La brutta figura di un ciclismo autarchico di Gianni Menichelli
La brutta figura di un ciclismo autarchico Mai così male gli italiani al Tour (domani la conclusione ai Campi Elisi) La brutta figura di un ciclismo autarchico Neppure un successo di tappa, soltanto fatica e umiliazioni: i nostri corridori non sono abituati e preparati al modo di correre internazionale Si conclude domani ai Camin Elisi il Tour numero 69. Doveva essere il Tour dell'accoppiata storica di Hinault e lo è staio puntualmente. Doveva essere il Tour del grande ritorno degli italiani e non lo è stato affatto. Dopo due anni di assènso (e, prima, alcuni anni di presenza ridotta) il nostro ciclismo riprendeva contatto con la «grand boucle» presentando due squadre al via da Basilea: il bilancio della Inoxpran. che sperava di recuperare per strada Battaglin, comprende una sola voce attiva, il secoìido posto di Leali a Chateaulin; quello della Hoon ved. che puntava su Becciu protagonista in montagna, si limita u registrare la platonica (e. sporadica) prodezza delio scalatorino veneto-pugliese ad Orcières-Merlette, un quarto posto ottenuto battendo in salita tuttigli assi. Tutto qua. Il resto del «Tour degli italiani: è soltanto cronaca di sconfitte, disavventure, umiliazioni, sofferenze. In ì>assuto non era mai capitato nulla del genere: perfino nei peggiori anni di crisi delle rappresentative nazionali eravamo usciti dal Tour con qualche piccola gemma in tasca. Non erano solo i campioni, da Nencini a Gimondi, a procurarcela: vincevamo tappe con i De Prà e i Gualazzini, con Primo Mori sulle Alpi, con i gregari, insomma. Stavolta, niente. A parte i guai di Beccia e Battaglin, questo Tour ci ha offerto il disperante spettacolo di un ciclismo italiano non competitivo a qualsiasi livello. I ragazzi della Ino.rpran e della Hoonved non sono mai riusciti neppure a tenere le ruote, al primo «buco» perdevano contatto dalla coda del plotone, incapaci di recuperare. I vari Serpelloni, Blatta, Tonon e compagni (per citare soltanto quelli che hanno avuto il merito di soffrire fino a Parigi, senza abbandonare) lianno fatto figura di dilettanti mal preparati. Tipi collaudati come Chinetti e Leali sono apparsi svuotati, prosciugali di energie dopo poche tappe. Bontempi, un velocista che in ussoluto non vale meno dei Kelly e Planckaert, non è mai arrivato a disputare uno sprint con i suoi potenziali avversari. Adesso ci si chiede perché di tutto questo. E le diagnosi comparate degli stessi sventurati protagonisti (da Batta' glin a Beccia ai loro gregari) suggeriscono almeno due ri sposle: 1) il Tour è «diverso», profondamente diverso dal Giro e dalle nostre corse in genere. E diverso il modo di correre, che possiamo definire «franceseina anclte semplicemente «internazionale», dal placido stile autarchico di corsa delle gare caratterizzate da una maggioranza di corridori ita' liani. Da noi si va molto a spasso, si respira, non c'è continuità di ritmo, tutto si decide in pochi chilometri di bai taglia vera. Là si tira sempre a tutto spiano, ci sono cento corridori che ogni giorno vogliono vincere o farsi vedere, non c'è pausa. ..E' una corsa contro la morte., ha sintetizzato Battaglin. «Se ci sono due salite in una tappa, è come se fossero una sola, lunghissima, perche in mezzo non ti lasciano un attimo per tirare il fiato» ha spiegato Beccia. giusticando la sua disastrosa riuscita nella scalata (U-lPladAdet; 2) il Tour va preparato in modo specifico, non soltanto dui capitani, ma dalla squadra intera. Non è questione di incompatibilità col Giro. Si può benisswio partecipare ad entrambe le grandi corse a tappe se c'è il coraggio di rinunciare a un bel po'delle innumerevoli pseudo-classiche del calendario nazionale, programmando la stagione per i due appuntamenti di maggior prestigio. In Francia, in Belgio, in Olanda c'è chi (gli Alban, Martin, Anderson, Winncn, Zoetcmelk) pensa soltanto al Tour per tutto l'anno. Se si vuol competere con costoro (e con i loro gregari, almeno) il nostro ciclismo deve europeizzarsi, uscire dal comodo guscio dell'autarchia, andare all'estero per competere o per allenarsi. Quest'anno abbiamo presentato sulle micidiali strade ciottolose dei diìitorni di Lille ragazzi che non avevano mai visto il pavé neppure in fotografia. Gianni Menichelli
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