezzo di con vulstoni burocratiche sono possibili forse solo in questo Paese che come certi frutti asiatici; i -H-chl», ci inganna con la scorta- dura, aggressiva e nasconde all'interno un'anima gelatinosa, sgusciarne. Anche l'aver tenuto quasi segreto, sema nessuna pubblicità internazionale (pensate a Caryl Chessman) il record senea pari di questo vecchio nel «death row», il braccio della morte, è un segno esemplare di come è il Giappone dentro, oltre la sor glia vistósa di quel che vende ogni giorno. Il crimine. Nel pomeriggio del 26 gennaio 1948 un uomo solo entrò nella banca -Teikoku», a Tokyo, fingendosi un ufficiale sanitario. La città era ancora un castello di rovine (Tokyo lia avuto piùmorti di Hiroshima), sospesa tra un passato terribile e l'angoscia di un futuro incer¬ to. L'uomo spiegò al direttore della banca che casi di dissenteria acuta stavano affiorando, e si era alle soglie dell'epidemia. Tutti gli impiegati et clienti dovevano immediatamente bere un sorso del medicinale che egli aveva con sé. Il direttore si precipitò a raccogliere bicchieri, tazze, cocci. Riunì le 16 persone presenti nei locali. L'uomo versò 16 generose dosi del liquido. La gente bevve. Dopo pochi secondi, tutti erano stramazzati a terra,avvelenati. Dodici morti Soltanto in quattro salvarono la pelle. Per gli altri 12 fu una morte di spasmi. Il falso ispettore sanitario se ne andò con 124.500 yen, oggi appena 600 mila lire, ma allora una buona somma. Lo choc' fu enorme, nel Giappone ancora occupato dagli americani. Naturalmente, nessuno accusò il credulo direttore di banca, perché se a Tokyo ci si presenta come-ufficiali sani-, tari», si -è» ufficiali sanitari è dunque il crimine commesso era triplice, orrendo: rapina, omicidio plurimo, impersonificazlone abusiva di funzionario dello Stato. Cominciò la caccia all'uomo. La gente' chiedeva giustizia in fretta. L'Indagine. Dopo duemila interrogatori, 950 fermi, e un mese di indaglni,%la polizia, che voleva far bella figura agli occhi di MacArthur e degli americani, arrestò Sadamichi Hirasawa, un poveraccio, sotto pesanti indisi. Due giorni dopo il delitto, aveva depositato in banca 80 mila yen contanti, pur essendo disoccupato, sema rendita e, come disse il commissario, «un uomo senza dignità». Una settimana più tardi, la moglie dell'arrestato aveva portato in banca altri 44.500 yen. Il conto tornava: 124.500 yen, la somma rapinata. Fu messo a confronto con t quattro superstiti, due lo riconobbero come il falso ufficiale sanitario, due dissero di non averlo mai visto. «Confessa», gli fu intimato, perché in Giappone in genere il colpevole, presto o tardi, ammette. Ma Hirasawa negò e nega ancora, 35 anni dopo. Il processo. // tribunale di prima istanza, dopo un processo sbrigativo anche per quegli anni bruschi, lo condannò alla pena capitale, l'impiccagione. Il primo giugno 1948, Hirasawa fu condotto nel braccio della morte del carcere statale di Sendai, nel Nord. Per la magistratura ti caso era chiuso. La vita non era ancora tanto garantita, in quella -età del ferro», e II condannato sarebbe morto in silenzio, nell'indifferenza. E invece, la sorpresa: subito dopo la sentema esplose un -caso» che nessuno aveva previsto. Nacque un robusto, vociante -partito innocentista». Spuntarono i soliti «sapertesti», si ricostruirono alibi. La vicenda appassionò un Paese che cercava evasioni, I storte magari crude, villane, ma che dislogliessero dalla \ depressione quotidiana, dallo | sconforto di una rtcostruzione «impossf&f/e». Erano gli I anni—forse vi ricordate — in | cui anche in Italia furoreggiavano le grandi storie di delitti. Rina Forte la Cianctulll saponificatrice. Gli artigiani e i dilettanti della morte. I killer professionisti erano ancora lontani. L'attesa. Tra le pressioni degli innocentisti, l'attivismo di giovani avvocati in cerca di un nome, gli -scoops» dei giornali a caccia di lettori fra le macerie di Tokyo, il caso della-banca della morte» e di quell'uomo all'ombra della forca venne tenuto vivo, gonfiato, diventò la classica -patata bollente» politica. Cominciarono i processi d'appello, i supplementi di indagine, le revisioni. La sinistra, allora forte e piena di coloriture (forse anche di soldi) sovietiche, gridava al nuovo «Sacco e