Dai bronzi dell'antico Capitolium al gioiello di Piazza della Loggia di Angelo Dragone

Dai bronzi dell'antico Capitolium al gioiello di Piazza della Loggia Un tuffo attraverso i secoli alla riscoperta dell'arte Dai bronzi dell'antico Capitolium al gioiello di Piazza della Loggia • Quando nella tarda età del toronzo, i liguri si insediarono ■■sulle alture del Cidnèo — ricordate poi dallo stessso nome romano di Brescia, Brixia (dal ligure «bric») — 1 Carmini, abitanti la vicina Valcamonica. avevano già lasciato documenti della propria vita e cultura in migliaia di graffiti rupestri databili tra il III e il I ^millennio a.C. » In una delle due epigrafi dedicatorie ritrovate fra i resti del Tempio eretto in età repubblicana è d'altra parte indicato il dio del luogo, Bergamo, nome di origine celtica la cui radice, «berg» (tuttora corrente in lingua tedesca) significa «zona elevata, monte». Soltanto nell'ultimo decennio prima dell'era volgare la Colonia Civica Augusta Brixia fece costruire sul Cidnèo un nuovo Tempio al Gemo. E se del primo (che è della .metà del I sec. a.C.) si sa d'una :decorazione pittorica parietale del «secondo stile» pompeiano, si devono datare intorno alla prima metà del secolo successivo alcuni reperti nel campo della scultura: le are parallelepipede funerarie Ornate con festoni e uccelli, 'tratte da Piazza della Vittoria, e quell'altra ara sepolcrale, cilindrica, con i ritratti di coniugi foggiati in pietra e la statua di uomo togato seduto di cui s'ornava una tomba sulla via di Cremona. Del cospicuo gruppo di bronzi ritrovati un secolo e niezzo fa nell'area dell'antico Capitolium i più antichi sono la Vittoria e il ritratto di dama (di incerta individuazione, tra Domizia Longina e Giulia figlia di Tito). I due baltei e il «Prigioniero» dovrebbero porsi intorno alla metà del II secolo, e verso la fine uno dei ritratti maschili mentre si è riconosciuta l'immagine di Probo, imperatore delle legioni di Egitto e di Siria, nei due più tardi bronzi dorati (276-282 d.C). . Di qui dunque preso avvio la storia dell'arte in Brescia; subito rincalzata dal sorgere delle prime chiese e da altri ' monumenti: dai sarcofaghi paleocristiani verso la metà ,^del_ IV secolo, j.Hq, stupendo pavone di S, Salvatóre, ri monastero fondato nel 753 da Desiderio, duca di Brescia e più tardi re dei Longobardi. ' Rare reliquie pittoriche, e non più di qualche scultura con i corali miniati (1331-35) per Giacomo de Actis. rimangono del periodo Comunale e di quello delle Signorie, quando si ebbe una fiorente attività edilizia ben documentata dal Duomo Vecchio (la «rotonda»), dalla chiesa di S. Francesco e dal Broletto. Iniziato sul finire del sec. XII, questo — oggetto di successivi interventi costruttivi — era costituito da un portico che sostiene sale e logge. Nella cappella, distrutta nel 1610, la decorazione era stata affrescata da Gentile da Fabriano. "*ÌUn polittico di Paolo Veneziano era presente fin dalla metà del Trecento in Ss. Cosina e Damiano (ora in Pinacoteca) mentre, agli inizi del Quattrocento, Cristoforo Scrosato era intento a miniare il codice degli Statuti di Brescia redatto nel .1429, operando in città anche il pittore cremonese Giovanni Bembo. Più tardi, con le prime testimonianze di una scultura rinascimentale (sarcofago di S. Paterio e trittico dei Ss. Onorio, Faustino e Giovita) lo spirito d'un autentico rinnovamento si manifestò con il pittore Bresciano Vincenzo Foppa che, mosso da un'esperienza tardogotica di ispirazione veronese, s'era poi formato in ambiente padovano. ";A lui guardarono quindi come ad un maestro anche i pittóri bresciani degli ultimi decenni del secolo, dal Farramo1$ al Civerchio e a Bartolomeo Montagna, ch'era originario di Orzinuovi. il cui stendardo era stato una delle ultime opere dipinte dal Foppa. I tempi erano d'altra parte maturi per più radicali mutamenti che potevano interessare la vita stessa della città. Nei primi sessant'anni del Cinquecento, stando ai registri notarili, Brescia non per c£so vide all'opera 102 pittori, 1Q7 lapicidi. 47 tra falegnami e iiltagliatori, 22 organari, 14 liutai e musici, 6 miniatori, 17 architetti, 19 scultori, 2 fonditori. 7 ingegneri. 