A colloquio con il «mago» di Tarquinia, 49 anni (otto di carcere), sei figli, proprietario di una tenuta di Remo Lugli

A colloquio con il «mago» di Tarquinia, 49 anni (otto di carcere), sei figli, proprietario di una tenuta A colloquio con il «mago» di Tarquinia, 49 anni (otto di carcere), sei figli, proprietario di una tenuta «Il mio mestiere di tombarolo» «Non faccio questo lavoro per il denaro, ma per amore del pezzo antico» - «Gli archeologi conosceranno tante cose dei libri, ma sul terreno non sanno muoversi: perché non chiedono la nostra collaborazione, pagando il servizio?» - «Sarei felice di vedere questi tesori nei musei» - Gli acquirenti fissi - Un mercato in crisi DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TARQUINIA — E' soprannominato «il mago». Luigi Perticarari, 49 anni, sei figli, proprietario («A/a devo ancora pagare 80 milioni») di una tenuta modello, pescheto e %'lgneto. Ogni tanto alle pesche e all'uva devono pensare i suoi congiunti, lui si deve assentare, giocoforza. Ha già scontato, in varie riprese, otto anni di carcere, è uscito in aprile dopo quattro mesi fatti senza essere condannato.«JJ giudice ce l'ha con me». Il «mago»sl vanta: «Si, sono tombarolo, però non m'Iianno mai pescato dentro una tomba, mi hanno trovato in casa dei vasi, questo sì; l'ultima volta duecento: in una sola notte ne avevo trovati cento, in un'altra venticinque. Uno dei miei figli alzandosi al mattino e vedendo cento vasi in casa aveva detto: "Clie culo, stanotte, il papà". E io gli aveva ribattuto: "Devi dire che intelligenza e che fatica"». Per lui la scoperta di una tomba è un bene impagabile. «Non mi crederete, ma io non faccio questo lavoro per il denaro, ma per amore del pezzo antico, della sua scoperta. La mia più grande gioia non è nel vendere, ma nel trovare». ■ Parla con tono di sufficienza degli archeologi, li giudica In molti casi impreparati, incompetenti. «Con la mia esperiènza trentennale sono in grado, ancor prima di aprire una tomba, di sapere di che secolo è e di intuire die cosa contiene. Davanti a un qualsiasi vaso o altro oggetto so direl'epoca, la provenienza». La sua arma è il furino o spillo: un tondino d'acciaio grosso quanto un mignolo, appuntito, alto un metro e trenta, che ha per manico un pezzo di tubo di ferro posto trasversalmente. Il furino viene piantato nel terreno, lo si preme, lo si fa girare fin che non è sceso tutto. Questo per venti, cento, duecento volte in una notte. Un lavoro faticosissimo; «e si fa ancor più fatica ad entrarlo che a piantarlo». Lo spillo penetrando nel tufo a un certo punto dà un segnale. Spiega il «mago»: «Gli Etruschi scavavano una discesa nella terra poi, a una certa profondità, già nel tufo, estraevano il materiale fino a creare una camera sottoterra. Dopo che nella tomba era stata messa la salma o le ceneri del defunto, la discesa veniva riempita con il tufo pressato. Il mio furino scende in profondità, quando arriva a trovare il materiale di riempimento di una discesa, anche se non c'è differenza tra la sua durezza e quella della terra attorno, mi avverte con un suono diverso». E' una questione di sensibilità. Continua Perticarari: Quando so di essere su una discesa, con ripetuti assaggi, posso delimitare la larghezza e quindi conoscerne l'epoca (ad esempio, se è di 00-70 cm è romana, se di 2-3 o anche 4 metri è arcaica, dell'8" o T secolo a. C). Posso sapere qual è con esattezza il punto in cui si trova il lastrone che copre la porta d'accesso e li basta uno scavo, a pozzo, per scendere nella tomba. Una ricerca con felice conclusione può durare 6-8 ore». Gli chiedo se è vero, come si racconta, che a volte si vedono cadaveri e tessuti intatti che poi si polverizzano dopo pochi minuti al contatto con l'aria. «No assolutamente. Un cadavere può essere mummificato e in questo caso lo