C'era una volta il «signore del tondino»

C'era una volta il «signore del tondino» L'industria siderurgica, dopo gli anni ruggenti, comincia a segnare il passo C'era una volta il «signore del tondino» Su Brescia e i bresciani, in questi anni, e sorta una letteratura. Sarà perchè un tempo questa fetta di Lombardia, stretta tra il lago d'Iseo, il Garda e le montagne, è stata considerata (e in parte lo è tuttora) la • California d'Italia». Sara perché i suoi industriali, soprattutto i -signori del tondino», con le loro puntate a Palazzo Berlaymont. a Bruxelles, sono persino, di tatto, riusciti a scalfire lo strapotere in Europa dei magnati dell'acciaio tedesco. Ma. di tatto, oggi l'identificazione e una: l'acciaio private, non solo in Italia ma in gran parte d'Europa, sono loro, ì ..tondinan bresciani", eliminati cosi (ma oggi la definizione, diversificati come sono, e molto impropria) perché per anni hanno prodotto esclusivamente tondini di ferro, l'anima del cemento armato, lucendo anche la fortuna di un'intera provincia e arricchendo i conti con l'estero dell'Italia. E anche oggi che il vento e cambiato e le vecchie dinastie di tondinari. come gli Stefana, i Fenotti e ì Comini sono In difficolta, e altre come i Pietra sono con l'acqua alla gola, le cose sono più difficili, ma non disperate. Con ì 14 mila addetti, pari all'Ili dell'occupazione nell'industria manifatturiera, la siderurgia bresciana, con le sue 80 aziende. 27 delle quali dispongono sia dell'acciaieria che dei laminatoi, ha sfornato nell'81 qualcosa come 5 milioni di tonnellate di laminati, il 66^ dell'intera produzione nazionale di tondino, utilizzando però gli impianti solo al 66 per cento. Ma 1*81. dopo ì .tagli» di Davignon. e stato un anno terribile, che ha spaccato la siderurgia bresciana in tre gruppi: le aziende che vanno comunque bene (e saranno i pilastri d'acciaio anche negli anni futuri), quelle che reggono nonostante i tempi duri e quelle che vanno male. Tra quelle che vanno bene, in testa, c'è l'impero di Luigi Lucchini, 63 anni, il re degli industriali bresciani, oggi a capo di una gigantesca holding, che Iattura 600 miliardi Vanno e in cui dentro c'è di tutto: pacchi di azioni della Eredi Gnutti (rame), della Bisider (acciaio), della Danone e della birra WUhrer, del Credito Agrario (di cui è vicepresidente), de La Centrale (di cui e consigliere), della Magona d'Italia. dell'Ilssa Viola. Siede anche a fianco di Cuccia nella Consortium. che è un po' la Gepi delle aziende private e con Orazio Bagnasco ha collezionato un bel po' di Ambrosiano. Ebbene Lucchini, alla recente assemblea degli indu¬ striali bresciani (m cui è slato riconfermato presidente) ha lanciato un messaggio. Ha detto, in sostanza, che la gallina non la più uova d'oro, che i tempi sono difficili, che veni ciere poco (e magari sottocosto) in tempi d'inflazione mollo alta sono cose che mettono a dura prova la capacità di un tessuto produttivo robusto, anche com'è quello bresciano. Ed è bastato che Lucchini pronunciasse la parola crisi, perché nel Bresciano si levasse un solo coro: il «vecchio modello è finito, cerchiamo nuove strade per lo sviluppo». In realtà, che molte cose stiano cambiando per la siderurgia bresciana non è difficile capirlo. Un tempo, lo ha riconosciuto lo stesso severo Davignon, i bresciani erano un po' visti come degli «appestati» dagli imperi comunitari dell'acciaio. Non solo erano arrivati buoni ultimi, ma erano anche i più bravi di tutti. Fondevano una tonnellata di acciaio in quattro ore quando agli inglesi e ai francesi ne occorrevano otto, ai tedeschi sei. ai giapponesi cinque, nel resto d'Italia 5.48. Magari vendevano sottocosto (come ha sempre sostenuto la Cee) ma facevano allari d'oro. Poi le cose sono cambiate