Il grande vecchio del nuovo Ubano

Il grande vecchio del nuovo Ubano Intervista con Pierre Gemayel, il leader dei falangisti e della causa maronita Il grande vecchio del nuovo Ubano A 77 anni, il fondatore della Falange è oggi il miglior alleato di Israele - Eppure la sua formazione e i suoi ideali giovanili si rifanno al nazismo - «Il mio movimento ha dato l'indipendenza ai libanesi» - E aggiunge: «I palestinesi hanno interrotto questo periodo felice», ma sembra dimenticare le 30 mila vittime della guerra civile di 7 anni fa - Ora suo figlio Bashir aspira alla presidenza NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE BEIRUT — II quotidiano libanese Orient il 16 dicembre 1936 fece una cosa molto insolita: abbandonò la sua normale impostazione grafica e stampò in apertura di prima pagina una fotografia a sette colonne che ritraeva parecchie centinaia di giovani tutti in riga, in camicia e pantaloni Impeccabili. Guardavano fisso davanti a sé, come votati a una nuova causa: la dicitura della foto informa i lettori che è la prima squadriglia in assoluto della nuova falange, fondata dal capitano Pierre Gemayel dopo la sua visita a Berlino. Quella prima pagina de L'Orient. inquadrata, è stata appesa alla parete centrale dell'ufficio a volta altissima in cui Gemayel tiene assise sul principi della civilizzazione del Libano. Il «Orande Vecchio» della causa maronita — forse il grande vecchio del nuovo Libano — ha 77 anni, ma mantiene ancora l'eleganza di quando ne aveva 30, con le sue casacche ad ampi risvolti, grossi polsini e cravatta nera, saldamente ancorata alla sua scintillante camicia da un vistoso fermaglio. Ila un volto sottile e i capelli sono ancora pettinati tutti all'indietro, come un politico francese della Terza Repubblica. Gli piace rispondere a domande sul palestinesi, sulla guerra civile libanese, sulla lotta dei cristiani in Libano .Ma non si aspetta domande sulla sua visita alla Germania nazista, nel 1936. I falangisti libanesi adesso sono, dopo tutto, i più intimi alleati d'I sracle. Gemayel si ferma per otto lunghi secondi prima di repli care. Per quanto possa essere orgoglioso, è un uomo onesto 'Ero capitano della squadra libanese di calcio e presidente della Federazione football — racconta — c andai ai Giochi olimpici di Berlino, nel '36. Vidi la disciplina e l'ordine che vi regnavano. E mi dissi: "Perché non potremmo fare la stessa cosa in Libano?". Così quando tornammo in patria fondammo questo movimento giovanile-. Gemayel non fa menzione di Adolf Hitler. Né osserva che il Terzo Reich usò le Olimpiadi del '36 come un veicolo di propaganda nazista. Agli ebrei tedeschi era stato vietato di prendervi parte e quando Jesse Owens, un americano di colore, vinse i cento metri, il Fuhrcr abbandonò lo stadio. Gemayel vede tutto questo in maniera piuttosto differente. «Quando ero a Berlino —dice — il nazismo non aveva la reputazione che ha attualmente... Nasismo? In ogni sistema politico del mondo si può trovare qualcosa di buono. Ma il nazismo a quei tempi non era ancora nazismo sino in fondo. La guerra sarebbe venuta dopo. Nel loro sistema io vedevo disciplina. E noi, in Medio Oriente, avevamo bisogno di disciplina più che di ogni altra cosa». Il movimento giovanile di Gemayel conobbe una vera e propria fioritura. In effetti, i suoi discendenti militari oggi fanno la guardia davanti all'ufficio di Gemayel. pistola alla cintola, e il distintivo triangolare stilizzato che rappresenta un albero di cedro sulla loro tenuta verde da battaglia. Dopo la caduta del Terzo Reich, la Falange si estinse in Europa. Solo in Libano riuscì a sopravvivere, anche quando la Spagna si era ormai lasciata il Franchismo alle spalle. Gemayel la vede ora come alla fine degli Anni 30: un