Allo stadio il dionisiaco delegato

Allo stadio il dionisiaco delegato Allo stadio il dionisiaco delegato Esperienza è aspettarsi qualcosa e trovare die invece è tutto diverso. In questo senso, anzitutto, lo spettacolo dei Rolling Stones è stato una grande esperienza. Anche se molta della retorica liberatorìo-contestataria del rock Anni Sessanta è ormai consumata, dai concerti rock ci si aspetta sempre qualcosa di più che il semplice prodotto-musica. Questo vale d'altra parte per ogni tipo di concerto, ancfie il più tradizionale del più elitario quartetto: giacché il puro prodottomusica, se no, si può ascoltarlo con molto più agio a casa propria con un buon apparecchio ad alta fedeltà. Nel concerto c'è un elemento di evento e di spettacolo che proprio il rock ha esaltato e intensificato al massimo, caricandolo di contenuti ideologici legati alla stagione del movimento giovanile dì quindici anni fa. Il rock e i suoi divi si presentavano come il sinonimo dello scatenarsi di tutti gli elementi liberatori della musica, con annessi dama, colori, luci, elementi tattili — la vicinanza fisica, e in più, come nel torrido stadio torinese, l'agio della nudità: molto di quello che Nietzsche chiamava l'eie- Torino. Mick Jagger, il volto segnato dalla fatica, lunedi sera durante il secondo concerto dei Rolling Stones allo Stadio Comunale (. La Stampa-P. De Marchis) spettacolo dei Rolling Stones. Come ci si aspettava, dunque. Con la variante die forse mai come l'altra sera allo stadio si è avuta l'impressione di un dionisiaco totalmente delegato: di contro al grande ritmo di musica e di movi- mento del complesso rock il pubblico appariva, sia pur relativamente, immobile. Molto più immobile, per intenderci, e infinitamente meno «creativo» e fantasioso, delle masse di tifosi (sempre vituperate come passive) die hanno affollato le piazze italiane nelle sere delle vittorie della nazionale di calcio. Quelli die stavano a sentire i Rolling Stones erano, nel più pieno senso della parola, spettatori. Nella situazione della grande fantasmagoria ispirata andie, o anzitutto, all'ideologia della liberazione — e dunque mirante a trasformare lo spettatore in attore che partecipa in prima persona — lo spettacolo nel suo significato più tradizionale riacquista paradossalmente tutti i suoi diritti. Gli ideologi del rock liberatorio, della sua funzione di contestazione e di rivolta, guardano con amarezza e spirito polemico al suo ridursi entro gli sdiemi dello show business, dello spettacolo industrializzato. Ma la cosa ha una sua logica che non si riduce al riflusso e alla deprecata restaurazione dei meccanismi capitalistici. Proprio la grande funzione liberatoria attribuita ideologicamente al rock ha condotto ad esaltarne gli elementi spettacolari; i quali costano, richiedono scenografie, apparecchiature, pubblicità: qui trionfa dunque il business. che ha bisogno di grandi masse di spettatori paganti. In massa, poi. gli spettatori subiscono naturalmente un processo di passivizzazione, che allontana ulteriormente il momento della mitica liberazione delle loro energie: dove c'è tanta gente ci vuole un rigoroso servizio d'ordine, si arriva allo stadio attraverso sbarramenti e defatiganti controlli; occorrono posti di pronto soccorso per i collassi improvvisi, bisogna mettere a punto scenografie e apparecchiature complicate, ci sono un'infinità di tempi morti... Quando Mick Jagger e i suoi compaiono sulla scena molte delle energie da «liberare» si sono già tranquillamente consumate: nel procurarsi l'acqua, nel farsi spazio per il sacco a pelo, nell'ingannare in qualche modo l'attesa. Nel pubblico prevale un atteggiamento contemplativo, grandi movimenti non ce ne sono, se non dei pochi che corrono per inseguire Jagger nei suoi spostamenti lungo la megapasserella e per vederlo più da vicino, tutto come nel più classico spettacolo di rivista... Entusiasmi un poco più intensi solo alla fine, quando Jagger chiama in soccorso il calcio, si veste con la maglia azzurra di Paolo Rossi, si drappeggia nel tricolore; quando si vedono sul grande schermo i gol della nazionale a Madrid e risuona, mentre scoppiano fuochi d'artificio bianco rosso verdi, l'inno nazionale (non eseguito dagli Stones, tuttavia.')... Il che, bisogna convenirne, è un altro ben marcato paradosso: le nozze del rock con il calcio — due mondi le cui «tribù» si sono spesso guardate in cagnesco, e certo per lo più si sono ignorate, separate da abissi di provenienza ideologica e di costume intellettuale. Sarà un caso, dovuto alla straordinaria con¬ giuntura di questa fortunata estate; ma probabilmente anche un fatto più profondo e sintomatico, la vocazione dello show a ritrovarsi tale, sia sui campi di calcio che negli stadi trasformati in platee rock, di là da ogni aspettativa ideologica di rottura delle barriere tra attori e pubblico, tra impulso e regola, tra «vita» e «forma»... Jagger è Jagger, Paolo Rossi è Paolo Rossi, le loro «prestazioni» non sono le nostre, ed è inutile die vogliamo negare il «principio di prestazione». Possiamo solo essere spettatori, qui, guardare, delegare Rolling Stones e calciatori a rappresentarci nel gioco della vittoria e della li¬ berazione. Non c'è nulla di lamen tevole, in ciò; forse proprio qui, nella capacità di uscire dal sogno di una mitica — e quasi certamente oppressiva — ricomposizione di luna umanità intera e piena (tutti grandi musici, grandi calciatori, tutti di volta in volta pescatori artisti matematici, senza divisioni né specializzazioni alienanti) — in questa capacità sta forse la nostra ultima possibilità dionisiaca... Gianni Vattimo (Altri servizi sui Rolling Stones: in Cronaca il bilancio delle giornate torinesi: alla I pagina degli spettacoli notizie J sul concerto di Napoli). mento dionisiaco della musica, che Wagner mitizzava sotto il nome di arte totale e die Adorno ha bollato come l'aspetto fantasmagorico (e demoniaco) dell'arte nella civiltà di massa — tutto questo c'era in dosi massicce nello

Luoghi citati: Madrid, Napoli, Torino