Le pillole miracolose del Dalai Lama di Vittorio Zucconi
Le pillole miracolose del Dalai Lama Il capo dei tibetani in esilio le ha mandate «al compagno Breznev» Le pillole miracolose del Dalai Lama DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — Da quest'Asia ingrata che tante amarezze politico-militari le ha dato, alza infine una mano benedicente verso l'Unione Sovietica e la sua guida antica, Leonid Ilych Breznev. Per lui, monaci solerti e agili come capre hanno attraversato valli profonde e scalato montagne impervie, tra i «settemila» dcll'Himalaya occidentale. Con mani sapienti hanno raccolto all'alba, come vuole l'antica legge, erbe rarissime e bacche segrete. In lunghe notti di preghiera e di lavoro, hanno tritato, tagliato, impastato e seccato, secondo ricette note soltanto ai puri, confezionando pillole rozze ma, garantisce la fede, capaci di ogni miracolo, e in una piccola scatola d'avorio, finemente cesellata, hanno spedito il rutto a Leonid Breznev, c/o il Cremlino, Mosca, Urss. E' il Dalai Lama in perso¬ na, il mittente. Il re-dio in esilio del Tibet, annesso dai cinesi, tende la mano al segretariodio del Partito comunista sovietico, in uno scambio implicito, ma molto chiaro: i monaci offrono la salute in cambio di una Nazione, obiettivi entrambi non facilmente ottenibili, date le circostanze. Ma nella lettera di accompagnamento, il Dalai Lama e categorico: «Queste mediane d'erbe — spiega nelle istruzioni e modalità d'uso — possono curare ogni malattia cronica o acuta, tutte le forme di avvelenamento, gli stati di confusione mentale e depressione nervosa, i mah' non diagnosticabili». E' esattamente quel che occorre a Breznev, al quale, con l'eccezione dei mali della prima infanzia e pucrperali, l'intera gamma della patologia medica è stata attribuita. Cinquanta monaci, guidati dal medico personale del Lama, hanno lavorato due mesi per confezionare le pillole miracolose, spiega a Nuova Delhi un portavoce dei tibetani in esilio, costretti a vivere nel Punjab, in India, dal 1959, quando lasciarono la Cina, e che inutilmente un altro Lama, rimasto in Tibet-Cina, invita a ritornare a casa. Il sant'uomo vuol ritornare solo in una terra «indipendente e sovrana», per questo ha deciso di salvare la vita a Breznev, «nemico dei suoi nemici», i cinesi. La lettera che accompa- gna le pillole lo dice apertamente: «Affinché lei possa ristabilirsi e visitare in futuro il nostro Tibet tornato nazione indipendente». Mentre l'intestazione cancella ogni dubbio su quale scelta di campo abbia compiuto il re-dio: è indirizzata al «caro compagno Breznev». Insomma il «vento della storia» che ha soffiato contro la grande nave dell'Urss, in Gna, '.n Afghanistan, in Cambogia, che in Asia prima che altrove ha lacerato il sogno dell'unità proletaria internazionale, con la rottura cinese, ora propone un'alleanza imprevista, fondata sulle pillole, fra il «compagno Lama» (Dalai) e il «compagno Breznev». Per l'Urss sempre costretta «a cavallo fra l'Europa e l'Asia», come diceva Lenin, forse la partita continentale non è ancora perduta. Certo non manca ormai quasi più nessuno all'appello di guaritori accorsi al capezzale del settantacinquenne Leonid. Il Dalai Lama entra in un elenco oscuro e fittissimo, tra medium georgiane (la misteriosa Zhuna Davitashvili) e luminari tedeschi e americani che misteriosamente atterrano a Mosca e poi ripartono senza parlare con nessuno, carichi di ricche parcelle c matriosche ricordo. Ma queste medicine tibetane hanno un fondo politico velenoso: se davvero restituissero a Breznev la salute, l'Urss sarebbe obbligata a restituire il Tibet al Lama, togliendolo di forza ai cinesi? Non è uno scherzo, e i tibetani sono gente permalosissima. O si tradisce il Lama o si fa la guerra ai cinesi. Troppo ri-' schioso: abbiamo la certezza che le miracolose pillole dcll'Himalaya si stanno già sciogliendo nelle acque discrete della Moscova. Vittorio Zucconi
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