Torna a casa capolavoro!

Torna a casa capolavoro! PIERO DELLA FRANCESCA E ALTRI DISPERSI Torna a casa capolavoro! Le cerimonie celebrative per il auinto centenario della morte del primo Duca di Urbino, Federico da Montefcltro, non si sono ancora svolte, ed è quindi impossibile prevedere se anche esse saranno caratterizzate dalla magniloquente apologetica che, abitualmente trionfa in occasioni del genere. L'imminenza delle celebrazioni, tuttavia, ha già sollecitato, sul Corriere della Sera dcll'8 giugno, un articolo da non lasciar cadere; esso è dovuto alla penna di Paolo Volponi, di un urbinate cioè, che della storia, del prestigio culturale e dei valori estetici della sua città ha fatto (lo si può ben dire) una ragione di vita. Nell'articolo, intitolato Tor-i nino ad Urbino le tavole -dt] Piero, il Volponi invita le autorità responsabili a far tornare in sede due capolavori eseguiti da Piero della Francesca per Federico da Montefcltro, e cioè il dittico (oggi agli Uff! zi) che raffigura il Duca stesso con la moglie Battista Sforza, e la grande pala (oggi a Brera) che in origine si trovava sull'altare dell'urbinate chiesa di San Bernardino, dove Federico è sepolto. La proposta del Volpon non manca certo di valide ragioni, ma non .è per appoggiarla o per respingerla che la cito, anche se non è possibile ignorare i gravissimi e direi insormontabili ostacoli che ne impediscono la realizzazione: il dittico, infatti, fa parte del lascito alla città di Firenze di Anna Maria de' Medici, di cui non è lecito infrangere le precise volontà testamentarie (privando inoltte gli Uffizi di uno dei suoi più preziosi tesori). E quanto alla pala oggi a Milano, il suo ritorno nella pristina sede darebbe il via allo scioglimento, pressoché in tcgralc, della Pinacoteca di Brera, formata in grandissima parte di opere rastrellate e indemaniate attraverso l'Italia dal governo napoleonico. Ma l'ipotesi del Volponi va ugualmente tenuta in evidenza, se non altro come spinta verso la soluzione di un problema di raggio assai ampio, come è quello del rapporto tra opere d'arte di proprietà statale e territorio nazionale, un rapporto cioè che è particolar mente sensibile in Italia, dove la massima parte dei cosiddet ti Beni Culturali non sono il risultai di importazioni ca suali. ! musei italiani, a differenza di quelli del Texas o del l'Australia, riflettono stretta mente il tessuto culturale del territorio in cui si rrovano tessuto che risulta da une svolgimento storico molto lungo, continuo, ben definito dalla ricerca storiografica. Ma per rendere più palese la consistenza dell'argomento, aedo sia opportuno procedere dal particolare verso il generale. Nel 1906 venne acquistata, per gli Uffizi, una Madonna col Bambino, firmata da un ra ro, sebbene minuto, artista degli Abruzzi, Nicola da Guardiagrcie. Il dipinto non è stato esposto che di rado, e, ad ogni modo, non costituisce nulla rispetto all'immenso patrimonio delle Gallerie di Firenze, gran parte del quale non può venire mostraro al pubblico per mancanza di spazio. Altro caso analogo è quello relativo a sei bassorilievi del Quattrocento, già a Castel di Sangro c donati allo Stato italiano, che li ha dati in deposito al Museo dell'Opera del ,Duomo di Fi renze. Sia al momento dell'acquisto della tavola, che d quello del dono dei rilievi non c'era un Museo Naziona le degli Abruzzi. Oggi questo esiste (ed è molto bello): cosa si aspetta a trasferirvi definiti vamente gli oggetti in que stione? Ancora un esempio. Anni fa, presso l'Ufficio Esportazione Opere d'Arte di Venezia venne presentata una tela del settecentista napoletano (ma sempre attivo a Roma) Gaspare Traversi, intitolata II Duello. Era un dipinto famoso, e giustamente venne esercitato il diritto di prelazione; meno plausibile invece fu l'avere assegnato il dipinto alla Galleria dell'Accademia di Venezia, città in cui esso si trovava per puro caso, e dove la sua presenza non significa nulla, mentre grande sarebbe il suo interesse storico e cultu rale in una pubblica raccolta di Roma o di Napoli. Ancor più macroscopico è l'episodio relativo ad una tavola acquistata all'Ufficio Esportazione di Torino ed as- segnata alla locale Galleria Sabauda, sebbene vi si sia riconosciuto un frammento di una pala d'altare dipinta da Polidoro da Caravaggio per una Chiesa di Messina. Che un testo pittorico del genere abbia un peso assai limitato per una Galleria del Piemonte è cosa ovvia, come lo è l'enorme imporranza che esso assumerebbe se presente nella città siciliana, una città, tra l'altto, il cui tessuto culturale è oggi diminuito quasi al completo per tre catastrofi, il terremoto del 1908, la orrenda ricostruzione, e