Vanzetti», al nuovo -caso Lindbergh», bollava la sentenza di -omicidio di classe». Ma ogni Corte d'appello confermava la sentenza: colpevole. E la condanna: impiccagtone. Il governo era in imbarazzo profondo. Uccidere, e sfidare la piazza? Commutare la pena, e sfidare il potere legislativo, macchiando subito uno dei principi costituzionali del nuovo Giappone democratico, la divisione dei poteri? Ma proprio nella fresca Costituzione la burocrazia governativa trovò rifugio. C'era, nel testo, una piccola omissione, una dimenticanza, un lapsus. La legge dice che, per essere eseguita, una condanna a morte deve portare il sigillo e la firma del ministro delta Giustizia. Ma non specifica entro quanto tempo, dal processo di ultima istanza, la firma debba essere apposta. Insomma, basta evitare di mettere il timbro e la condanna non sarà consumata. C'è qualcosa che sollecita un burocrate più della possibilità di rimandare? Non c'è, e difatti, dal '41 a oggi, ben 15 ministri si sono avvicendati sulla poltrona trasmettendo ai successori la pratica Hirasawa. Un grigio miracolo dell'accidia burocratica durato 35 anni. Nessun ministro ha' mai firmato la sentema, ette ogni anno trascorso rendeva più crudele, più disumana da eseguire. Gioco crudele La speranza. Da 6 anni, il -gioco del cerino» fra i successivi ministri della Giustizia con la vita del condannato si è fatto diverso, e persino più efferato. Nel 1976, mentre il nonno del braccio della morte compiva 84 anni, l'allora ministro Furui disse finalmente -basta». Rispondendo all'ennesimo appello dell'Associazione per la difesa di Sadamichi Hirasawa, un gruppo di innocentisti rimasto attivi 30 anni dopo il processo, Furui ammise che II vecchio aveva pagato abbastama ed era giunta l'ora del condono. Firmò, tra l'entusiasmo della stampa, che aveva richiamato in servizio vecchi cronisti in pensione per andare a rivedere il condannato, e portò la pratica al capo del governo. Al quale spetta, per legge, l'ultima parola. Il primo ministro, Oshira, era d'accordo. Avrebbe firmato dopo la fine della campagna elettorale, disse, per evitare strumentalizzazioni politiche. Nel frattempo, bisognava occuparsi dell'avvenire del vecchio -abate •Fa-' ria», entrato in carcere in un Giappone di rovine e ora costretto a riemergere nella Tokyo fragorosa, spietata del dopo miracolo, a quasi 90 anni. Chi l'avrebbe mantenuto, domandò la burocrazia? Si fece avanti ti presidente della associazione innocentista, un giovane di 23 anni. neppure nato all'epoca della rapina. Convinse il vecchio, che in prigione passava il tempo a fare fiorellini e uccelli di carta, gli -origami», regalandoli per ricordo ai secondini, che doveva adottarlo legalmente per avere protezione nella vita civile. Il vecchio si piegò, adottò il giovane come figlio. Poteva anche essere un buon affare: le case editrici si preparavano a scannarsi per avere le memorie del vecchio: 30 anni all'ombra della forca, una ghiottoneria. Il destino. Era fatta, naturalmente. Non appena il pri->.o ministro Oshira avesse ji.-mato. Tre giorni dopo l'avvenuta adozione, condotta di gran fretta per togliere le ultime obiezioni, Oshira mori d'infarto, secco durante un comizio. Gli successe un collega di partito, Zenko Suzuki, ma di un'altra corrente, con altri amici, altri favori da restituire. Il ministro della Giustizia Furui, l'uomo che aveva finalmente deciso di condonare la pena, venne messo in disparte. Il successore decise di prendere tempo, rileggersi gli atti, soprassedere. Tutto è ricominciato da capo. Il vecchio si è rimesso a fare gli -origami», i fiorellini di carta nel braccio della morte, per i 25 come lui che aspettano, tra cui due terroristi di 30 anni, un uomo e una donna, che potrebbero essergli nipoti. La forca è sempre li, col pavimento a botola, e ne ammazza in media due all'anno. Ogni mattina ripassa il prete, con il suo -O-kyo» il rito dell'addio, letto per 456 giustiziati giapponesi, dalla fine della guerra. Il figlio adottivo lo va a trovare, gli editori pensano ormai ad altri best sellers. E lui aspetta, senza mal lamentarsi. Forse spera che la natura si stanchi di giocare e faccia il suo dovere. Vittorio Zucconi

Persone citate: Caryl Chessman, Lindbergh, Sacco, Sendal, Vanzetti, Zenko Suzuki