Storia di una città e di un cammello a due gobbe: mondo cattolico e industria

Storia di una città e di un cammello a due gobbe: mondo cattolico e industria Parole in libertà del filosofo Emanuele Severino, bresciano d'adozione Storia di una città e di un cammello a due gobbe: mondo cattolico e industria Abbiamo chiesto a Emanuele Severino di parlarci della sua esperienza di cose bresciane. Dicendo di voler parlare "alla buona", il filosofo ci ha dato la risposta che segue. In un bel film, Nino Manfredi, emigrato meridionale in Svizzera, cede a un certo momento alle vessazioni degli indigeni, si fa diventare biondi i capelli e tenta di parlare solo in tedesco, lo, invece, da ragazzo, facevo tutto il contrario. Mia madre era. brescianissima, ma mio padre era di Mineo e la sua famiglia era amica di quella di Luigi Capuana e per me era una questione di prestigio essere nato in Sicilia. Lo sostenevo con tutti, arrossendo poi di vergogna quando, alla consegna delle pagelle scplastiche, ricche di dati anagrafici, saltava fuori che invece ero irrimediabilmente nato a Brescia. A quindici anni ero però già soddisfatto della mia condizione etnica di incrocio, anche perché avevo saputo che gli incroci sono i migliori. Ma già ■questo episodio dimostra come a Brescia, a differenza della Svizzera, un ragazzo potesse vivere bene pur vantandosi di essere nato in Sicilia. Certo, do allora ' molte cose sono cambiate, ma la sostanza di quel mio antico rapporto con Brescia è rimasta. A Brescia mi trovo a mio agio. Come il beduino si trova a suo agio sul suo cammello. Ce ne andiamo — lui ruminando, io guardando il deserto. Per quanto se ne sappia, il beduino e il cammello non si parlano mai. Brescia è un camelus bactrianus, cioè a due gobbe: il mondo cattolico e quello dell'industria, lo mi trovo a mio agio anche se non sto seduto su nessuna delle due. Sta però il fatto che dei bresciani so molto meno di quanto essi sappiano di me. E',quindi solo per modestia che mi sono trattenuto dal dire a La Stampa c,he sarebbe venuto fuori qualcosa di molto più interessante se invece di propormi di parlare della mia città avessero proposto a qualche mio concittadino di parlare di me. E' molto più facile stabilire che cosa sia a Brescia la ricchezza che non il cattolicesimo. Ma credo che questo avvenga dovunque. A Brescia ci sono moltissimi ricchi, molti ricchi cattolici, qualche cattolico ricco, qualche ricco non cattolico, un discreto numero di cattolici non ricchi, un numero per lo meno altrettanto discreto di non cattolici non ricchi, un numero troppo elevato di nuovi ricchi, cioè di operai .diventati padroni e che assommano i difetti degli operai a quelli dei padroni. Purtroppo essi si presentano agli occhi della gente come i modelli da imitare. Ce l'hanno fatta; e quelli che stanno ancora alla caténa di montaggio sognano di farcela allo stesso modo. A Brescia il fenomeno è vistoso. In Italia, la crisi del marxismo toglie di mezzo uno degli strumenti più validi per rendere meno idiota l'esistenza delle masse. A Brescia l'alternativa dovrebbe venire dal mondo cattolico. Ho compiuto i miei studi preuniversitari al Collegio Arici, dei gesuiti, dove già era stato studente il futuro papa Montini, il frutto migliore del cattolicesimo bresciano. Ma poi i gesuiti se ne sono andati, anche se quasi ogni settimana l'Associazione degli ex-alunni del Collegio mi manda una lettera per invitarmi alle loro riunioni (e colgo l'oc casione per ringraziarli e scusarmi delle mie assenze regolari). Ma a me è particolarmente caro il ricordo di don Zani, che insegnava teologia e filosofia nel seminario vescovile locale, a pochi passi da casa mia-Allora era proprio uh vecchio palazzo malandato e senza riscaldameli to. L'ultimo anno di guerra, vo tendo «saltare» la prima classe del liceo classico, ero andato da' lui a lezióne di filosofia. Mi riceveva nella sua stanzona, con uno scialle di lana nera sulle spalle, mite, grande, un vero filosofo, un formidabile tomista. Da lui ho imparato ad accostarmi alla