Apollo nel mistero di Mozia

Apollo nel mistero di Mozia NUOVA IPOTESI SUL GIALLO ARCHEOLOGICO DEL «GIOVANE IN TUNICA» Apollo nel mistero di Mozia Secondo uno studioso, era il dio della minoranza greca nella colonia cartaginese, che rifiutava il culto sanguinario dei punici - Il capolavoro scoperto nell'isola davanti a Marsala è diventato un richiamo del turismo siciliano DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MARSALA — Il misterioso «giovane in tunica» è richiamo turistico di questa estate e per lui Mozia perde la sua millenaria pace. E' Mozia isoletta dello Stagnone di Marsala, colonizzata dai Fenici e diventata città-stato cartaginese. Fu ricca e potente, forse con tremila abitanti. Nel 397 a. C. l'armata di Dionisio siracusano la conquistò, la distrusse, massacrò la popolazione. Per ventitré secoli Mozia è rimasta disabitata e dimenticata, bellissima, con agavi e gerani selvatici, pini e ulivi, palme e banani che affondano le radici nell'antica città sepolta. Finché sono venuti gli archeologi a scavare in questa che è definita la Pompei della storia punica. Abbiamo già detto delle loro scoperte e del ritrovamento del «giovane in tunica»: statua di marmo in grandezza naturale, che è un capolavoro. Un corpo atletico ma delicato, ricoperto da una tunica leggera come una garza, fittamente piegolinata e trasparente. Mancano le braccia. Il sinistro, nell'originale, si appoggiava al fianco, come risulta dalle dita spezzate che stanno ancora attaccate alla tunica. Il braccio destro, invece, doveva essere levato in alto, forse appoggiato a una lancia, oppure impugnava una corona o una spada. La statua è stata scoperta nell'ottobre del 1979 e per oltre due anni si è saputo solo all'interno del mondo accademico. Qualche mese fa, casualmente, la notizia è sfuggita agli archeologi e da allora grande è l'interesse. Le possibilità di vedere la scultura sono scarse, essendo in un magazzino in attesa di restauro. Il capo è staccato e bisognerà forare il marmo e metterci un perno; si continuano a cercare le braccia e i piedi mancanti, sperando di poter avere la statua completa. Ma pur sottochiave, il «giovane in tunica» emana fascino e chiama visitatori a Mozia, che sta diventando tappa d'obbligo del turismo siciliano. E' statua di straordinaria bellezza che pone molti interrogativi. C'è chi ne parla come di un «giallo» archeologico. E' sicuramente opera di un artista greco, forse della seconda metà del quinto secolo a. C. (contemporanea ai bronzi di Riace). E qui nasce la prima domanda. Perché una statua cosi importante e di fattura greca è stata scoperta in una colonia semitica? Si fa l'ipotesi che sia prer'a bellica, razziata dai carta '.- nesi in una delle colonie ioniche della Sicilia. Altra ipotesi è che la statua sia stata commissionata da un ricco moziese ad uno scultore greco. Ma chi è il giovane scolpito, che ha il volto di una bellezza non comune e morbidi riccioli a chioccioline? Si è risposto che potrebbe essere un auriga c un sufeta, magistrato che rappresentava il potere politico e religioso. Dopo lungo studio della statua, il professor Giuseppe Agosta di Marsala, ispettore onorario alle antichità, dà una risposta diversa e molto suggestiva. La statua di Mozia, dice, è Apollo, il dio fondatore delle colonie, cioè degli esuli dalla terrà natia. Che a Mozia vivessero anche greci è certo. Affermano gli storici che Dionisio di Siracusa, dopo la conquista, fu spietato soprattutto contro i greci, perché li considerò traditori. I greci a Mozia, dice il professor Agosta, erano «una minoranza eterogenea, fatta di fuorusciti, di mercanti, di artisti e artigiani, di mercenari, di soldati e marinai. Erano ionici e dorici della madrepatria, delle città siceliote o italiote. Una minoranza che aveva trovato una novella terra a Mozia, dove viveva però con i nobilissimi ideali della patria comune, della religione, dell'arte, delle manifestazioni panelleniche più grandiose dei giochi olimpici». Greci trapiantati a Mozia. dove la divinità era il dio Baal Hammon, al quale si sacrificavano i primogeniti bruciandoli vivi. «£' chiaro che questi greci non potevano seguire i riti religiosi dei semiti, disumani e crudeli». Da qui la necessità di elevare un proprio tempio, con un dio della loro mitologia: Apollo. La statua di Mozia, secondo il professor Agosta, rientra nello stile della scuola fidiaca-alkamenea. 'Alleamene, autore del frontone Ovest di Olimpia, vi scolpì l'Apollo gigantesco, alto tre metri e dieci. Il capo della statua di Mozia è ispirato allo stile severo di questo Apollo, di nobile bellezza, con ricciolini chioccioliformi sulla fronte. La tunica, invece, che ricopre, armoniosa e raffinata, il corpo della figura, si ispira a quelle dei personaggi divini del fregio del Partenone, dove lavorò anche Alleamene, ed è di puro stile classico'. Al tempo dei giochi estivi da tutta la Grecia e dalla colonie affluiva a Olimpia una folla enorme, «fra cui pullulavano i committenti di opere d'arte, che cercavano di accaparrarsi i migliori pennelli e scalpelli, gli orafi e i ceramisti, i poeti, per la celebrazione delle memorie mitiche dei loro paesi, per gli ex voto, per adornare i loro templi di simulacri stupendi per l'eternità. Sapevano che un'opera d'arte sarebbe stata una gioia per sempre. E poi, la bellezza era dovuta agli dei». Al professor Agosta piace pensare che tra quella folla di committenti ci siano stati anche gli inviati dei moziesi-greci: di quella minoranza ellenica convivente con la punica, regolarmente urbanizzata, ma che si considerava superiore per civiltà ai «barbari» cartaginesi. «Non potevano certo adorare Baal dei cananei» e agli scultori di scuola fidiaca-alkamenea commissionarono il loro Apollo. Ma perché questa figura virile è stata scolpita con tunica nel quinto secolo avanti Cristo, quando cioè i numi, gli eroi, gli atleti venivano rappresentati nudi, come appunto i guerrieri di Riace? Perché, è la risposta del professor Agosta. la statua è stata commissionata per essere portata a Mozia. «presso barbari che, come dice Erodoto, ritenevano vergognosa la nudità virile esposta liberamente nelle opere figurative». Per il ricercatore Gioacchino Falsone, che a Mozia ha diretto scavi condotti dall'Università di Palermo in collaborazione con la Sovrintendenza, il «giovane in tunica» è una delle più preziose testimonianze della scultura greca. Il professor Giuseppe Agosta si chiede: «Quante statue meravigliose ci sono ancora nel sottosuolo di Mozia?». Il professor Vincenzo Tusa, sovrintendente alle antichità della Sicilia occidentale, uno di quelli che più ha fatto per Mozia, dice: «L'isola è ancora quasi tutta da scoprire. Diciamo che finora gli scavi ne hanno fatto riemergere appena il dieci per cento». Luciano Curino Isola di Mozia. La statua del misterioso «giovane in tunica»