rimane. In genere ci sono solo scheletro e polvere». Solitamente gli Etruschi nelle tombe- di famiglia cremavano 1 primi morti e mettevano le ceneri nelle urne; l'ultimo morto lo lasciavano col corpo intatto e al momento della chiusura mettevano nella tomba un braciere oppure un animale come una volpe, un gatto, perché si consumasse tutto l'ossigeno, convinti che la salma si conservasse meglio. Perticarari è pronto a scommettere di saper trovare in poche ore una tomba. «Conosco questa terra come le mie tasche, di qualsiasi appezzamento posso dire se ci sono o non ci sono sepolcri». Ed eccolo a tirare le somme. «Perché questo accanimento contro i tombaroli? — si chiede —. Perché gli archeologi, i quali conoscono tante cose dei libri, ma sul terreno non sanno muoversi e anche dai'anti a certi pezzi non sono in grado di dire due parole giuste, non si decidono a chiedere la mia o la nostra collaborazione offrendo per questi servizi il giusto? Io sarei felice di vedere queste cose andare al museo e non all'estero come spesso accade. La legge stabilisce che chi trova un pezzo d'archeologia ha diritto al 25% del suo valore. Ma deve essere una valutazione giusta. Se io porlo un vaso che può valere centomila lire mi offrono 1500 lire. E' ridicolo. Nel '62 scoprii una tomba del 5" secolo, dipinta in modo straordinario. Andai dal sovraintendente, gliela descrissi. Valeva due milioni, mi promise 500 mila lire. Accettai, gli indicai la tomba e lui mi fece avere l'assegno, ma era di 50 mila lire non di 500 mila». Parlo con altri. Qual è il giro della profanazione clande¬ stina, oggi? Negli Anni Sessanta, nella sola Tarquinia i tombaroli saranno stati oltre cento, divisi in squadre dai quattro ai dieci uomini. Adesso non dovrebbero essere più di venti. A Cerveteri erano arrivati ad essere duecento, oggi una quindicina. C'è meno richiesta, «anclie perché esiste una proliferazione del falso che rende cauti gli acquirenti. Il reperto bello, il vaso policromo e figurativo greco, la collana d'oro o di bronzo, il bucchero cinerario arcaico non iienqono venduti al turista che arriva e incomincia a bisbigliare al primo che gli capita per dirgli che è intenzionato a comperare un pezzo». CI sono acquirenti ormai (Issi, di Roma, di Milano ecc.: un colpo di telefono e l'affare è latto, il pezzo finisce in casa di qualche collezionista nostrano o straniero. Ma capita anche che l'appassionato italiano non voglia correre rischi. Allora si ricorre alla «operazione verginità». Il vaso viene portato in Svizzera dove 11 commercio d'archeologia è Ubero. Va all'asta, e qui il committente lo compera per poi importarlo corredato della relativa documentazione di autenticità. Dice la soprintendente dottoressa Pelagatti: -Noi teniamo particolarmente d'occhio le aste svizzere per avere una idea di quanto e di cosa viene sottratto dalle nostre tombe. Infatti molti di quegli oggetti provengono dall'Etrurìa». La lotta ai tombaroli è tenace, ma dura. Se ne occupano 1 carabinieri di tutte le stazioni, che per questo compito lanuti capo al Nucleo tutela patrimonio artistico di Roma (nel '79 recuperati 1686 pezzi, nell'80 4349, nell'81 1727); e se ne occupano, con speciali nuclei, i tinanzierl. Vanno anche di notte, in pattuglia, per i campi. Ma cercare un tombarolo al lavoro è come cercare un ago in un pagliaio. E certi tombaroli hanno anche i cannocchiali a raggi infrarossi, controllano la campagna circostante come se fosse giorno. Al primi di giugno a Monterozzi, nei dintorni di Tarquinia, una pattuglia ne ha sorpreso uno al lavoro, che però è luggito. La Soprintendenza, messa sull'avviso, ha iniziato una campagna di ricerche in quella zona e ha trovato altre dieci tombe. Ma erano già state tutte spogliate. Remo Lugli

Persone citate: Devi, Pelagatti

Luoghi citati: Cerveteri, Milano, Roma, Svizzera, Tarquinia