e oggi i bresciani non sono più i primi della classe: sono stati superati dai giapponesi, ma anche dai tedeschi. Inoltre il prezzo del rottame è lievitato (anche perché solo il 501 lo si trova in Italia, mentre il resto va comprato nei paesi vicini, che sono concorrenti agguerritissimi); il costo dell'energia ha raggiunto livelli proibitivi (oggi si ..mangia» 60 lire al chilo d'acciaio, il doppio di ! quanto spendono i concorrere ti Cee) e il tasso d'inflazione, anch'esso proibitivo, sta creando grosse difficoltà in tutti quei Paesi (come Francia, Germania, area Opec) dove il tondino bresciano valeva oro colato. E questi sono soltanto alcuni dei motivi che fanno dire spesso a Lucchini che il futuro della siderurgia bresciana (che oltre alle quote sempre più risicate fissate da Davignon deve anche fare i conti con i colabrodi assistiti dallo Stato) se non corre il rischio di essere spazzata via, certo si troverà in «grosse difficoltà» perché il futuro è segnato da tinte piuttosto oscure. A queste conclusioni negli ultimi mesi dell'81 sono giunti anche sindacalisti e politici che. per alcune settimane, sono passati da una riunione all'altra sui mali dell'acciaio privato: prima la Firn ha organizzato un convegno (con tanto di studio preparatorio e analisi di bilancio delle maggiori società); poi i socialisti hanno inviato il ministro De Michelis. per cercare di capire quando questo'settore, da alcuni considerato ultra-maturo, potrà dichiarare la fine dello stato di crisi; infine si sono interrogati a lungo i comunisti. Le conclusioni di tutti questi consulti non sono state disastrose. Anzi, pur tra molti interrogativi, hanno lasciato aperti grossi spiragli per gli Anni 90, quando dovrebbero.scomparire gradualmente (ma chissà?) i produttori di solo tondino e rafforzarsi invece gli.autoproduttori di energia. Di certo qualche traccia la crisi dell'acciaio a Brescia l'ha già lasciata. Una situazione molto seria, dice ad esempio Pietro Imberti, uno dei segretari Firn, che siede anche nel comitato Ceca, s'è già aperta negli stabilimenti Fenotti & Comini di Nave, alle porte di Brescia, e di MoiHichiari. Fino all'anno scorso, in questi stabilimenti lavoravano 400 persone e la produzione si aggirava sulle 300 mila tonnellate annue. Gli stabilimenti pe-, rò erano vecchi e da settembre sono occupati dagli operai. Un'altra azienda che ha difficoltà, spiegano alla Firn, è la Antonio Stefana, che produce invece 180 mila tonnellate di acciaio l'anno. Ma qui le cose sono diverse: la Stefana (che ha perso due miliardi nell'80. mentre prima ha sempre chiuso in utile) s'è in parte dissanguata perché ha destinato enormi risorse per riconvertirsi e produrre vergella. Poi (sempre aperto) c'è il ..problema Redaelli» di Gardone. ma il caso più serio, dicono alla Fini, è il^caso Pietra che. negli ultimi" tempi, ha mobilitato industriali, politici e sindacati. Produttore di soli tubi (che hanno buone prospettive di mercato) per 200 mila tonnellate l'anno (ma un tempo ne produceva mezzo milione) Oddino Pietra è rimasto vittima di una crisi finanziaria piuttosto acuta. , Anche per i bresciani, insomma, sono tempi duri. Se 'ne sono accorti anche i coreani della Hanil Italia di Gianico, che fa capo a una multinazionale dell'acciaio con sede a Seul. I coreani erano sbarcati nel Bresciano quattro anni fa, rilevando immobili e impianti della fallita acciaieria Svaf, battendo sul traguardo un pool di imprenditori loc \li. Da allora hanno fatto di tutto per riattivare l'azienda. Ma se hanno avuto l'appoggio dei sindacati (perché hanno garantito l'occupazione) non hanno avuto quello delle banche. Conclusione: negli ultimi 24 mesi la Hanil ha dovuto abbattere e ricostituire per due volte 11 capitale. Cesare Roccoli