Assemblea nazionale di Ps l'8 a Padova contro l'arresto dei 5 agenti speciali di Giuliano Marchesini

Assemblea nazionale di Ps l'8 a Padova contro l'arresto dei 5 agenti speciali Le reazioni suscitate dall'inchiesta sulle presunte violenze ai carcerieri di Dozier Assemblea nazionale di Ps l'8 a Padova contro l'arresto dei 5 agenti speciali Funzionari e poliziotti non hanno partecipato giovedì a Roma alla Festa del Corpo - In un documento minacciano di autodenunriarsi per i fatti attribuiti ai loro colleghi: chiedono un procedimento disciplinare a carico dei magistrati padovani - Palazzo Chigi: «La responsabilità politica della lotta alle Br risale al governo» I giudici replicano al ministro Rognoni «Avrebbe potuto accertare subito i fatti» ROMA — Dopo gli arresti, in attesa degli interrogatori, continuano le proteste ■ di agenti e funzionari della polizia di Stato, parlamentari e magistrati dichiarano il loro stupore ed i loro timori. Giovedì mattina, alla cerimonia per la Festa della Polizia, presente il presidente Pertini, il ministro dell'Interno Rognoni ha ribadito che «le recentissime iniziative giudiziarie hanno suscitato in noi forti perplessità ed amarezza. Tali misure non sembrano ispirate all'equilibrio che un simile caso avrebbe richiesto». Il Sap, sindacato autonomo di polizia, ha reso noto che i propri iscritti da tutte le questure d'Italia si recheranno in pullman a Padova per partecipare alla manifestazione nazionale indetta per giovedì 8 luglio. Una nota di Palazzo Chigi fa sapere che Spadolini «segue con grande attenzione gli sviluppi dell'azione giudiziaria contro gli appartenenti alle forze dell'ordine imputati di reati nei confronti di terroristi autori del rapimento di Dozier. Ovviamente, in base all'articolo 27 della Costituzione, gli imputati non possono essere considerati colpevoli. Al di là della sfera giudiziaria — conclude la nota diffusa mercoledì scorso — ogni responsabilità politica della condotta della lotta al terrorismo risale al governo». Agenti e funzionari della questura di Roma giovedì non hanno partecipato alla ceri monia per la Festa della Poli zia. In polemica, si sono riunì ti per una Messa in suffragio dei colleghi assassinati dal terrorismo. Poi, per tutto il pomeriggio, sono rimasti in assemblea, conclusa con «un documento approvato me. diante sottoscrizione dei dipendenti di ogni grado della questura e di altri uffici della polizia della capitale»..E\ .un documento che attacca ima gistrati padovani e chiede l'intervento del governo. Sei i punti principali. 1) «Fin dai primi passi dell'istruttoria, i magistrati si sono più o meno esplicitamente pronunciati sulla colpevolezzadegli indiziati». 2) «Si sollecita un procedimento disciplinare a carico dei magistrati padovani che hanno condotto l'inchiesta». 3) «Si stigmatizza il comportamento degli organi di stampa che hanno pubblicato i nomi degli uomini della polizia». 4) «Le notizie sulla vicenda sono state diffuse da ambienti giudiziari padovani». 5) «Negli interrogatori dei testimoni, i magistrati inquirenti non hanno mancato di sollecitare dichiarazioni conformi a quello die doveva essere l'indirizzo dell'inchiesta con espliciti preavvisi di arresti». 6) «Se le richieste del documento non venissero accolte, i t funzionari e gli agenti che lo hanno firmato si autodenun ceranno per i fatti attribuiti ai cinque colleghi arrestati nei quali grottescamente t strumentalmente i magistrati padovani hanno voluto ravvisare estremi di gravissimi reati». Più pacata, invece la valutazione del generale Enzo Felzani, segretario del sindacato di polizia Siulp. «Nell'ambiente regna una certa emozione per quanto accaduto — ha dichiarato —; il provvedimento è immotivato, in quanto per adottarlo doveva esistere sospetto di fuga o pericolo di inquinamento delle prove. Quindi, secondo noi, la ■magistratura ha sbagliato. CretoacsenodemnimchziApr«cmpelundeco10tePtavasil'MdnincoliachscnlarehscadtabpresiaupmtadrstàtibrvACnspscmsevticnpsglasasdnse Ciò detto, vogliamo anche dire che la magistratura ha fatto il suo dovere, poiché deve accertare la verità. Dove dissentiamo è sui modi: bastavano i mandati di comparizione. Venerdì una delegazione del Siulp si è incontrata con il ministro Rognoni, ieri si è riunito il direttivo e nella prossima settimana è previsto anche un incontro con l'Associazione nazionale magistrati. Adolfo Beria D'Argentine, presidente dell'Anni, ritiene «che si debba reagire con mente fredda, cercando di superare le tensioni che, se prolungate, possono senz'altro nuocere alla vita democratica del Paese. Ho convocato il consiglio dell'Anm per sabato 10 luglio e sicuramente discuteremo il problema ». Secondo il senatore Ugo Pecchìoli, pei, «le gravi imputazioni devono ora essere provate, e formuliamo un vìvo e sincero augurio che risulti^ l'innocenza degli arrestati.' Ma se cosi non sarà, vogliamo, dire con piena franchezza che non dovranno esser tollerate indulgenze. Il comportamento complessivo delle