Il Canaletto è ritornato a casa
Il Canaletto è ritornato a casa PRIMA GRANDE MOSTRA VENEZIANA PER IL PRINCIPE DEI VEDUTISTI Il Canaletto è ritornato a casa VENEZIA — La Fondazione Cini ospita da ieri all'Isola di San Giorgio Maggiore, a cura di Alessandro Bettagno. la prima mostra monografica in patria dedicata ad Antonio Canal, il primo Canaletto (essendo secondo il nipote Bernardo Bellotto): 41 dipinti, in gran parte ancora oggi ubicati o storicamente provenienti da collezioni inglesi — quattro della Regina —, in quanto furono inglesi con assoluta prevalenza i clienti del pittore, e 75 disegni, di cui 25 dalle collezioni reali di Windsor. Sono inoltre esposti, a cura di Ruth Bromberg, e per la prima volta in assoluto, fino a quattro stati di ciascuna delle incisioni dedicate al principale committente e mercante, Joseph Smith, nominato nel 1744 Console inglese presso la Serenissima Repubblica: « Vedute i Altre prese da i Luoghi altre ideate». E' tutto Canaletto, per quasi cinquanfanni: dal ritorno da Roma, dove era stato aiutante del padre scenografo nei primi anni, 1720, sino alla morte nel 1768; di mezzo, l'operoso soggiorno inglese, con brevi ritorni in patria, dal 1746 al 17550 '56. Vedere e prendere. Prendere anche quando la scelta, minoritaria, è per Ymideazione»: un monumento di Roma e un edificio palladiano, una rovina «classica» e una bizzarria neogotica-rococò, di cui la diretta esperienza inglese o incisioni dei trattati d'architettura del tempo gli offrivano più di un esempio. Il punto chiave, che è anche il punto del dibattito contemporaneo su questo prìncipe dei vedutisti, consiste negli strumenti e nei modi, fisici, concettuali, di questo vedere e di questo prendere, e nelle risultanti, scalate nelle procedure creative: dall'uso della «camera ottica» allo schizzo grafico con annotazioni sui rapporti dimensionali e sui colori dei materiali edilizi; dal disegno «finito», talora mosso e vibrato in luci e atmosfere dall'acquerello, al quadro. Variano le interpretazioni critiche. Vi è quella deH'.illum ini sta» dall'occhio linceo, che subordina lo strumento parascientifico della «camera ottica» ai proprio ruotare ta lora sino ai 180 gradi dell'oriz- zonte lagunare o della prateria inglese coronata da castelli e abbazie, e alla capacità, fra logica e demiurgica, di «entrare» (e di farci entrare) in quegli spazi in profondità, tra quelle strutture edilizie che mai sono, nonostante il mestiere paterno e il proprio iniziale, né quinte né fondali. E vi è quella del costante revisore e ricreatore della «realtà di veduta», con raccorciamenti e dilatazioni del puro dato ottico, con sottili «invenzioni» presenti anche nella maggioranza delle vedute proposte — e richieste dalla committenza — come documentarie della impareggiabile città. La risposta viene forse offerta, e solo in questa occasione, dal luogo e sul luogo della mostra. Dal secondo piano del Convento di San Giorgio, nelle cui sale e salette si alternano impeccabilmente disegni e dipinti (per gruppi di originaria committenza e provenienza) e incisioni, le finestre si aprono sul Canale della Giu- decca. fra le quinte «povere» della Giudecca stessa e delle Zattere. Sulla concretezza ottica costante di quelle quinte, delle loro forme di struttura, in non grandi frazioni di tempo è mutevole la vibrazione di luci e ombre e riflessi e colori, fra cielo e acque lagunari e pietre e mattoni: talmente mutevole da trarre con sé. di volta in volta, variazioni nettamente percepibili del cosiddetto «dato ottico». Alterni l'occhio del visitatore quei quadri-finestra con i quadri-quadri: e ciascuno, credo, potrà trarne, dal di fuori e da se stesso, risposte e comprensioni del «segreti» del Canaletto non ardui ma stupendi. Che il nucleo di questi segreti stia in un preciso rapporto, logico e fervido e nello stesso tempo «goduto», fra reinvenzione di volta in volta dei rapporti di spazio e specifiche situazioni di quel luogo in quell'ora (ora di luce, persino ora meteorologica), mi sembra provato quando s passiamo dalle sale «veneziane» a quelle «inglesi». Non è questione — come è stato fatto e detto — di qualità di pittura, maggiore o minore, di temi o circostanze più o meno consonanti al Canaletto. E' capacità — e qui è vero e grande «illuminismo» — di essere, tutt'uno l'uomo e il pittore, altro di fronte a una natura e una civiltà e una cultura> giustamente sentite e comprese come altre. E' certamente azzardato e poco credibile un paragone riferito a problemi di stile e di cultura formale, ma mi sembra evidente che quelle praterie, quei lungofiume, e le persone (persone e non «macchiette») che si muovono in essi, e che Canaletto dipinse negli anni fra 1740 e 1750 per il decano di Westminster, per il Duca di Northumberland. per il Conte di Wanvick, per Thomas Hollis. sono le stesse praterie e le stesse persone che in quegli stessi anni sono «riprese» dall'occhio di Gainsborough. a è iiù ae— il a l e rco to ra ie, ne ») he ni di di te lle gli alVI sono infine gli insegnamenti, le aperture per il futuro di questa stupenda mostra: ad esempio la storia, positiva per il collezionismo italiano contemporaneo, dei recuperi dall'estero di un Canaletto di cui l'Italia, e non parliamo di Venezia, era rimasta quasi priva alla sua scomparsa; è la storia, qui verificabile, dei Crespi, dei Cini, del Bucintoro al molo e del Canal Grande agli Scalzi di collezione torinese, già del Duca di Bukkleukh. E d'altra parte s'impone qui l'assoluto significato, su cui vi è ancora molto da studiare, del Canaletto (assieme al nipote Bellotto) per la cultura europea dalla metà del '700 fino alla metà dell'800: penso da un lato, per r.invenzlone», a Hubert Robert, dall'altro al protoromanticismo dei due Notturni veneziani per il tedesco Siglsmund Streit. una delle più affascinanti scoperte della mostra dal Musei di Berlino. Marco Rosei Canaletto: «Il ritorno del Bucintoro al molo il giorno dell'Ascensione» (particolare, Milano, collezione privata)
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