Prezzolini, avventuriero della penna

Prezzolini, avventuriero della penna Prezzolini, avventuriero della penna Tutta là sua opera si è svolta all'insegna del non-conformismo - Amico di Giovanni Papini, fondò con lui il «Leonardo» e diresse la «Voce» - Amico di Benedetto Croce, scrisse libri su Giovanni Amendola e su Benito Mussolini - Per vent'anni negli Stati Uniti, fu ambasciatore della nostra cultura storico-letteraria - Tornato in Europa, aveva scelto di vivere a Lugano - Lascia il suo patrimonio di libri e documenti alla Biblioteca cantonale La lunghissima storia di Giuseppe Prezzolini comincia nel 1882, nel Regno d'Italia. Trento e Trieste fanno ancora felicemente parte dell'Impero absburgico. Roma è capitale da poco più di un decennio; sul trono, al Quirinale, c'è da quattro anni Umberto I. Il padre di Prezzolini è un altissimo funzionario del regno, un prefetto; toscano, passa attraverso vari uffici in varie città. Il figlio gli nasce a Perugia. Il prefetto Prezzolini è una persona colta. Tra i primi ricordi d'infamia di Giuseppe Prezzolini ci sono le preseme fisiche di Giosuè Carducci e di Edmondo De Amicis, amici e ospiti del padre. Nel 1882, anno in cui nasce Giuseppe Prezzolini, Stevenson pubblica L'isola del tesoro, JVietzsche La gaia scienza. Per esser nato figlio di prefetto in quella die si chiamerà «l'Italietta», Prezzolini si difende bene. Resta presto orfano, interrompe gli studi con atto da ribelle, fa l'autodidatta con un certo stile. Prima dei trent'anni è già famoso: sta a Firenze (cìie era allora V«Atene d'Italia», e lo resterà fino al secondo dopoguerra, o forse fino all'alluvione del 1966), è amico di Giovanni Papini, fonda con lui il Leonardo (1903), fonda La voce (1908) e la dirige quasi ininterrottamente fino al 1914. E' amico di Benedetto Croce; è, grosso modo, idealista. Scrive libri sul modernismo e sul sindacalismo, sui mistici tedeschi e sul nazionalismo. Ha fatto qualche viaggio a Parigi. Quando scoppia la prima guerra mondiale, e parte volontario, nel 1915, potrebbe anche morire: avrebbe già un posto nella storia della cultura italiana. Non muore. Comincia ad avere dei dubbi sulla bontà del fatto di aver voluto la guerra. Non si nega nessun dubbio. In uno stesso anno, il 1925, pubblica, oltre a molti articoli e saggi, quattro libri: uno su Giovanni Amendola, uno su Benito Mussolini, uno su Niccolò Machiavelli, e uno, in francese, sul fascismo. Lo accusc.no di essere fascista. Probabilmente è antifascista, a modo suo. Di fatto, né combatte apertamente il fascismo, né riesce a pensare ad altro. Questo limite, di non saper uscire da un certo groviglio di pensieri, verso i quali non na- sconde di nutrire dispetto e disprezzo, segna un'altra fetta della sua vita: quella americana. Nel 1929 infatti lascia l'Europa, si stabilisce a New York, insegna per vent'anni alla Columbia University. Pensare cos'era New York dal 29 al '49 è più facile che pensare cos'era Perugia nel 1882. Prezzolini si comporta come se fosse a Perugia nel 1882, o a Firenze negli Anni 10. Il suo lavoro newyorkese più importante è un Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana in quattro volumi. Per raccontare qualcosa ai suoi generosi ospiti scrive The Italian Legacy (1948), tradotto in italiano col titolo L'Italia finisce, ecco quel che resta. Si avvicina ai settant'anni, potrebbe costruirsi la maschera del vecchietto spiritoso, scrive un libro sulla giusta cottura del maccherone. Ma resta invece legato a un certo cliché di intellettuale 'impegnato»; continua a parlare di vicende culturali e politiche, morali e storiche. Si comincia a intervistarlo. Comincia a definirsi «anarchico-conservatore ». Coniincia a fare anche sui ricordi della propria giovinezza, sempre più lontana, lavori bibliografici, analoghi al Repertorio che aveva fatto per la storia e la critica della letteratura italiana. I suoi archivi, restati in Italia, sono sfuggiti alle distruzioni della seconda guerra mondiale, vengono ritrovati, e Prezzolini ne cava un libro, Il tempo della Voce, die è forse il suo migliore. E' una curiosa -coedizione:, Longanesi-Vallecchi, datata Milano-Firenze 1960. Il 1960 è anche l'anno in cui l'editore Einaudi comincia a pubblicare una serie di grossi volumi intitolati