forze di polizia italiana costituisce un alto esempio ed una conferma che il terrorismo può essere sconfitto col rigore delle leggi nella democrazia». Giulio Andreotti, interpellato a Palermo da un redattore dell'agenzia Adn-Kronos, ha detto di «esser rimasto sconcertato alla notizia degli arresti. Oltre tutto, non essendo in ballo reati che comportano il mandato di cattura obbligatorio, il ricorso a questo provvedimento dovrebbe essere sempre eccezionale e rarissimo», g, c. DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PADOVA — «Io credo di aver fatto soltanto il mio dovere», dice Mario Fabiani, il giudice istruttore che ha emesso il mandato di cattura a carico di un funzionario di polizia, un sottufficiale e tre agenti accusati di maltrattamenti nei confronti di brigatisti che rapirono il generale americano James Lee Dozier, liberato dalle «teste di cuoio» nel covo padovano di via Pedemonte. E il sostituto procuratore della Repubblica, Vittorio Borraccetti, replica al ministro dell'Interno, il quale ha dichiarato che questi provvedimenti suscitano «perplessità e amarezze»: «Al nostro posto — risponde il pubblico ministero — Rognoni avrebbe fatto la stessa cosa. I risulati che abbiamo avuto noi avrebbe potuto ottenerli lui, subito e senza fatica». L'inchiesta va avanti in un clima pesante, mentre si annuncia per giovedì l'arrivo a Padova di circa duemila poliziotti, che dovrebbero tenere un'assemblea permanente al teatro «Pio X», fino alla conclusione di questa clamorosa vicenda giudiziaria. «Sia chiaro — precisa intanto Borraccetti — che questo è un procedimento contro cinque uomini della Ps, non contro la polizia. Ed è certo che se non ci fossero stati elementi consistenti non si sarebbe giunti all'emissione di quei cinque mandati di cat¬ tura. Qui si tratta di qualcosa di molto grave». Il magistrato fa presente, tra l'altro, che l'episodio cui si riferiscono le imputazioni è avvenuto tre giorni dopo la cattura dei «carcerieri» del generale Dozier, e che l'inchiesta non si basa soltanto sulle dichiarazioni del brigatista Cesare Di Lenardo, ma anche su «prove documentali e testimoniali». Parlando di «documenti», probabilmente il pubblico ministero allude alle perizie medico-legali eseguite dopo la denuncia presentata da Di Lenardo, che. detenuto a Cuneo, è stato trasferito a Padova dove, tra qualche giorno, sarà messo a confronto con gli agenti da lui accusati. «Su questo processo io non intendo dire niente», ripete Mario Fabiani davanti ad una fila di cronisti. Pare che il giudice istruttore abbia già interrogato uno degli accusati, il tenente Giancarlo Aralla. della Celere di Padova: naturalmente, riserbo . assoluto sull'esito di questo colloquio. Fabiani, che appare piuttosto teso e affaticato, precisa che 11 mandato di cattura era obbligatorio per uno degli imputati, facoltativo per gli altri. E che cosa dice dell'intenzione di circa trecento funzionari, ufficiali e agenti di chiedere la sua ricusazione? «Proprio nulla», risponde secco. Il giudice istruttore padovano tira avanti per la sua strada: «Cercherò di fare il più presto possibile», assicura. Comunque, tutti e cinque gli arrestati sono ricoverati in diversi ospedali, per cui forse occorrerà un po' di tempo per completare gli interrogatori. Intanto, al palazzo di giustizia, c'è stata una sfilata di testimoni. Queste sono state giornate di inquietudine negli ambienti della polizia. Giovedì scorso, nella caserma «Ilardi» di via D'Acquapendente, il questore di Padova, Gianfranco Corrias, ha tenuto un discorso In occasione della Festa del Corpo. Mentre Corrias parlava, due poliziotti inalberavano cartelli: erano il maresciallo Michele Tucci, segretario provinciale del Sap (Sindacato autonomo di polizia), e un appuntato: «Chiediamo l'im- mediata revoca dei mandati e la liberazione del cinque colleglli», era scritto sul primo cartello. E sull'altro: «Il Sap chiede al questore di parlare dei cinque colleghi arrestati». «A quello che chiedete con i vostri cartelli — ha detto Corrias — non ho molto da rispondere, soltanto una frase che pesco adesso nella memoria: "Beati coloro che sono perseguitati per cause di giustizia"». Dopo questo richiamo evangelico del questore, altri interventi di poliziotti nella vicenda, altri momenti di tensione. «Vogliamo conoscere i motivi per cui i nostri colleghi sono stati arrestati — insiste il segretario provinciale del Sap —. Mi rifiuto di credere che membri della polizia abbiano torturato qualcuno». Secondo il segretario provinciale del Sindacato autonomo, questa «storia» è la prosecuzione di quella di Venezia, dove nei mesi scorsi esplose il caso delle denunce di maltrattamenti nei confronti di brigatisti catturati. L'appuntato Bernardino Guinetti, segretario provinciale del Sindacato unitario lavoratori della polizia, ritiene comunque «non pagante» una linea «di scontro». «Non penso — dice — che scaricare la nostra rabbia manifestando possa servire ai nostri colleghi ». Giuliano Marchesini