2 maestri di vetrate, 1 pittore di maioliche faentino, 1 carrozziere e 512 «.marangoni», cioè maestri fascia. jSi pensò, tra l'altro, di creare, una nuova grande piazza ilei pressi della medioevale Pprta Bruciata, che doveve essere fronteggiata da numerosi edifici rinascimentali, dando cosi avvio ad un periodo di particolare rigoglio per l'architettura bresciana. .Può essere considerato il simbolo il Palazzo della Loggia, dal quale la piazza avrebbe preso il nome, divenuto tristemente famoso otto anni fa per la bomba che fece cento vittime tra i lavoratori bresciani: sei morti e novantaquattro feriti. L'edificio era stato iniziato nel 1492 da Filippo de' Grassi, ma nel 1508, quando s'era appena terminato il pianterreno — parzialmente porticato, con tre navate dalle volte a crociera — i lavori vennero sospési, mentre entro il 1504 era completata la costruzione dell'orologio della loggetta di Piazza Nuova, tra un rilancio edilizio che avrebbe visto sorgere molti dei moderni palazzi bresciani più significativi. Ricordiamo tra gli altri quello dei Martinengo da Barco (ora della Pinacoteca) e quello dei Porcellaga (via Cairoli, con affreschi del Romanino in facciata, andati poi persi), la sede del Magistrato della Mercanzia (ora della Facoltà di Economia e Commercio) e il palazzo del vescovo Mattia Ugoni in piazza del Foro. I lavori della Loggia, ripresi nel 1516, vennero ultimati nel 1574 con interventi del Sansovino e di Galeazzo Alessi, del Palladio-e di G. A. Rusconi; ma sempre diretti dall'architetto della città, Ludovico Beretta, Molte cose sarebbero ancora da ricordare su questo monumento a cominciare dalla sua decorazione plastica che venne riflettendo una «salda disciplina spaziale» coerente con l'architettura, come sottolineò Renata Stradotti nel ricostruire gli interventi in cui, sotto la direzione di Filip¬ po de' Grassi, si fecero apprezzare i lapidici comaschi, porlezzini e luganesi, oltre ai locali, sino alla ricostruzione della copertura ad attico realizzata, soltanto due secoli dopo, su progetto di Luigi Vanvltelli, cui segui nel 1914 l'attuale sistemazione secondo il presumibile progetto originale. Nel 1797, intanto, il leone di S. Marco ch'era in cima alla colonna, sulla piazza, cadde vittima della rivolta di Brescia contro la Repubblica veneta, seguendo nel 1821 la demolizione della stessa colonna che l'aveva sorretto. Chiese e Palazzi s'erano nel frattempo ornati di dipinti, molti dei quali dovuti ai pittori bresciani, «provinciali» ma di notevole rilievo come il Romanino, il Savoldo e il Moretto variamente toccati dalla lezione che, quasi in polemica col dominante gusto veneziano, era stata impartita dal Lotto durante il suo lungo soggiorno lombardo. Tutta godibile è l'opera di questi pittori, in Brescia, su per le valli sino a Pisogne e a Breno, come accade per 11 Romanino definito a ragione dal Ridolfi «coloritor bizzarro, fiero e capriccioso inventore*. Fu schietto 11 suo fare; con un gustoso incanto di luci e di colori che incalza dalla prima all'ultima opera. Una pittura, la sua, dettata, in fondo, da una fantasia anticlassica, pronta alle più spregiudicate contaminazioni: ora orientata sui Ferraresi, ora attenta a certi spiriti precaravaggeschi: ed era sempre un modo di far propria la lezione altrui: fosse pure quella del grande, «divino» Tiziano. Ma di quale stoffa fosse l'artista lo dice lo sguardo del Genti-, luomo ritratto in una tela della Pinacoteca bresciana, che non potrebbe essere più penetrante nella nobiltà tutta intima della figura. % Nella stessa Pinacoteca si trova VAdorazione dei Pastori del Savoldo, un pitjtore in equilibrio tra esperienze lombarde e giorgionesche, tutto armonie di toni.freddi voltò alle notturne illuminazioni, ma attento ad una realtà, persino popolare, del quotidiano, di cui fanno parte i due pastori, silenziosi spettatori l'uno dietro un muricciolo l'altro affacciato alla finestrella. Più spostato verso i lombardi appare Alessandro Bonvicino, il Moretto, nonostante la fondamentale sua estrazione veneta. Spirito meditativo, amò Raffaello attraverso le stampe dalle quali trasse probabilmente il suo ideale di compostezza consona certo a! proprio temperamento portato alla concretezza e ad una verità che mal si sarebbe conciliata con'l'aulico respiro dei modelli tizianeschi. Angelo Dragone U'S» «SCTbSl i a li ; iH La «Vittoria» 1