movimento rinnovatore cioè, che prepara i giovani libanesi all'indipendenza e al senso civico. «Avevamo avuto quattro secoli di dominio ottomano in Libano — spiega — c volevamo la nostra indipendenza. Ma dobbiamo essere abbastanza maturi per guadagnarcela questa indipendenza. Penso die riuscimmo nel nostro scopo: il movimento giovanile falangista preparuva davvero giovani con spiccate capacità politiche». I piedi picchiettano con insistenza sul pavimento: Gemayel non sa nascondere la sua eccitazione di fronte a quest'argomento. Le vibrazioni si trasmettono alla sua grande scrivania di quercia. «Ci riuscimmo perché eravamo eletti dal Parlamento libanese ed crai>amo capaci di succedere nei ministeri ai turchi e ai francesi-. La falange ebbe effettiva¬ mente successo, anche se non rappresentava tutti i libanesi. Era espressione, infatti, dei cristiani maroniti, la cui maggioranza statistica, benché sempre più debole, assicurò loro, con il patto nazionale del '43, sia la presidenza del Libano sia il comando dell'esercito nazionale. I maroniti arrivarono a controllare il sistema delle banche, la principale industria del Libano, e la loro supremazia — minacciata nella guerra civile del "75-'76 dalle milìzie musulmane e dai guerriglieri palestinesi — ora sembra definitivamente assicurata dopo l'invasione israeliana. Il figlio di Gemayel, Bashir. e il più probabile aspirante alla presidenza, in settembre. La falange ha già presentalo la sua candidatura. Gemayel ne comprende bene le implicazioni. Gli anni più prosperi del Paese li identifica con quelli immediatamente successivi all'indipendenza. «Fra il 1943 e il 1970 — alferma — il Libano ebbe il suo periodo più felice. Eravamo liberi e indipendenti. Alcune nazioni sono opulente perché hanno petrolio, rame, ferro. Ma la ricchezza del Libano sta nell'iniziativa prillata, à una ricclwzza che necessita di sicurezze civili e sociali. Un'economia di libero mercato non può funzionare se c'è una struttura comunista o socialista. In Libano avevamo una formula particolare, un sistema parlamentare democratico-. Per Gemayel. sono slati i palestinesi a interrompere bruscamente tutto questo. Li chiama una quinta colonna». Non aspetta che l'argomento entri in conversazione, ne parla lui direttamente. «La loro, qui, era una presenza sovversiva — dice —. C'era una guerra non civile, ma fra noi e i palestinesi, che cercavano di conquistare il Libano, di prenderlo, di occuparlo. Volevano dissolverlo nel mondo arabo». E la mente corre, mentre Gemayel parla, a un'altra minoranza, infinitamente più vulnerabile, che un altro governo negli Anni 30 accusò duramente per i suoi presunti torti. I palestinesi diedero un contributo sostanziale alla sanguinosissima guerra civile, ma il punto di vista storico di Gemayel é nondimeno molto singolare. Parla della Costituzione libanese. degli eguali diritti per le varie comunità religiose, della libertà d'espressione che ogni uomo o donna — musulmani e cristiani — hanno in Libano, dove ogni uomo e un fratello per l'altro uomo, senza distinzio¬ ni. Da ciò che dice, si potrebbe pensare che trentamila libanesi non siano stati massacrati, sette anni fa, in una guerra civile fanatica e settaria. Il mondo che Gemayel descrive sembra esistere soltanto nel suo ufficio pieno di insegne falangista e con la vecchia fotografia di giornale appesa al muro. Fuori, nelle strade, rovine, buche, avvisi a guidare veloci intorno al porto, perché i cecchini sono di nuovo al lavoro. Pochi passi più in là un ufficiale falangista — troppo giovane per ricordare che la seconda guerra mondiale rese gli Anni 30 una semplice parentesi della storia, fa un cenno di arrivederci sorridendo Robert Fisk Copyright ' The Tintevi e |xt Titilliti il*' Stampai)