i bombardamenti del 1943. Ma chi pensa a Messina al centro del Potere Culruralc? Basti ricordare che il locale Museo (già Nazionale ed oggi Regionale) è da più di settantanni ospitato nei locali di una vecchia filanda, con gran parte dello splendido materiale plastico e decorativo accatastato all'aperto, alla mercé dei ladri e delle intemperie; ed è materiale che, riordinato ed esposto in edificio adatto, costituirebbe la trama di uno dei più spettacolosi Musei dell'Italia intera. Che episodi, anzi, che storture del genere possano esiste re al giorno d'oggi, e che nessuno cerchi di raddrizzarle prova una sola cosa: che il de clamato discorso sul territorio culturale, sullo sttetto rapporto tra opera d'arte e società che l'ha prodotta, sulla fisionomia artistica regionale, è un discorso puramente retorico, una delle periodiche cortine fumogene con cui il Potere Italiano (e gli intellettuali che ne sono i manutengoli) tenta di far credere ad un rinnova mento, mentre in lealtà s adopera a che nulla cambi. Ma in proposito, è necessario indicare un caso limite (col quale ci si avvicina alla proposta di Paolo Volponi) ed è là situazione delle pale d'altare portate a Milano, dal governo napoleonico, e mai esposte .nella Pinacoteca d Brera perché considerate (allora) di scarso interesse e di scarsissimo valore artistico. Per ordine del viceré Eugenioj Beauharnais furono raccolte nella capitale del Regno Italico innumerevoli opere pittori che, rastrellate soprattutto nelle Romagne, nelle Marche, nell'Umbria, nel Veneto e anche altrove. Sottoposte al giudizio di una commissione, tali opere furono distribuite in tre grup pi, A, B, G II primo gruppo (composto delle cose considerate di prim'ordinc) venne esposto a Brera, e, in effetti costituisce l'ossatura dell'attuale Galleria, mentre il gruppo B, lasciato nei depositi, fu in parte alienato, in parte adoperate come merce eli scambio con privati. Tra i suoi pezzi c'era la favolosa Annunciazione di Carlo Crivelli, una delle gemme dell'odierna National Gallcry di Londra-, venne ceduta in cambio di due quadretti di fiori e della Samaritana di Battistcllo Caracciolo. Quanto al gruppo C, esso fu disperso tra il 1814 e il 1821, inviando i quadri in sedi ecclesiastiche provinciali, dove molti di essi (quelli che non sono stati trafugati o illegalmente venduti, come la stupenda Crocefissione di scuola ferrarese del '400 oggi nel Mu sée des Arts Decorati fs) si trovano ancora. Cosi, I1Ascensioni il Giudizio finale, capolavori del Bastianino, si trovano a Rovello Porro; nella Certosa di Ferrara (da cui vennero strappati) esistono ancora gli altri pezzi del complesso assic me alle cornici originarie. La Cacciata degli Angeli ri belli, la massima opera d Francesco Maffei (cm 425| x700), sottratta a San Michele di Vicenza, è nel Semi nario Arcivescovile di Milano; la Deposizione di Francesco Sai viati, opera capitale per l'arte veneziana, portata via dal Cor pus Domini di Venezia, è s Viggiù; la grande pala di Ge rolamo Siciolante, già uno dei dipinti più famosi di Ancona, dove era nella chiesa di San Bartolomeo, va cercata a Calcinate, in provincia di Berga mo. E cosi via. Ora, dispersioni del genere, assurde sotto ogni aspetto, potrebbero essere risolte, ri portando nelle città originarie le opere, tanto più che queste non saranno mai esposte Brera, merflrc il loro ritorno in sede verrebbe a colmare dei vuoti che in certi casi hanno irrimediabilmente alterato mutilato il tessuto culturale di cui facevano parte. Non c'è dubbio che Brera (e con essa gli Uffizi e la Galleria Nazionale di Roma) dovrebbero, almeno in teoria, di stinguersi dalle altre Collezioni dello Stato italiano, grazie ad una struttura a carattere nazionale, e non già locale regionale (come, ad esempio, le Gallerie di Perugia, Siena, Bologna, Venezia, e tante al tre). E mentre gli acquisti pet le tre Gallerie nazionali an drebbero effettuati tenendo conto di tale finalità, le raccolte locali andrebbero incrementate in modo assai oculato, e con pezzi che effettivamente rispecchiassero la cultura figurativa del posto. Teoricamente, la proposta di Paolo Volponi di riportare in Urbino la pala di Piero della Francesca è valida; in realtà, essa significherebbe un atto irrazionale, da cui verrebbe manomessa una delle grandi raccolte d'Europa. Ma se si vuole porre un rimedio alle rapine e spoliazioni effettuate in base ad un criterio accentratole, oggi superato, si cominci col ricondurre a casa ciò che è stato disperso a caso e senza vali de ragioni. Federico Zeri Piero della Francesca: «Federico da Montefeltro» (Firenze, Uffizi) Piero della Francesca: «Madonna col Bambino» (Milano, Brera)