La vita è bella perché è un mistero

La vita è bella perché è un mistero Lettere di Jung La vita è bella perché è un mistero . ONSIDERO mol%\ to infelice una vita trascorsa per sessantacinque anni nella più piena armonia, e sono contento di non essermi proposto di vivere un simile prodigio. E' una cosa talmente disumana che non vi troverei il minimo piacere. Ha certo del miracoloso, ma pensi un po' a un miracolo che avviene ogni anno!». Se dovessi indicare una frase che esprima l'essenziale non solo della personalità di Jung ma anche del suo insegnamento, sceglierei certamente questa, tratta da una delle cento lettere raccolte in questo bel volume dalla fedele e competente Aniela Jaffé. Lo Jung ultrasettantenne die scrive queste parole a! discepolo di un maestro di saggezza indiano rivela una qualità mercuriale, che è poi quella che circola in tutta la sua opera, a dispetto dei numerosi tentativi di ridurlo a una immagine unitaria e semplificata, a un santino (il saggio, il «mistico-, più raramente lo scienziato). Jung — e queste lettere ne sono la testimonianza immediata — non si lascia infilzare da definizioni accomodanti: colmando l'abituale distacco tra vita e opera, dimostra all'interno delta sua stessa esistenza la verità di uno degli enunciati fondamentali della sua psicologia: l'accettazione della contraddittorietà dell'esperienza non già come male inevitabile ma come condizione di pienezza vitale. La cosiddetta coesistenza, o tensione, de- gli opposti è proprio la rivendicazione del nesso fecondo tra disarmonia e compiutezza, contrapposto all'ideale un po' frigido di una perfezione che richiede, per essere raggiunta, di dimenticare la vita. E' un tema questo che circola in tante lettere, indirizzate a corrispondenti famosi (Joyce, Hesse) o anonimi da un uomo che si rivela interessato e rispettoso degli argomenti altrui ma non accomodante, mosso da una orgogliosa consapevolezza della propria individualità, e perciò a tratti pungente e ironico sino al sarcasmo. Assai significative sono a questo proposito le nume¬ rose lettere indirizzate a uomini di chiesa sul problema di Dio: di fronte alle rigide e sterili certezze dogmatiche, così come di fronte ai facili tentativi di «demitizzazione». Jung da un lato rivendica l'esperienza immediata del sacro come la sola esperienza religiosa psicologicamente significativa e dall'altro riconduce all'interno del sacro l'elemento demoniaco che la religione ufficiale tende a rimuovere («Dio non è forse qualcosa di spaventoso?»). Nel rapporto di Jung con la divinità la correttezza epistemologica (noi possiamo conoscere Dio solo in quanto rappresentazione psichica) si sposa con il più fervido rispetto del mistero che in quella immagine ci si fa incontro a rivelarci il senso dell'esistenza. «L'interesse principale del mio lavoro risiede non tanto nella cura della nevrosi, quanto nel tentativo di avvicinarsi al numinoso. Di fatto, però, l'accesso al numinoso costituisce la vera terapia... La malattia stessa assume un carattere numinoso». Numerosi altri temi sono affrontati in queste lettere (la scienza, il problema del male e del dolore, la dottrina degli arclietipi, i rapporti tra conscio e inconscio, l'arte, le droghe, i dischi volanti, il significato psicologico del rumore e molti altri ancora), tutti con una partecipazione personale che dà sempre un suono pieno e profondo. Il più toccante è però il tema della morte, che lo Jung vecchio modula sulle corde più segrete della sua anima, permettendoci di gettare uno sguardo sulle esperienze estreme di un uomo al quale vita e morte si rivelarono a un tratto come momenti particolari di una vicenda in temporale. Augusto Romano C'ari G. Jung, «Esperienza e mistero - 100 lettere», Boringhieri, 180 pagine, 16.000 lire. Carl Gustav Jung