La cultura italiana del '900 attraverso le riviste. / primi cinque volumi ruotano attorno al lavoro di Prezzolini come «organizzatore culturale» (ormai si dice cosi>: cominciano con Leonardo e finiscono con La Voce. Afa il sesto volume è dedicato a L'ordine nuovo, la rivista di Antonio Gramsci. E' diffusa la convinzione che la cultura italiana vada studiata e proseguita in termini gramsciani. Che il Prezzolini del Leonardo e della Voce. 1903-1914, sia ancora vivo, risulta una irrilevante curiosità. E Prezzolini non muore. Tornato in Europa, si stabilisce a Lugano. Riesce a far scandalo la notizia che Prezzolini lascia tutti i suoi libri e tutte le sue carte alla Biblio¬ teca Cantonale di Lugano perché delle biblioteche italiane non si fida. Che Prezzolini possa esser considerato, come uomo vivente e come personaggio storico, «uno di destra», comincia a perder senso. A parte la curiosità, sempre più morbosa, per la sua lucida longevità, comincia a diffondersi una sincera ammirazione per la sua indipendenza, per il suo gusto di bastian contrario. Il papa Paolo VI gli suggerisce un'idea eccellente: perché non si converte? Sarebbe stata per Prezzolini una grande occasione per pensare e scrivere cose nuove, per inventare un 'Prezzolini ultima fase, che rivoltasse e scardinasse tutte le fasi precedenti. Ma Prezzolini non se l'è sentita di convertirsi, come a New York nel 1929-49 non se l'è sentita di abbandonare i suoi studi di storia e critica della letteratura italiana. E' rimasto fedele al suo personaggio. In un certo senso, pur con le sue vicende da «avventuriero della penna», è rimasto fedele alla figura del figlio del prefetto che conosce da bambino Carducci e De Amicis. Ci vorrebbe un'altra vita, quasi lunga come la sua, per leggere tutto quello che Prezzolini ha scritto. Già lunghe ore in archivio sono necessarie solo per leggere i •coccodrilli» die si sono accumulati nei decenni nella cartelletta «Prezzolini, Giuseppe». I «coccodrilli», come registrò per primo il Migliorini nell'appendice del 1950 al Dizionario moderno del Panzini, soi o «biografie di personaggi viventi, aggiornate di continuo e disponibili nell'archivio di un giornale per una improvvisa pubblicazione, specialmente in caso di morte». Nel 1950 Prezzolini aveva 68 anni, dal 1950 son passati più di 30 anni. Combattente di (ante battaglie e autore di tante storie, autore di tanti libri e compilatore di tanti repertori, storico e repertorista di se stesso, Prezzolini non ha mai scritto «coccodrilli», frettolosi e impersonali passaporti per il cimitero, né per altri né per sé. Ha lasciato che i vari Prezzolini che gli capitava di essere, continuando a vivere, non morendo mai, si annidassero uno nell'altro come barnboline russe, sema mai pretendere di trovare l'ultima, «definitiva». Prezzolini non sarà arrivato ad avere pensieri altissimi e diversi, non si è convertito e non ha deciso di saltar allo studio della fisica nucleare o della regìa cinematografica, ma ha sempre avuto una straordinaria pulizia con le notizie e le vicende quotidiane, sue e altrui, pur essendogli toccato di vìvere e vedere vicende punto belle. Stendhal si faceva la barba tutte le mattine, anche durante la ritirata di Russia. Prezzolini ha scritto una pagina molto bella, stendhaliana, sul modo di tenere un diario, cioè di vivere scrivendo giorno per giorno: «La forma diaristica mi attrae: ha l'aria semplice di chi non si dà importanza. In veste da camera, evidentemente, sarebbe ridicolo parlare con affettazione e pompa. Poi è genere che richiede contrazioni di mezzi e quindi esclude lungaggini, preamboli, perorazioni e direi quasi che invita a prender come modello le note dell'ingegnere, del medico e magari la lista di spese della massaia. E' forma sbrigativa, che fa uso volentieri di abbreviazioni e di scorciatole di espressione. Però, a differenza di altre concentrazioni, vuole chiarezza». Giampaolo Dossena HHKlliiii Firenze. Prezzolini (secondo da sinistra) negli Anni 50, a una bancarella davanti a Palazzo Davanzati, dove nel 1903 con Papini fondò il «Leonardo» Roma. L'incontro fra il presidente Pertini e Prezzolini al Quirinale, il 14 gennaio scorso, in occasione della consegna del Premio «Penna d'Oro» allo scrittore che compiva cent'anni