Là dove trionfò la Balilla

Là dove trionfò la Balilla Alia fabbrica del Lingotto con gli occhi del visitatore ignaro Là dove trionfò la Balilla Sarà chiusa entro l'anno la struttura, definita «prototipo di nuova architettura» e che accompagnò Jojvilupj^e^ già fiorisce la leggenda Fu definito -simbolo di una nuova, èra», -prototipo dì una nuova architettura»; qualcuno parlò di «opera d'arte veramante monumentale, unica al mondo», e un ignoto cronista annotò nel 1923: -Il panorama di Torino è cambiato. Citi oggi lo contempla dalle alture di Superga o dei Cappuccini si sentirà attratto e sorpreso, guarderà trasognato la mole immane, oltre le dimensioni umane, non mal vista, che gli si protende dinanzi come un portentoso gradino per dar la scalata all'Alpe lontana...». Il Lingotto, allora una barriera di prati, cedeva nome e lama alla sua fabbrica che ne sarebbe diventata simbolo; si circondava di case e si inorgogliva di speranze. Quasi sessant'anni dopo, ai giorni nostri, la vita di Lingotto si sta esaurendo. Sulla fabbrica hanno infierito tecnologia e progresso, la città l'ha strozzata al suo interno tra case e ferrovia. Entro la' fine di quest'anno le sue porte si chiuderanno alle spalle dell'ultima uscita degli operai rimasti. Uomini eminenti E ci si pone il problema del futuro di un'area che è stata fulcro di storia e di lavoro e potrebbe ora autodistruggersi nel trascorrere inesorabile del tempo. Uomini eminenti, architetti, ingegneri, studiosi internazionali sono chiamati a raccolta sia dalla Fiat sia dal Comune di Torino in un pubblico concorso; ne discutono i politici; si tentano progetti. Qualcuno propone che la Fiat-Lingotto diventi museo; altri preferiscono che sia struttura utile, viva, aperta; c'è anche chi suggerisce di non toccare nulla, di lasciare tutto intatto, perché i tempi maturino per la riscoperta di una archeologia industriale Ma tra tante parole e illu-, «ioni, com'è, oggi, la fabbrica di Lingotto? Che cosa offre agli occhi del visitatore ignaro? Nella palazzina che precede la fabbrica e ne è separata da un cortile interno, lo scalone centrale divide l'edificio in due ali di uffici. Al primo piano si spalanca !a sala del consiglio; «E' cosi com'era allora — sottolinea la guida* con orgoglio — qui veniva il senatore Giovanni AgJiclll; c'è chi si ricorda che appena arrivava al Lingotto, salendo i gradini esterni, spegneva la sua pipa: doveva essere di esempio; qui non si può fumare». I lampadari in ferro battuto diffondono una luce tenue; le pareti in damasco e pannelli di radica arricchite da grandi librerie a vetri clr (ondano l'enorme tavolo intarsiato sul quale la fabbrica ha discusso il suo sviluppo in tanti anni di attività. Arrivi al terzo piano e In un ufficio laterale, ormai deserto, scopri una scala a chiocciola in cemento armato, una firma d'autore del progettista Matte-Trucco, definita da '-■sporti «scultura colata in cemento», non fine a se stessa ma utile per un rapido collegamento in verticale che è un po' il leit motiv di tutte le strutture di Lingotto. Sul tetto piano lo sguardo s'allarga sulle colline da un lato, proprio in fronte alla Maddalena, e raggiunge, dall'altro, la catena delle Alpi. Appena al di là della via Nizza le prime case del Lingotto sembrano oggi piccole e modeste rispetto alla selva di moderni condomini che s'estende attorno a perdita d'occhio, anche oltre la ferrovia. Tutto in verticale «JSro una struttura avveniristica — commenta l'accompagnatore che a Lingotto ha trascorso gli anni migliori della gioventù — tutto era In verticale, t pezzi passavano da un plano all'altro con II montacarichi. Proprio questi spazi adesso hanno reso difficile II rinnovamento tecnologico». E lo sguardo va alla fabbrica, cinque piani in cemento armato, enormi vetrate; qui sono nati e si sono sviluppati i primi importanti movimenti operai; qui 1 lavoratori hanno difeso la fabbrica bombardata nell'insurrezione della Resistenza. Poi, anni di lavoro duro alla catena di montaggio, storie di vite, di sacrifici e di fatica. Adesso è silenzio. I giganti delle presse tacciono senza più colpi. Il pavimento a blocchetti di legno, che ogni giorno squadre raschiavano a nuovo con rulli di spazzole, è annerito e unto. Sulla rampa elicoidale, «dove era traffico convulso coinè oggi nel centro, città», il rombo dell'auto si perde, solitario. Sono al lavoro ancora un migliaio di operai, ma gli enormi ambienti hanno aria di smobilitazione. I tempi della Balilla sono leggenda, ma anche quelli della 500, della 600, della 1100, della 850 coupé affondano nel passato. «L'ultima vettura che si faceva era la Delta». La linea acrea con i ganci dove le scocche si muovevano piano piano è l'ultima rimasta in attesa di esser smontata e recuperata altrove. Sbaglia chi s'illudeva che all'interno del Lingotto fosse sopravvissuto fino ad oggi il passato più glorioso dell'auto. A 27 metri d'altezza dal suolo, in un rincorrersi di anfratti, di «trlbunette laterali», di lucernari e di scalette, la pista lunga circa un chilometro è ancora oggi «un monumento unico alla civiltà del movimento». «Eravamo tutti spericolati» afferma Alberto Rostagno, collaudatore di sperimentazione, entrato al Lingotto nel '45, appena uscito dalle file del partigiani. Ricorda che la prova di collaudo in pista «era una gara scatcììata; nei giunti del cemento si mettevano striscioline di carta; era bravo chi, In corsa, riusciva a prenderle allungando la mano». Racconta di come si spaventavano i visitatori, quando il collaudatore fermava l'auto nella parte più alta della curva parabolica della pista e la macchina, tutta piegata su un lato, cigolava nello sforzo di restare ancorata al cernente. Presto sui circa 300 mila metri quadri dell'area del Lingotto il silenzio sarà completo. Sarà il momento, alloca, di riscoprirla, per l'utilità di tutti. Simonetta Conti

Persone citate: Alberto Rostagno, Giovanni Agjiclll, Simonetta Conti

Luoghi citati: Comune Di Torino, Torino