I Celti, ombra della storia

I Celti, ombra della storia Le vicende di un popolo inquieto, ricco di fantasie, incurante del successo I Celti, ombra della storia IL primo incontro con i Celti è avvenuto per molti di noi sui banchi della scuola media attraverso la mappa con cui si apre il De bello Gallico, e con quella già misteriosa perifrasi per definire le popolazioni di 'Coloro che nella propria lingua son chiamati Celti, nella nostra Galli». Doveva esserci dunque una qualche incompatibilità, se non altro idiomatica. Ira questi Celti e i Romani: nella Gallia doveva annidarsi qualche oscura popolazione che poco comunicava coi Latini, (orse ne era l'antitesi. E' su questa opposizione che punta l'autore de I Celti. Mito e storia, fitto volume edito da Rusconi: Jean Markale. uno di quegli studiosi che abbracciano la causa dei loro soggetti e ne corrono il rischio. Ai suoi occhi i Celti sono addirittura l'altra categoria dello spirito e l'altro polo dialettico della storia di fronte alla classicità, ombre relegate sullo sfondo dell'affresco delle vicende umane, che però ne costituiscono l'elemento dinamico, il deposito dei tesori e. chissà, la riserva della speranza. Che nella ricerca dei Celti ci si debba addentrare fra ombre, e una realtà e un'esperienza di ogni curioso. Centrati inizialmente nella Germania cemro-settentrionale. i Celti parteciparono al grande fenomeno migratorio attivato da una crisi verso la fine dell'Età del bronzo. nel'VI secolo avanti Cristo. Il ritorno di un clima umido e freddo costrinse gli abitanti degli stagni e delle torbiere del nord Europa a fughe precipitose. I Celti si diramarono via via verso la Scozia, la Britannia. l'Irlanda, la Gallia. la Spagna. l'Italia settentrionale, il Danubio e fin la Grecia e la Turchia: popolarono parti vicine e remote dell'Europa e dell'Asia, sporadici o in nuclei consistenti, effimeri fino alla breve gloria di una battaglia disastrosa, o saldi come una componente millenaria nel destino dell'Europa occidentale. Celtico sarà il gruppo sparuto che si spinse fino alla conquista frustrata dell'oro del santuario più sacro dei Greci. Delfi, come di un Graal primordiale: celtica l'orda di Brenno die un secolo prima, nel 387. raggiunse Roma e rimase avvolta dalle favole di Papirio. di Tarpea e delle oche del Campidoglio: celti gli avversari più tenaci di Cesare, fino ai duelli di Gergovia. di Bibracte e di Alesia. questi piccoli tumuli oggi ridotti ad un cartello turistico lungo le autostrade di Francia: un tempo, in quel decennio fra il 58 e il 51 avanti Cristo, teatro di olocausti supremi. Ma schiacciati e isolati, e lorse proprio per questo, i Celti non cessarono di conservare saldamente la propria identità. Lo sparuto drappello che all'inizio del III secolo avanti Cristo si spinse tra gli assolali monti dell'Anatolia, asserragliato fra Greci nella ..Galazia». ancora otto secoli dopo parlava la lingua asperrima dei suoi avi perduti fra le nebbie e le foreste della Germania; Vercingetorige è un eroe per i Giacobini e i fumettisti: il Galles e l'Irlanda rintracciano tutta la loro civiltà e altermano tuttora la loro identità nel nome delle origini celtiche. E' alle punte periferiche del nord e dell'ovest dell'isola britannica e nell'Eire che la civiltà celtica si è più profondamente radicata e ha dato i suoi frutti più chiari e duraturi. Altrove sono rimaste soprattutto tracce di culti, leggende e capolavori artistici. La religione druidica. coi suoi riti notturni e i suoi santuari megalitici, dagli accenni degli storici greco-latini giunge a Vincenzo Bellini, alla raccolta del vischio e al casto chiarore lunare della Norma. penetrando nella storia del costume, del folklore e della cultura, come mostra in un curioso libretto tradotto dalla Newton Compton quel grande -e fine archeologo eh è Stuart Piggott: il bardo che canta e lotta dal suo carro guerresco, o la fanciulla che lamenta sull'arpa il suo amore, o l'aedo che snoda le strofe di un lungo epos profetico e fantasioso, penetrano in tutta l'arte occidentale, come certe decorazioni dei capitelli o le croci cerchiate nel granito. Fra i Gaeli dell'Irlanda poi. i Celti hanno costituito ve- ramente i fasti di una civiltà, persino luminosa mentre attorno si cadeva nelle tenebre, e una tradizione nazionale. Fra quelle praterie sempre verdi nel seno delle colline, lungo gli stagni o allo zampillio di una lontana si sono annidate le fate e gli gnomi, sono sgorgati i guerrieri e i sovrani, iiorite le avventure più romanzesche e infelici: sono rimasti o si sono delineati i caratteri psicologici della stirpe celtica, quelli che per il nostro Markale sono la segreta felicità della storia di fronte all'-inùtile» civiltà greco-romana. Il celtico è un popolo eccentrico, un franco tiratore, destinato ad essere sempre una minoranza, amalgamato o amalgamatore di altre genti. Maniaco del particolarismo, cavaliere di ventura solitario e incurante del successo, coltiva in se solo lo spirito di rivolta e la fantasia. Politicamente, le tribù furono minate da lotte intestine e rivolte favorite da un diritto implacabilmente condizionatore del potere e tutore sospettoso dell'autorità: la figura stessa del re era precaria e spesso dileggiata, non parliamo poi dei dominatori o delle supremazie forestiere: la tavola rotonda favorisce dei bei banchetti, ma non la governabilità. Persino il cristianesimo importato e sviluppato dai grandi monaci irlandesi — Patrizio, Colombano — fu più una prosecuzione quasi ereticale dello spirito, dei riti e delle comunità druidiche. che un'evangelizzazione cattolica; i suoi santi, eremiti silvestri, sono sconosciuti a Roma stessa. E l'arte, aspra e bizzarra, è più vicina all'ombra pietrosa del romanico che all'aerea luminosità del gotico. Di tutto questo, ci sono più tracce nella leggenda che nella storia. Attori periferici o conculcati, indifferenti agli eventi e alieni dalla loro narrazione scientifica, i Celti hanno trasmesso un patrimonio universale di poesia lirica ed epica. Il mito impregna fortemente la poesia gaelica e vi genera il meraviglioso, non nella forma preromantica ed edulcorata dell'Ossian di Macpherson. ma in quella irta di un paesaggio disumano: «Coni è fredda questa notte la grande pianura di Lurg. i la neve è più alta dei monti, t il daino non trova più nutrimento... i Gli uccelli dell'isola di Fai errano sul mare, i non c'è riva contro cui l'onda non s'infranga, / nelle terre non c'è più terra, i non si odono più le campane e l'uccello delle paludi non canta più. 1 I lupi del bosco di Cnan non trovano / né riposo; né sonno nelle loro tane, i Lo scricciolo non trova più ; un rifugio per il suo nido in Lonslope... > L'aquila della valle di Ridi Rua... ; ha ghiaccio nel becco». L'amore — Tristano e Isotta! — è una fatalità irrimediabile, un torrente inarrestabile verso il sangue, e la mistica del Graal è l'estrema forma dei miti celtici, un'evasione compensatola nella tensione, nell'attesa e nella sconfitta: eredità sintetica e sublime lasciata in un naufragio e fra altre solo patetiche sopravvivenze. Lo studioso, come scrive per la religione dei Celti un autore serio quale Jan de Vries. si muove perciò «in un campo pieno di macerie». r, . „ Carlo Carena Jean Markale: «I Celti». Traduzione di Renata Carloni Valentin!. Rusconi, 550 pagine, 20.000 lire. Stuart Piggott: «Il mistero del Druidi». Traduzione di Bianca Franco. Newton Compton, 175 pagine. 6000 lire. Jan de Vrles: «I Celti» (Storia delle religioni, n. 5). Traduzione di Gianni Pulit ed Emilio Filippi. Jaca Book, 337 pagine, 34.000 lire. Illusira/ione di Gabriele Nenzioni (da «I Celti: furori e immortalità», ed. Quadrarono)