Se ami un fantasma che ingombro avere un corpo di Giovanni Bogliolo

Se ami un fantasma che ingombro avere un corpo «Spirite», racconto di Gautier Se ami un fantasma che ingombro avere un corpo GAUTIER manca da tanti anni dagli scaffali delle librerie che nella memoria dei lettori' sopravvive appena come autore del Capitan Fracassa e della Signorina di Maupin, se non addirittura come l'oscuro dedicatario dei Fiori del male che un' troppo benevolo Baudelaire ha voluto chiamare «poeta impeccabile» e «perfetto mago delle lettere francesi». Ancora negli Anni Quaranta però circolava da noi — sotto l'insegna della fitta xilografia che Adolfo De Carolis aveva inventato per i «Classici del ridere» di Formaggini — una raccolta di suoi racconti fantastici dal titolo apocrifo ma puntuale di Amori impossibili, ed è una fortuna che oggi nelle einaudiane Centopagine compaia Spirite, perché la vena visionaria ed esoterica merita meno d'ogni altra l'oblio che sembra avere colpito questo protagonista appassionato e storiografo fedele dell'intensa stagione letteraria che va dalprimo Romanticistno al Parnasse. E' d'altronde la vena più suggestiva e persistente di Gautier: nutrita di febbri romanticfie e di meditazioni teosofiche, percorre tutta la sua opera come sotterranea tentazione dell'ignoto, brivido segreto dell'insolito ma anclie come esplicita e ardimentosa assunzione delmistero.Ma se ha ragione Georges Poulet a indicare nell'ossessione della morte il tratto distintivo della personalità e il motivo unificatore delio- pera di Théophile Gautier, Spirita che, anche cronologicamente, è il suo ultimo romanzo, di questa ossessione costituisce il punto conclusivo e forse anche la sublimazione. Qui la morte appare ormai destituita di tutti i connotati macabri che abitualmente l'accompagnano e die lo scrittore non aveva mai mancato di sottolineare: è una vita seconda puramente spirituale, un luogo di delizie intellettuali e affettive che lo spirito di una giovane morta d'amore lascia intravedere all'uomo che in vita non s'era neppure accorto di lei e die ora apprende miracolosamente ad amarla. Spirite è una presenza impalpabile che aleggia tra i velluti di un salotto, un'ombra intravista in uno specchio, una voce melodiosa, una visione di inesprimibile seduzione e la morte non è più altro che la soglia che lei ìia varcato, lo scotto esiguo che le è valso tanta perfezione. Gli espedeienti magici, gli interventi misteriosi, le argomentazioni swedenborghiane che delineano l'abituale atmosfera del racconto fantastico cedono presto il passo alle descrizioni fastose e l'inquietudine dell'insolito si stempera nella contemplazione estatica del meraviglioso. Dalla necrofilia più o meno esplicita dei primi romanzi in cui oggetto damore poteva essere una statua o una mummia, si è arrivati ad una sorta di unione mistica che trova un iynpaccio residuo non più nel cadavere della donna amata ma nel corpo ancora vitale dell'innamorato il quale, come farà il protagonista di Spirite, cerca di disfarsene al più presto come di un ormai inutile ingombro. L'approdo estremo è dunque questa inattesa mortificazione del corpo, «meccanismo inceppato, sbagliato da sempre e frustrante, perché vieta il sommo godimento invece di favorirlo», che alla curatrice di questa prima traduzione italiana suggerisce un intreccio di pertinenti richiami ad Armance, ma in cui si avverte, più forte dell'eco della stendhaliana tragedia dell'impotenza, l'annuncio delle raffinatezze erotiche dell'eroe decadente. Giovanni Bogliolo Théophile Gautier, «Spirite», a cura di Franca Zanelli Quarantini, Einaudi, XVII-155 pagine, 6000 lire. Disegno di Alberto Martini

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