filosofia. Slava seduto a un gran tavolo coperto da una grossa carta fissata con puntine da disegno, e parlando tracciava figure e sìmboli e parole sulla carta. Quando lo spazio era esaurito, spostava una pila di libri e riprendeva a parlare e a tracciare segni sullo spazio ricavato. Qualche anno fa un bel tipo di prete ex-parti giano mi propose di scrivere qualche pagina per un libretto dedicato a don Zani. Le scrissi, ma non ne ho sapulo più nulla. Dopo quell'anno di guerra non ci siamo più visti. Non ce n'era bisogno. Quando incominciai a scrivere i miei libri, mi faceva sapere il piacere che la loro lei tura gli aveva dato — anche quando andavano in una dire zione che lui non poteva segui re. Un uomo aperto. Oggi, mi sembra, l'apertura del mondo cattolico a Brescia è di tipo diverso. Un esempio (ma naturalmente ne esistono altri in direzione opposta). La primi pale libreria cattolica nel centro di Brescia, mi dicono, tiene in vetrina, da quando è uscita, una certa Lettera a un ragazzo sulla felicita, dove tra l'altro si dice ai ragazzi di non vergognarsi se si masturbano, porche è «come se un dovere fosse stato compiuto». Col tono confidenziale dei curadell'oratorio precisa: «Se guardi il liquido albuminoso che esce da te pel momento del piacere, vedi perché la vita li ricompensa con tanta gratitudine. Senza quel séme la razza umana si estinguerebbe» (p. 43). Comprendo che l'apertura mentale faccia prevedere l'uso di provette per la conservazione e l'utilizzazione genetica del séme sparso; comprendo meno come se la cavino i giovani cattolici che acquistano questo libro, quando apprendono che «Dio è stato in realtà partorito dall'anima malata di Adamo» (p. 103) e che «gli autori dei Vangeli hanno stravolto il significato dell'apparizione di Cristo» (p. 104). Non leggo 11 Giornale di Brescia; anche se nel 1946, quando avevo diciassette anni, vi scrivevo elzeviri. E' un giornale che in sostanza è in mano ai cattolici. Ma se è probabile che vi sia raccomandata la lettura di lettere come quella summenzionata, mi dicono che invece è certo che si comporta nei miei riguardi come le ragazze di campagna di una volta, che quando incontravano un uomo per strada abbassavano gli occhi e non aprivano bocca, pur sa pendo che la gente del vicinalo e del non vicinalo, anche quella cattolica, non ha complessi di questo genere. Questa riservatezza contadina nei miei riguardi mi dicono che sia avvertibile nella cerchia dei cattolici bresciani, alla quale la metafora di cui mi sono servito ha concesso un aspetto giovanile che invece non possiede nemmeno quando nelle sue li* breric espone le lettere sulla felicità (magari nascondendo necuratemenle Nietzsche o altri autori che pensano troppo). Ma se tutto questo non accadesse, il cammello non sareblx un cammello e io non sarei un beduino. Ma poi, si sa, tulle le metafore zoppicano (e purtroppo anche il cammello, .con la crisi economica, ha preso a zoppicare). Con Bruno Boni, il sindaco per antonomasia di Brescia, continuiamo a parlare di filosofia — una lunga e bella amicizia che da trenl'anni gira attorno alla filosofia. E come lui, cattolico e democristiano di grande intelligenza e con competenze matematiche e filosofiche da professore universitario vero, non ha difficoltà a dichiararsi sevcriniano, così io non ho alcuna difficoltà a dire che si traila di una delle poche persone, a Brescia, la cui compagnia mi sia di grande gradimento. Spesso parliamo di quel caro, vecchio, vero Maestro dell'Università Cattolica di Milano, che è Gustavo Bontadini, e delle lunga affettuosa polemica che si è intrecciala tra noi due sui problemi dell'essere e del niente. Se non mi ha tenuto nascosto qualcosa, l'ultima volta che Bontadini è venuto a Brescia è stato trenl'anni fa. Ma qui termino, perché non avendo più nulla da dire di Brescia (luogo di gloriose e tuttóra fiorenti tradizioni, leonessa, non cammello, all'avanguardia nel sistema di riscaldamento centralizzato), vedo clie sto incoini^ciq^do a parlar di Milano. V1 ■' Emanuele Severino